domenica 14 dicembre 2025

... Willie Peyote ...

Willie Peyote non ha parlato: ha versato acido. E non quello metaforico che si usa nei salotti, ma quello che brucia e lascia segni. Quando dice che “Cairo ha devastato un ambiente, demolito una tifoseria ed assuefatto alla mediocrità”, non sta compilando un atto notarile: sta facendo quello che l’arte, ogni tanto, dovrebbe ancora avere il coraggio di fare: chiamare le cose col loro nome, senza deodorante. Cairo per altro non ha soltanto fatto questo ma molto di peggio. Ha curato ogni dettaglio di un fallimento pianificato, arrivando persino ad avvelenare i pozzi per delegittimare le voci dissonanti. Willie ha parlato fuori dal coro: forse realmente l’unico a farlo. Il bello è che questo linguaggio così duro, così poco corporate, è musica per le orecchie granata. Altro che inni stonati e comunicati aziendali: finalmente qualcuno che non parla come un consulente di crisi, ma come uno che guarda le macerie e dice “sì, sono macerie”. Willie non addolcisce, non media, non cerca la frase buona per tutti: ed infatti funziona. Perché a forza di edulcorare, qui si è finiti a bere acqua del cesso spacciata per champagne. E il contrasto diventa impietoso quando lo metti accanto ai giullari di corte granata, quelli che fanno piroette verbali purché il re non si offenda. Come quello che da critico televisivo è Robespierre. A lui non sopravvive nessuno fra programmi ghigliottinati, conduttori decapitati, format ridotti a poltiglia. Ma quando si parla del suo editore, improvvisamente cambia costume: da boia ad avvocato difensore in Cassazione. Assoluzione piena, senza rinvio, possibilmente con applauso finale. Una specie di Corrado Carnevale: il giudice ammazza sentenze. Ed allora sì, Willie Peyote suona fastidioso solo a chi come lui preferisce il silenzio complice e sodale. Agli altri, a chi è stanco di essere trattato da tifoso-cliente, da problema da gestire, da pollo da spennare, quel linguaggio ruvido suona come una chitarra distorta dopo anni di musica da sala d’attesa. Non è eleganza, ma liberazione sonora: ed in certi ambienti devastati, è l’unica cosa che ancora tiene in piedi i muri 
Grazie, di cuore. 

Ernesto Bronzelli.

... tragico teatrino! ...

"Sono orgogliosa che l'Italia sta difendendo il ruolo dei genitori nell'educazione dei figli. Rivendico con orgoglio la norma sul consenso informato sull'educazione sessuale delle scuole. Educare i figli su materie così delicate è compito dei genitori, lo Stato non può sostituirsi alla famiglia. I figli non sono dello Stato o dell'ideologia, ma delle mamme e dei papà". Lo ha appena detto la Premier Meloni al comizio di chiusura di Atreju. Sarebbe bene allora ricordare alla Premier che secondo l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, l'87% dei maltrattamenti sui minori avvengono all'interno della famiglia. Questo dato non è una statistica fine a sé stessa ma è una tragedia sociale che impone allo Stato un dovere inderogabile di intervento. Un Paese realmente civile, non può permettersi il lusso di delegare l'educazione sentimentale e l'informazione sulla sessualità, pilastri della salute psicofisica e della prevenzione , esclusivamente a contesti domestici che, per una fetta consistente di popolazione sono i luoghi stessi dell'abuso e della violenza. Non si tratta di imporre un'"ideologia" o di "sottrarre" i figli alla famiglia, ma di garantire a ogni giovane cittadino un diritto fondamentale. Il sacrosanto diritto ad una corretta informazione, erogata da professionisti competenti, in un ambiente protetto e universale come la scuola. L'uso del tema dell'educazione per mobilitare la propria fanbase adducendo pretestuose "teorie gender" pur di non affrontare le concrete necessità dei giovani e l'urgente bisogno di prevenzione, è un'operazione politica che si qualifica da sé. Esistono padri, oggi, in Italia, che mettono incinte le figlie, famiglie dentro le quali le dipendenze dei genitori sfogano sui bambini frustrazione e abbandono. Non possiamo lasciare che sia la fortuna a stabilire quale bambino è meritevole di un'educazione sentimentale. Un paese giusto è quello che offre a tutti i bambini eguali opportunità a costo di lottare, spesso, contro le loro stesse origini. 

 Lucia Coluccia.
La finta opposizione. Litigare per finta, darsi di gomito per davvero. Il teatrino della politica. Famose du’ spaghi. Il bar di guerre stellari. Le risate grevi, il giornalismo compiacente, il trasformismo compiaciuto. Il peggio del palazzo, il peggio della tivù, il peggio delle classi dirigenti. In una foto sola, il potere in tutto il suo tragicomico squallore. Per dirla in breve: la politica italiana. 
Vomitate in libertà: è cosa buona e giusta. - 

Andrea Scanzi

... il futuro della Russia ...

LA RUSSIA POTREBBE SGRETOLARSI E LA CINA NE APPROFITTEBBE 


 C’era un tempo in cui la presa dell’Ucraina doveva rappresentare per la Russia di Putin l’atto principe di una restaurazione imperiale. Un ritorno allo status di grande potenza, capace di riscrivere i confini in un mondo governato dalla legge del più forte e in cui il diritto internazionale potesse essere ridotto ad un inutile vessillo rivendicato dalle fragili e decadenti democrazie liberali. Una potenza in grado di dettare condizioni, di imporsi come polo alternativo all’Occidente. Ma quel disegno, costruito con la brutalità e col sangue, si sta lentamente sgretolando proprio sotto il peso della guerra che avrebbe dovuto consacrarlo. Dopo che la prevista parata trionfale su Kyiv da concludere in tre giorni si è impantanata nel Donbass inciampando in crimini immondi e causando devastazioni senza precedenti, l’invincibile macchina bellica di Putin si è rivelata vulnerabile e disorganizzata. L’inattesa resistenza ucraina e l’ancora più imprevista reazione della comunità internazionale hanno messo a nudo le mille criticità della sbandierata potenza militare del gigante euroasiatico, facendo vacillare la sua credibilità politica, che proprio sulla guerra e sulle minacce nell’idea dello zar era destinata a prosperare. E così, quando è parsa chiara l’incapacità del Cremlino di dare seguito alla propria pretesa di guidare un impero, i totem issati e puntellati in un quarto di secolo di dittatura putiniana hanno cominciato a cadere uno ad uno. Dalla Siria, dove l’influenza russa si è dissolta in una manciata di giorni insieme al regime di Assad. A Teheran, che dopo i colpi inferti da Israele e USA alle milizie proxy e ai siti nucleari è destinata ad un rapido declino. Il Medio Oriente nel quale Mosca sognava di tessere una fitta trama di alleanze strategiche ed economiche oggi le sfugge, a vantaggio di potenze emergenti come la Turchia, membro NATO, ma abilissima nel giocare su tutti i tavoli, da Kyiv a Tel Aviv. Ma è il Caucaso, un tempo considerato cortile di casa del Cremlino, il teatro più evidente del tracollo geopolitico russo. L’Azerbaigian, dopo la recente escalation di tensioni diplomatiche e rappresaglie ha tagliato i ponti con Mosca, mentre l’Armenia, già risentita per il mancato intervento russo nella crisi del Nagorno Karabakh, ha aperto canali con l’Europa e si avvicina alla Turchia, un tempo nemica storica. È anche in questo contesto di tensioni a sud che va letta la scelta – disperata – di Putin di respingere le dimissioni del dittatore ceceno Ramzan Kadyrov. La piccola ed irrequieta repubblica caucasica ex separatista (per la cui riconquista Putin avviò la prima campagna militare della sua carriera criminale) non è solo una regione chiave, ma anche e soprattutto un potenziale detonatore. E senza il pugno di ferro del suo satrapo, potrebbe deflagrare. Intanto a est, la Cina scava. Penetra economicamente in Siberia, si assicura infrastrutture, risorse, influenza. Mentre la Russia guarda a Pechino come a un’ancora di salvezza, Pechino guarda alla Russia come una preda ferita da dissanguare e divorare, senza fretta e senza sparare un colpo. Sul fronte interno, poi, i numeri cominciano a raccontare ciò che la propaganda non può più nascondere: l’economia vacilla. Il governo stesso non esclude la recessione, mentre il bilancio federale continua a reggersi sull’export di petrolio. Un equilibrio che non offre certezze a lungo termine, dal momento che se gli Stati Uniti, in cambio della neutralizzazione del pericolo iraniano, riuscissero a chiudere un accordo con Arabia Saudita ed Emirati per un aumento della produzione di greggio, i prezzi crollerebbero. E con loro, appunto, anche le entrate di Mosca. Il tutto mentre i tribunali internazionali continuano a certificare i crimini del regime, rendendo ogni giorno più difficile la normalizzazione dei rapporti con un Occidente, un tempo suo ricco cliente e oggi ostile accusatore. Rendendo così definitiva l’espulsione della Russia dal salotto del G8, tornato ad essere G7, e facendo immaginare il ripetersi scene come quella del 9 maggio scorso, con un Putin costretto a festeggiare la vittoria della “Grande Guerra Patriottica”, sotto lo sguardo attento del nuovo padrone di casa Xi, in compagnia di Zimbabwe, Burkina Faso, una manciata di dittatori e i governanti di stati immaginari come l'Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Piaccia o no ai tanti improvvisati commentatori che da tre anni cercano di spiegare come la Russia abbia già vinto una guerra che doveva durare tre giorni, il nuovo zar che avrebbe dovuto portare l’impero ai fasti di un tempo, lo sta spingendo a tutta velocità verso una nuova colossale catastrofe, causata da ossessioni patologiche, ambizioni e un revanscismo paranoico. Con la guerra d’Ucraina volutamente trasformata in una scommessa folle, sulla quale Putin ha dapprima rilanciato e poi puntato tutto. Col rischio, mai così concreto, di perdere definitivamente tutto

... Giuseppe Conte ...

HO CAPITO PERCHÉ MELONI SI È SOTTRATTA AL CONFRONTO CON ME 


Meloni, che ieri non si è fatta trovare sul palco di casa sua ad Atreju per il confronto a cui mi aveva sfidato, ha fatto un’ora di monologo direttamente da Marte per dire che siamo forti, che va tutto bene, che i suoi nuovi idoli sono le agenzie di rating che prima definiva pagliacci: irriconoscibile. Nulla di concreto da proporre sugli stipendi – ha detto che con loro aumentano – su record di povertà, oltre 300mila sbarchi di migranti, aumento dei reati e dell’insicurezza, 32 mesi di crollo della produzione industriale, boom di cassa integrazione. Sui soldi buttati nei centri in Albania continua a dire fun-zio-ne-ran-no dopo quasi 2 anni di sprechi di soldi e forze dell'ordine che servono nelle nostre strade. Dopo 4 leggi di bilancio a sua firma si nasconde ancora dietro a “superscuse”, che sia il superbonus o i banchi scolastici e dice: noi abbiamo messo quei soldi sulle strade. Ma se gli unici cantieri in Italia sono solo quelli dei 209 miliardi che abbiamo portato noi? E sono “cantieri di speranza”, per scuole, per asili, per ospedali e case di comunità. Non per “cantieri di guerra” come quelli del Riarmo per cui lei ha firmato senza fiatare e con cui vorrebbero scrivere un futuro con la mimetica per i nostri giovani. Ha detto "i ladri, i corrotti e i venduti ci fanno schifo. Li combatteremo in ogni modo". Con le riforme Nordio li avvertono prima dell'arresto, mentre in Sicilia hanno l’intero centrodestra sotto inchiesta e gli appalti truccati in sanità e lei non muove un dito. Ha pure aggiunto che la sua Italia non è subalterna a nessuno dopo aver firmato spese militari folli e tagli agli italiani in Europa e aver promesso agli Usa acquisti di gas e armi americane e zero tasse ai giganti del web, fallendo la trattativa sui dazi. Capisco perché si è sottratta al confronto: queste cose puoi dirle se non hai un contraddittorio. Per chi conosce la Storia Infinita, più che il coraggioso Atreju oggi la Presidente Meloni sul palco ha portato un grigio Nulla fatto di riarmo e assistenzialismo ai potenti.

sabato 13 dicembre 2025

... effetto Petrachi! ...

EFFETTO PETRACHI, IL TORO TORNA A VINCERE 1 A 0, CREMONESE SBRANATA! 

Poco spettacolo a Torino ma i granata trovano compattezza grazie alle parole del nuovo direttore Petrachi. Vittoria per nulla casuale e Cremonese sbranata dal grintoso Gianluca il mastino. 

Effetto Petrachi!

... un momento buio! ...

Scusate, ma io non so come si faccia a rimanere zitti di fronte a una situazione come quella che stiamo vivendo e che sembra peggiorare ad ogni minuto. Ponti utili solo per consensi personali, crocifissi invocati a fronte di peculati e corruzioni, autonomie differenziate che sputano sui sacrifici dei patrioti del Risorgimento e persino leggi per compiacere caccia e cacciatori, cioè assassini legalizzati. E si potrebbe andare avanti. Il problema, però, è cosa è diventata la politica non solo qui ma nel mondo. Oggi vediamo che il pianeta è condotto da figure che appaiono inquietanti. Trump scansa il presidente del Montenegro, che un altro po' e casca per terra, come a dire forte e chiaro "sono io qui che comando", risponde ai giornalisti in modo sprezzante e provocatorio "sì sono fascista, è troppo complicato da spiegare", " lei ha un bell'accento francese ma dice stupidaggini" e via così. Del resto i servizi segreti danesi pare che abbiano individuato negli USA di oggi un nemico più nemico di Putin. Stiamo per fare una guerra forse definitiva sulla base di congetture, vi rendete conto? Cioè l'Europa dice che Putin vuole arrivare a Lisbona, praticamente, e conquistare tutta l'Europa, magari abbeverando i cavalli alla fontana di San Pietro e mangiando, nell'avanzata, anche i bambini, mentre Putin dice che non ha mai pensato di voler fare la guerra all'Europa: forse lo capirebbe pure uno spigolo di muro che anche da un punto di vista economico non gli converrebbe, ma , certo, se l'Europa insiste, lui è pronto (ci mancherebbe) . Perchè qui è tutto un fremere di passi d'oca pronti a combattere, fermo restando col culo altrui e nostro. E i populismi, che incombono, aiutano questo modo di concepire la vita a colpi di accetta e non di empatia. Orban, Trump, Macron, Merz, Starmer, Meloni, anche se manco invitata al tavolo europeo, sono pronti alla pugna! Così sì che si aiutano i popoli a sopravvivere! Eh! Vedi a Gaza, per esempio? Oh, poi c'è il nostro centimetro quadrato. Qui un tempo Fellini, Magni, Scola, Lizzani, Petri, Maselli ,e altri maestri, facevano il picchetto d'onore intorno alla bara di Berlinguer, e Almirante, con coraggio e signorilità, lo andava ad omaggiare a Botteghe Oscure. Oggi qui basterebbero due eventi planetari a mostrare il livello dell'attuale ventaglio politico. Uno è il saltarello frascatano intrapreso dal governo e un altro è la risposta della Bernini a giovani che volevano contestare civilmente e che probabilmente , stando lì, erano pure simpatizzanti di destra, offendendoli , come unico linguaggio di confronto a disposizione. Due folgoranti e molto amene manifestazioni contro il comunismo. Sì perchè loro lo vedono ancora in giro. Ora, io avrei pure il diritto, come cittadino e come contribuente che paga chi lavora al Parlamento, di chiedermi come sia possibile avere in posti delicati, istituzionali, che ci rappresentano , persone come la Montaruli, la Ceccardi, la Picierno, Razzi, la Santanchè, la Bernini appunto, e tanti, non tutti certo per fortuna, che sembrano più attenti a non perdere il loro posto di lavoro così privilegiato che non a volere davvero servire il paese, che sembrano soprattutto impegnati a parteggiare per una formazione che li ha messi lì, che sembrano pronti a fare il loro bel compitino davanti ai microfoni del TG, insomma che sembrano , a me che non sono nessuno, insufficienti per certi ruoli, e tutte le volte che aprono bocca confermano questa mia umile impressione. Ma tant'è. E non me lo chiedo, in questa sede, anche perchè io non sono nessuno. Ma una cosa la vorrei dire. Io non sono mai stato comunista, semmai socialista. L'idea socialista è ancora oggi, per me, la più utile, vera, attuale, giusta idea di governo che mente umana abbia mai partorito. Ma sentire insultare il comunismo in tutti i modi , come hanno fatto i saltarelli e la Bernini ad Atreju, mi fa venire le bolle sulla pelle. C'è un miscuglio di pochezza, di superficialità e di ignoranza nell'offenderlo. Se si studia un po' ci si accorge che il comunismo nato da Marx aveva tratti di contatto persino con la dottrina cristiana. Parlava di eliminare i confini del mondo in un abbraccio collettivo. Ma soprattutto è diventato forte sull'idea che il benessere, il welfare, dovesse partire dal basso e non dall'alto, che è invece una idea di destra. Nell'idea comunista c'è anche il concetto della ridistribuzione del superfluo, per un benessere il più possibile esteso e non concentrato nelle mani di uno o di pochi. Ancora oggi la destra, pervicacemente, opera per il privatismo, oggi nonostante il Trickling Down abbia fallito. Il comunismo, il socialismo reale, come filosofia nel mondo noi , poi, non lo abbiamo mai conosciuto, perchè quello russo era una dittatura militare. Mentre il fascismo sì che l'abbiamo conosciuto, sì che era roba nostra, locale. E terribile: ha fatto una guerra alleandosi con un pazzo sanguinario, l'ha pure persa, ed è stato un momento di razzismo, chi lo rimpiange rimpiange un periodo di guerra, dolore, sangue e mancanza di libertà. Non parlo della sinistra di oggi perchè lì il dente fa ancora più male. Vederla spedire le armi insieme ai populismi isterici europei , sapendo che la realtà è che qui ognuno vuole la guerra per interessi suoi, che il popolo ucraino - mentre di quello gazawo chissenefrega - si può giovare più di una guerra protratta che non fermata, usare, insieme a loro, il termine deterrenza ("si vis pacem...." coniato nel IV secolo eh!) in modo strumentale, fa dolore. Chi ci governa , comunque, secondo me che sempre non sono nessuno, credo si debba preoccupare di quelle braccia ancora tese, nell'illegalità, invece che offendere una delle più alte idee di filosofia politica mai offerte. Massimo Wertmuller.

... fascista di plastica! ...

Non volevo commentare le squallide parole della Ministra, ma il silenzio mi sta svuotando l'anima. Spero di poter dar voce a molti di voi. Ministra Bernini, se oggi parla di libertà, democrazia e diritti, lo deve anche a questa storia. Il comunismo italiano non è un’ombra del passato, è una radice profonda della Repubblica. È uguaglianza, perché nessuno deve nascere condannato dalla propria condizione sociale. È giustizia sociale, perché la ricchezza non può stare tutta da una parte sola. È centralità del lavoro, perché senza lavoro dignitoso non esiste libertà reale. È antifascismo, quello vero, che ha liberato questo Paese e scritto la Costituzione. È democrazia, scelta ogni giorno, non imposta con la forza. È laicità, perché lo Stato appartiene a tutti, non a pochi. È solidarietà, perché nessuno si salva da solo. È internazionalismo, perché i diritti o sono universali o non sono diritti. È pace, contro ogni guerra che arricchisce pochi e uccide molti. È scuola e cultura pubblica, come strumento di emancipazione, non di selezione sociale. È legalità costituzionale, quella che tutela i deboli, non solo i forti. Il comunismo italiano non ha mai avuto paura della libertà, ha avuto paura dell’ingiustizia. Non ha mai combattuto la democrazia, ha combattuto chi la svuotava. Ridurre tutto a caricatura è facile. Studiare la storia, molto meno. Perché senza quei valori, oggi, non avremmo diritti del lavoro, sanità pubblica, scuola accessibile, Costituzione. Questa non è nostalgia. È memoria. Ed è responsabilità. Vincenzo San Comitato di cittadini attivi e democratici in difesa della Costituzione

... manca un Ardoino! ...

OFFERTA DA 1 MILIARDO PER LA JUVE. LA MORTE PER IL TORO 


Quello che vedete nella foto è Paolo Ardoino, 41enne imprenditore italiano e CEO di Tether, il colosso delle stablecoin che domina il mondo delle criptovalute. Con un patrimonio personale stimato in miliardi di dollari, Ardoino è ormai uno degli uomini più ricchi e influenti del settore tech-finanziario globale.Da tifoso juventino di lunga data (ha spesso citato idoli come Alessandro Del Piero come fonte della sua passione), ha guidato Tether in una progressiva scalata azionaria nella Juventus: partita con una quota minoritaria iniziale, è arrivata oggi a circa l'11-12% del club. Il 12 dicembre 2025, Tether ha presentato un'offerta vincolante e non sollecitata per acquisire l'intera quota di Exor (la holding della famiglia Agnelli-Elkann, che detiene il 65,4%), valutando il club intorno a 1,1 miliardi di euro, con l'impegno aggiuntivo di investire direttamente 1 miliardo nel rafforzamento della squadra e nello sviluppo societario. Exor ha risposto con un secco rifiuto: la Juventus "non è in vendita", ribadendo il legame familiare centenario con il club. Tuttavia, non si esclude una futura partnership commerciale o collaborazioni strategiche, dato che Tether ha già un rappresentante nel CdA bianconero, mentre molti pensano che presto gli Elkann molleranno l'osso..La trattativa, per ora bloccata, evidenzia comunque un punto: quando un tifoso appassionato raggiunge un successo economico straordinario, la sua squadra del cuore diventa una priorità. Ardoino ha cresciuto la sua passione seguendo epoche d'oro con campioni come Del Piero, Deschamps, Zidane, Buffon e tanti altri che hanno reso la Juve un simbolo di ambizione e vittorie, anche a qualsiasi costo. Quella fedeltà, nutrita da trofei e momenti indimenticabili, lo ha spinto a investire centinaia di milioni per "riportare la Juve alla gloria che merita", come ha dichiarato lui stesso. E qui arriva il confronto doloroso con il Torino. Immaginate la situazione opposta: un club come il nostro, guidato da oltre 20 anni da Urbano Cairo, che ha portato a un'era di mediocrità cronica, con risultati sportivi deludenti e una gestione orientata più ai bilanci che alle ambizioni. I giovani tifosi granata degli anni '90 hanno vissuto per un breve periodo l'entusiasmo di giocatori come Lentini, Cravero, Casagrande o Policano, ma poi è arrivato un ventennio di delusioni, con gli ultimi 15-20 anni di puro "piattume": un solo derby vinto (e regalato dagli avversari), rare qualificazioni europee svanite rapidamente, e sconfitte umilianti come il 7-0 dal Milan, il 7-0 dall'Atalanta o le 5 pappine dal Como, o la vittoria di Bilbao.A cosa può affezionarsi un nuovo tifoso granata oggi? Alle lacrime di Vives? Ai comunicati al vetriolo di Di Michele? Alle proteste sterili fuori dallo stadio? Alle marce? A un cammino in Coppa Italia che non vede una semifinale da oltre 30 anni? A una politica di mercato che ha sacrificato ogni potenziale bandiera (da Buongiorno a Belotti, passando per tanti altri) sull'altare dei bilanci, che peraltro continuano a essere in rosso?Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il Torino sta perdendo appeal tra le nuove generazioni. Secondo indagini recenti (StageUp-Ipsos 2025), i tifosi granata stimati sono scesi a circa 409.000, con un calo dell'11-12% in un solo anno – un trend in discesa da tempo, aggravato da una media spettatori allo stadio in forte flessione (da oltre 24.000 a circa 21-22.000 a partita nella stagione in corso). I nuovi tifosi nascono quasi esclusivamente dalle famiglie storiche: i figli di chi già tifa Toro. Ma senza vittorie, personaggi, emozioni forti o un progetto ambizioso, questo passaggio generazionale si sta interrompendo. I giovani preferiscono squadre che trasmettono successi, identità vincente o almeno speranze concrete.Per questo, il Toro rischia di non produrre mai più un "Ardoino granata": non solo un miliardario appassionato pronto a investire tutto per rilanciare il club, ma persino un imprenditore visionario con risorse, idee fresche e vera volontà di cambiare le cose. Dopo Cairo, è realistico l'arrivo di gestori freddi e speculativi, più interessati a mantenere lo status quo che a sognare in grande. Che il Toro sia morto viene ripetuto più volte perché ormai è oggettivo, eppure una fiammella di speranza esiste sempre. Ma a coltivarla dovrebbe essere una persona che realmente ama questo club e che non passa un mese a limare i dettagli per comprare Salvatore Lanna dal Chievo o Vanoli dal Venezia per risparmiare duecentomila euro. 
 Per questo siamo finiti. 

Buon toro-cremonese a tutti.

venerdì 12 dicembre 2025

... 12 dicembre 1969 ...

«È stato il momento in cui, più di tutti, siamo andati vicino alla perdita della democrazia formale, in Italia». 

Pier Paolo Pasolini sulla strage di Piazza Fontana.
12 dicembre 1969: il primo di una lunga serie di massacri. Bombe fasciste, mandanti negli apparati dello Stato italiano e a Washington. L'hanno chiamata "strategia della tensione". Hanno traumatizzato il nostro paese, ne hanno spezzato la volontà con una lunga scia di sangue. 
Il risultato è l'Italia in cui viviamo oggi. Tutto dimenticato? 

 #stragefascista #stragedistato #strategiadellatensione

... breve riflessione ...

Breve riflessione sulla Federazione Russa e su Vladimir Putin. 


 Gli ultimi avvenimenti della “Operazione Speciale” promossa dalla Federazione Russa contro l’Ucraina mi hanno convinto definitivamente che mai e poi mai i russi porranno fine alla guerra, a meno che l’accordo di pace preveda condizioni favorevolissime alla Russia o la conquista del paese aggredito non si realizzi completamente. Lo desumo non solo dall’analisi delle parole e dai comportamenti di Vladimir Putin, da cui si ricava il suo fine personale recondito ma nei fatti chiaro (sembra un ossimoro ma non lo è), ma dalla storia del gigante euro-asiatico. Muovo dalla seconda affermazione per poi concludere con la prima. Il “mito imperiale” e l’idea della “Grande Russia”, che sono impregnate profondamente nella società russa, hanno origine in una articolata e pluricentenaria elaborazione ideologica alimentata dal cristianesimo ortodosso e dall’autocrazia che sin dal tempo zarista la guidano ininterrottamente. L’espansione territoriale della Federazione Russa, portata avanti o manu mitari o attraverso operazioni politico - economiche in grado di riportare nella piena influenza russa i paesi che facevano parte dell’URSS sino al 1991 (vedi il caso della Bielorussia), costituisce un obiettivo non solo geografico, militare, economico e politico, ma ideologico e persino messianico. Andando alla seconda, qual è il miglior modo di passare alla storia ed essere considerato il “padre della patria” se non riconsegnando ai russi l’interezza del territorio e dunque del ruolo planetario avuto sino al 1991? Vladimir Putin l’ha capito benissimo e vuole essere lui, nei prossimi secoli, il “padre della patria” della “Grande Madre Russia”. Ecco perchè, purtroppo, Vladimir Putin e la Federazione Russa non si fermeranno sino a che le lancette della storia non saranno riportate indietro. 

Antonino Salsone.

... a corto di realtà ...

𝐋’𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐚 𝐢𝐧 𝐚𝐫𝐦𝐢 𝐞 𝐚 𝐜𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀ 


Il #buongiorno di Giulio Cavalli 


Sentite qua: «È possibile che la priorità di chi ci governa oggi sia affrontare tutti i giorni il tema di come reagire alla minaccia della guerra?». E poi: «Se guardate l’Unione europea, oggi abbiamo molti più poveri e disuguaglianze rispetto ai rischi potenziali che derivano da una minaccia reale – non percepita o teorica – della guerra. Forse l’Europa si sta concentrando su priorità che non sono quelle che consentono di costruire un futuro a medio-lungo termine. La parte di difesa è indispensabile, ma se diventa l’unico argomento di discussione, si perde il contatto con la realtà, con le persone che vivono i nostri Paesi». A pronunciare queste parole ieri, durante l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Luiss di Roma, non è stato un brigante pacifista e nemmeno un classificato “putiniano”. È lo stralcio di un discorso a braccio, pubblicato dal quotidiano Il Domani, di Carlo Messina, consigliere delegato e amministratore delegato del gruppo Intesa Sanpaolo. Un gruppo bancario tutt’altro che santo quando si parla di interessi trasversali sugli armamenti e quindi anche sulle guerre. Che la guerra sia l’ultimo rifugio degli incapaci non lascia dubbi. Ma in questi mesi stiamo assistendo anche alla guerra come bromuro di qualsiasi altra istanza, comprese le più fondamentali per la dignità – se non addirittura la sopravvivenza – dei cittadini europei. Che Trump sogni lo sbriciolamento dell’Europa non lascia molti dubbi. Farlo diventare l’unico punto dell’agenda politica è il miglior regalo che gli si possa fare.

giovedì 11 dicembre 2025

... conferenza stampa ...

La conferenza stampa di Gianluca Petrachi. 


Quando è nata l'idea? "Vedo tanti volti conosciuti, abbiamo già vissuto anni belli e intenso ed è bello tornare nella mia casa per dieci anni. Non ero più tornato a Torino, rientrarci è stato pieno di emozioni, Non è stata una cosa pensata o studiata, con Cairo ci siamo sentiti quando il Toro ha giocato a Lecce ma non è venuto. Poi, all'improvviso, mi ha fatto percepire che c'era qualcosa che poteva nascere. Voleva capire se io potessi pronto a tornare e avessi le motivazioni, ho risposto che sono nato pronto. Sono arrivato di notte" Come intende lavorare per colmare il gap? "Da fuori, ho notato una cosa e cercherò di lavorarci: è come se ci fosse uno scollamento. Il senso di appartenenza è la priorità. Da calciatore non ho capito cosa fosse il Toro, da dirigente è stato un altro mondo. Ho capito la mission, qui si entra in un club diverso. E il senso di appartenenza per tutti i giocatori deve essere rimarcato e bisogna anche farlo capire loro. Cercherò di comprendere il senso di appartenenza, ho cercato sempre di creare un senso di famiglia: voglio risentire quel calore, voglio ricreare quella sinergia. E, se possibile, alimentandola con la gente. E' il mio sogno' Si è fatto un'idea sulle problematiche del Toro? Cosa serve a gennaio? 'Mi sono fatto delle idee, è giusto che sia cosi. L'idea più importante la sviluppi insieme al tecnico: con lui ho chiarito alcune tematiche tattiche, come secondo lui è giusto giocare ed eventuali correttivi. Ho le idee più chiare, ho passato la giornata con Baroni e mi ha dato linee guida e non devono esserci equivoci tattici. Magari ci sono calciatori scontenti e dobbiamo prendere giocatori funzionali. Non sarà una mercato di rivoluzione, ma riparazione. Magari manderemo a giocare qualche giocatore che nel 3-5-2 trova poco spazio e che aveva più senso in un 4-3-3 o 4-2-3-1" Quale l'errore che non rifarebbe? "Magari nell'ultimo anno ero in una situazione, dopo nove e anni e mezzo, avevo stanchezza mentale e mi sarei dovuto confrontare con il presidente. Succede anche tra moglie e marito a volte qualcosa non va alla perfezione. Questo è stato l'errore che non commetterei più Sono qui a riprendermi ciò che ho lasciato, con tutta l'esperienza e conoscendo la piazza posso dare qualcosa in più per crescere il club per come merita" Si può ripetere un ciclo che porti in Europa? C'è una base buona? "Senza ambizione di poterlo fare, era inutile presentarsi. Voglio risentire i tifosi cantare al San Mamès, è stata una delle gioie più grandi del mio ciclo. Mi ha lasciato ricordi incredibili e non vorrei che rimanessero solo ricordi. Darò più di ciò che posso per arrivare a obiettivi che il Toro deve e può meritare" La prima era partì con una bomba carta... "Anche ieri, magari è di buon auspicio. Avranno pensato, 'E' arrivato Gianluca' " Ha avuto colloqui individuali? "I calciatori, quasi sempre, danno tutto anche per le persone che lavorare per loro. Penso a magazzinieri, medici, team manager, a tutti: se non scatta l'empatia...Le gioie più importanti sono per la gente che lavora per i ragazzi. Il mio senso di appartenenza parte dalle radici. Dobbiamo avere compattezza, se un ragazzo non sente cos'è il Toro lo deve capire. Perdere o vincere non è la stessa cosa. Ora partiranno tutti i colloqui con i giocatori, voglio capire chi vuole restare e chi vuole andare via. Ho parlato con qualcuno ieri, ma velocemente perché la cosa più importante era parlare con l'allenatore" E' peggio il momento in cui arrivò con le bombe carta oppure oggi con la squadra isolata al Filadelfia senza connessioni particolari con la tifoseria? "Sicuramente quello fu un momento molto difficile, si era in B e in zone basse della classifica vicino ai play-out. C'era un tutto contro tutti, i giocatori in parte furono aggrediti e fu complicata. Non nascondo che trovo che oggi ci dobbiamo rendere che la situazione non è semplice. Alla squadra ho detto che voglio vederli cattivi, con il coltello tra i denti. Dobbiamo renderci conto che distiamo quattro punti dal baratro: sono stanco di sentire che la squadra è forte tecnicamente, perché la squadra deve vincere i contrasti. Se non metti garra, fai fatica perché non sei metallizzato su un certo tipo di campionato che purtroppo si è palesato. Dobbiamo uscire immediatamente dalle sabbie mobili. Con la Cremonese voglio una squadra che lotti e che vinca i duelli. Contro il Milan ho visto un primo tempo di coraggio, nella ripresa si è abbassata. Ho detto al mister che non mi piace abbassarti, perché il gol te lo fanno. Dobbiamo stare lontani dalla nostra parte. Inizieranno a conoscermi..." Sarà un mercato creativo come nel 2010? "Se non sei bravo a farne uscire uno, ti crea problemi. Devo essere aiutato a fare collaborazioni furbe e intelligenti: se devo prendere un braccetto e liberare un trequarti...Non è solo creatività, di sicuro il mercato di gennaio è complicato e quando sono arrivato tanti giocatori volevano scappare. Oggi in tanti vogliono restare, ma devono dimostrarmelo" Manterrete il 3-5-2: qual è l'urgenza più assoluta in vista della Cremonese? Cos'ha chiesto a Baroni? "A Baroni ho chiesto di fare il Marco Baroni che conosco, di tirare fuori tutto ciò che ha dentro. Abbiamo giocato insieme a Lecce, è sempre stato uno caratteriale: da calciatore era cazzutissimo, da allenatore voglio che tiri fuori ciò che ha dentro. Marco può e deve fare di più, gliel'ho detto. Mi aspetto che la squadra gli somigli. Baroni è un grande lavoratore e ha temperamento: l'unica cosa che deve fare, è pretendere dai suoi giocatori che questa è la squadra di Baroni. Nella sua Lazio vedevo voglia di aggredire e di non stare in attesa, oggi il Toro deve avere un'identità. Pretendo che Baroni trasmetta le sue caratteristiche" Che risposta si aspetta sabato? "L'ho detto a Baroni, la Cremonese mi fa paura. A Bologna hanno giocato sugli errori degli avversari e sulle lacune, sfruttandole al meglio. Sarà una gara difficile, Nicola lo stimo e che studia molto gli avversari. Dobbiamo capire che sabato per noi è da coltello tra i denti. Se non lo capiamo, è un problema: è un messaggio che sto cercando di infondere. Un giocatore deve pensare che se viene saltato da un avversario, è una sconfitta. Dobbiamo vincere i contrasti, altrimenti ci passano come gli indiani. Ci sono tre o quattro leader che devono portare dentro i compagni: le gare si vincono vincendo i duelli personali, noi ne vinciamo pochi"

... record di m...a ...

Ecco la Presidente del Consiglio che ricompare dopo mesi di silenzio con un video patinato: lei sola, in cucina, a decantare la “grandezza della cucina italiana” e l’UNESCO. Intanto in Italia: 2,2 milioni di famiglie in povertà assoluta (5,7 milioni di persone, record storico Istat). 1 italiano su 10 non riesce più a mettere un piatto di pasta in tavola Mense Caritas e dormitori pieni come mai prima Bollette alle stelle, affitti impossibili, stipendi fermi da 30 anni Nel frattempo, in Italia: - 2,4 milioni di famiglie (9,7% del totale) vivono in povertà assoluta (Istat 2024). - 5,7 milioni di individui non riescono a mettere insieme un pasto proteico adeguato ogni due giorni. - 1 italiano su 10 salta i pasti o mangia meno perché non ha soldi. - I prezzi della pasta sono aumentati del 50-60% in due anni, il pane +30%, l’olio +70%. - Le mense Caritas hanno registrato +40% di nuovi poveri italiani che chiedono un piatto caldo. E lei? Spende 8 miliardi in più per la difesa nel 2025 (34 miliardi totali). Manda altri 2 miliardi di armi all’Ucraina. Aumenta le spese militari al 2% del PIL come chiesto dalla NATO (circa 40 miliardi/anno entro il 2028). Taglia invece il Reddito di cittadinanza, il poco che teneva in vita milioni di persone.Quindi ricapitolando: Mentre c’è gente che non arriva a fine mese e non può permettersi neanche un pacco di spaghetti, la Presidente del Consiglio si mette ai fornelli a fare propaganda nazional-poppettara con la bandiera italiana sullo sfondo e poi firma decreti per mandare miliardi in missili e carrarmati. Vergogna. Questa non è la difesa della “cucina italiana”. Questa è la fotografia di una classe politica completamente scollegata dalla realtà, che preferisce fare la influencer mentre il suo popolo fa la fila alla Caritas.

... il rapporto con l'URSS ...

I giornali governativi esaltano la Meloni perché ha incontrato Zelensky e questo la renderebbe “centrale nella politica internazionale e nella diplomazia”. Siamo alle comiche. Come se incontrare Zelensky, un uomo ormai debolissimo, fosse un segno di forza. La verità è che Meloni non ha mai toccato palla in questi anni sulla guerra in Ucraina e questa è una colpa che si porterà dietro per sempre. È aiutata dal fatto che pochissimi politici e giornalisti le ricordano le sue immense responsabilità. Proprio per il rapporto storico che il nostro Paese ha sempre avuto con l’URSS prima e con la Russia poi, l’Italia avrebbe dovuto immediatamente scegliere la linea neutrale e proporsi come mediatrice nella guerra in Ucraina. L’Italia, lo ricordo, faceva affari con l’URSS anche quando il mondo era diviso in blocchi. Enrico Mattei, a parole elogiato dalla Meloni, comprava gas dai sovietici quando l’Armata Rossa invadeva Budapest o quando Mosca annunciava la costruzione del Muro di Berlino. Gianni Agnelli, il simbolo del capitalismo italiano, faceva affari su affari con Mosca mentre le guardie sovietiche sparavano ai tedeschi che cercavano di scavalcare il Muro. L’Italia era allora infinitamente più autonoma e sovrana di quella attuale. E la cosa ridicola è che questo governo di camerieri viene definito sovranista. Nel maggio del 1966 venne firmato a Mosca un accordo tra Aleksandr Tarasov, ministro dell’industria automobilistica dell’URSS, e Vittorio Valletta, presidente della Fiat, per la realizzazione di un immenso stabilimento automobilistico a Togliatti, una città russa che si trova lungo il Volga. Il 2 febbraio del 1967, Nikolaj Viktorovič Podgornyj, Presidente del Presidium del Soviet Supremo dell’URSS, in visita ufficiale in Italia, visitò lo stabilimento Fiat di Mirafiori accompagnato da Andreotti, all’epoca ministro dell’Industria, e da Giusto Tolloy, ministro per il Commercio con l’estero. Venne accolto calorosamente dall’Avvocato Agnelli che volle ribadire la solidità delle relazioni industriali tra l’Italia e l’URSS. E gli affari proseguirono anche quando, a seguito della Primavera di Praga, i carri armati del Patto di Varsavia entrarono a Praga per sedare le sacrosante richieste di libertà dei giovani cecoslovacchi. Alcuni mesi dopo, un giovane studente cecoslovacco, Jan Palach, si diede fuoco per protestare contro l’occupazione sovietica del Paese. Ecco, mentre avveniva tutto questo, l’Italia faceva affari con Mosca. Queste relazioni, solide, vantaggiose per entrambi, capaci di resistere anche ai venti più tragici della Storia, avrebbero dovuto spingere i governanti italiani a portare avanti una linea del tutto diversa da quella sostenuta nei primi anni di guerra da Biden e Ursula von der Leyen. Ma prima Draghi e poi la Meloni non hanno fatto altro che ubbidire agli ordini NATO e UE, esponendo l’Italia ai contraccolpi economici ed energetici e al rischio di una sconfitta in Ucraina che la Meloni forse oggi ha capito che potrebbe trasformarsi in disfatta. Oggi, soltanto oggi, e solo perché Trump ha compreso la realtà, la Meloni prova a smarcarsi da Bruxelles. Ma è la stessa Meloni che ha pubblicamente “scommesso sulla vittoria di Zelensky” decine di volte, che ha armato Kiev senza dire agli italiani cosa stessimo inviando. È la stessa Meloni che ha accettato di smettere di comprare gas russo e di sostituirlo con il gas liquido americano. È la stessa Meloni che, il 20 marzo del 2024, disse queste parole ridicole: “Putin durante il G20 sosteneva una tesi del tipo: noi vorremmo la pace ma gli altri non la vogliono, e gli ho risposto: è molto facile, ritiri le truppe e avrà la pace come lei ha voluto la guerra”. Avete letto bene. Nel marzo del 2024 sosteneva che c’era un modo per ottenere la pace: il ritiro di Mosca. Ieri ha parlato con Zelensky di “concessioni dolorose”. Capito sì? Una delle artefici della sconfitta UE in Ucraina oggi suggerisce a Zelensky di cedere perché vuole il bacetto sulla fronte da Trump dopo aver ottenuto, come sempre grazie alla vile ubbidienza, quello di Biden. La Meloni in questi anni non ha fatto nulla a parte ubbidire. Non ha mai avuto una linea propria. Quando la Casa Bianca sosteneva Kiev con armi e centinaia di miliardi lei stava dalla parte della Casa Bianca. Adesso che alla Casa Bianca c’è un presidente che per affarismo, amore per Putin, realismo e chissà, anche perché ha capito che la situazione potrebbe davvero degenerare, spinge per un negoziato, lei sta con la Casa Bianca. Ma vi dico questo: se le elezioni le avesse vinte la Harris (e grazie a Dio non le ha vinte lei) la Meloni oggi ubbidirebbe alla Harris come ha fatto a Biden, della quale la Harris era vicepresidente. “Ora, questo tiranno solo non è necessario combatterlo, né abbatterlo. Si dissolve da sé, purché il Paese non accetti di essergli asservito. Non si tratta di togliergli qualcosa, ma di non dargli nulla”, scrive Étienne de La Boétie nel Discorso sulla servitù volontaria. Sono convinto che se l’Italia si fosse comportata davvero in maniera autonoma, davvero in maniera sovrana, non solo si sarebbe portata dietro altri Paesi UE che boccheggiano per via della guerra Russia-NATO in Ucraina, ma che alla fine la stessa Casa Bianca avrebbe accettato una maggiore indipendenza decisionale dell’Italia. Certo, la nostra sovranità è ancora limitata, ma siamo diventati colonia USA più per pavidità propria che per pressioni altrui. E la Meloni, la regina del finto sovranismo, è uno dei massimi artefici di questa fine ingloriosa del nostro Paese. E in tal senso è anche comprensibile che Trump tratti l’UE da serva, perché i servi vanno trattati da servi se preferiscono, per carriere personali, servire nazioni straniere piuttosto che i loro popoli. 

 Alessandro Di Battista

... pelle morta ...

L’Atalanta continua a muoversi per l’Europa come una creatura ostinata e feroce, una di quelle che nessuno invita ma che finisce sempre al centro della scena, lasciando dietro di sé folle urlanti e sogni che sembravano impossibili fino ad un minuto prima. Ed ogni volta che stende un gigante d’Europa, Bergamo trema come una città che ha deciso di prendersi il suo posto nel mondo a forza di denti e polmoni. E poi c’è il Torino. Il Torino che vaga ai margini del calcio come un lampione bruciato in una strada dimenticata, dove non passa più nessuno se non il vento che porta con sé rimpianti e vecchie ambizioni accartocciate. E mentre l’Atalanta festeggia l’ennesima impresa europea ficcando due pallini al Chelsea, quel mitomane fallito di Urbano Cancro se ne sta seduto come un imperatore di cartapesta, circondato da pagine che gli raccontano quanto sia brillante, lucidato da una piccola corte di penne compiacenti e cagnolini da compagnia che gli raccontano quanto è bello, bravo, intelligente ma perseguitato dal fato avverso. Addirittura qualcuno gli chiede di dispensare consigli su come salvare il calcio italiano: come domandare ad un vegano come cuocere al meglio una fiorentina. Che poi la Fiorentina con tutto quello che ha speso è ultima, ti risponderebbe Cairo. Il tutto, è bene ricordarlo, mentre la sua squadra ne prende dieci in tre partite, compresa una manita interna dal Como, la prossima Atalanta che verrà. Vent’anni ininterrotti così. Roba da chiodi, roba da ergastolo ostativo. A Bergamo fanno rumore perché esistono, perché se lo sono guadagnato centimetro per centimetro, senza piangere addosso a nessuno. A Torino, invece, sembra di sentire solo il fruscio della polvere che si accumula, mentre qualcuno continua a raccontarsi favole per non guardare il disastro nello specchio. Il calcio non perdona: ti mette nudo in mezzo alla piazza, ma non è crudele: è onesto Premia chi corre, chi osa, chi programma, chi non chiede scusa per voler andare oltre i propri confini. Al contrario lascia indietro chi preferisce raccontarsi grande invece di provare ad esserlo per davvero. A Bergamo vanno in Europa. A Torino per andare in Europa si aspettano le gite anziani organizzate, tipo 60 ore seduto su di un pullman per raggiungere Fatima in pellegrinaggio e comprare a forza una batteria di pentole nel viaggio di ritorno. A Bergamo festeggiano. A Torino giustificano e bestemmiano. A Bergamo c’è uno stadio nuovo e pieno. A Torino, per riempire uno stadiolo di merda, Cairo è costretto a regalare biglietti o aspettare l’invasione dei tifosi ospiti. A Bergamo applaudono la pelle dura. A Torino resta solo la pelle morta, quella che togli con il guanto per lo scrub e poi butti un po’ schifato nello scarico. A Bergamo c’è il futuro, a Torino solo un passato da ricordare. 
E nient’altro da dire. 

Ernesto Bronzelli.

mercoledì 10 dicembre 2025

... notizie dal Toro ...

 ESONERATO VAGNATI, TORNA PETRACHI BREAKING NEWS!


Clamoroso nell'area tecnica del Torino. Addio al direttore sportivo e responsabile dell’area tecnica Davide Vagnati che lascia dopo cinque stagioni e bentornato a Gianluca Petrachi.

Colpo di spugna del presidente Cairo che, come riporta Sky Sport, ha deciso di azzerare i vertici dell’area tecnica. È ufficiale l’esonero di Davide Vagnati, che non sarà dunque più il Direttore Sportivo e Responsabile dell’Area Tecnica con effetto immediato. Vagnati ricopriva questa carica dal 2020, con un'esperienza dunque che si chiude dopo cinque anni. L'ex Spal paga i risultati della squadra, in questo momento, al di sotto delle aspettative estive e delle potenzialità dell’organico, come riporta La Gazzetta dello Sport. Al suo posto c'è un grande ritorno: quello di Gianluca Petrachi. L'ex attaccante è stato dirigente granata per quasi un decennio, dal 2010 al 2019.

DAVIDE VAGNATI, PER NOI È IL PEGGIORE DS DELLA STORIA GRANATA! 

Come un fulmine a ciel sereno, il Torino comunica l'esonero di Davide Vagnati, per 5 anni responsabile dell'area tecnica granata. Noi onestamente non ce lo aspettavamo poiché ormai il suo ruolo in società era fortemente limitato. Negli ultimi anni il mercato granata è passato tra le mani di vari agenti sportivi, dal clan Riso al recente LP Management S.r.L. di tale Luca Puccinelli, l'agente di Baroni. Il contratto dell'ex ds della Spal era stato rinnovato appena un anno fa fino al 2027, in maniera alquanto clamorosa dopo le infelici dichiarazioni su Che Adams ( che avrebbe potuto andare in club importanti) e che hanno fatto infuriare i tifosi. Urbano Cairo si è accorto che fare il mercato con i procuratori può non essere conveniente, soprattutto se scegli quello di un allenatore scarso come Baroni. E qui arriva il problema. Vagnati ha voluto Baroni. Cairo neanche lo conosceva, parola sua. Da tutto ciò si evince che il mercato e le strategie dipendono in parte dal DS che influisce su alcune scelte e poi i procuratori di turno che cercano di rifilare tutti i bidoni possibili a costo zero. Non a caso, Fazzini, rappresentato da Puccinelli, non è arrivato perché costa, a differenza di Anjorin e altri scarponi arrivati gratis. Cosa rimane di Vagnati al Torino? - Ruggero Ludergnani, il suo fido scudiero alla Spal che sta distruggendo la primavera granata (futuro esonero pure per lui?) - una serie di professionisti arrivati da Ferrara, da Minafra, a Specchia, passando per Andreini, Bernardelli e addirittura una segretaria sportiva. Vagnati ha dato da mangiare a diversi professionisti mentre la gente "da Toro" non veniva neanche presa in considerazione per ruoli manageriali e neanche per le giovanili, con la squadra primavera affidata a uno come Cottafava (poi esonerato) Come mai il Toro non vince mai il derby? Fatevi qualche domanda. Davide Vagnati ha portato tanti bidoni al Toro e ha fatto innumerevoli danni, allineandosi a parole, a una presa per il culo infinita. Per tutti questi motivi, per noi, è il peggior DS della storia granata. Speriamo che sia un addio. 

 Caro Davide, in bocca al lupo o meglio...in culo alla balena. Di culo te ne intendi visto che hai contribuito a mandare dal culo questo club.

... forza evasori!!! ---

Il tetto ai contanti sale a 10.000 euro: tranquilli, è solo per aiutare i poveri evasori in difficoltà Roma, ore cena. Il governo Meloni, quello del “Dio, Patria e Famiglia” e della lotta senza quartiere all’evasione fiscale, ha appena approvato il nuovo limite ai pagamenti in contanti: diecimila euro. Dieci. Mila. Euro. In banconote. Perché, si sa, l’italiano medio che deve comprare una macchina usata, un divano o pagare l’università ai figli gira normalmente con una mazzetta da cento pezzi da cento nel portafoglio. È roba da tutti i giorni. Come avere le chiavi di casa o il telefono. La giustificazione ufficiale? “Liberiamo i cittadini da lacci e lacciuoli”. Traduzione: liberiamo gli evasori, gli amici degli amici, i commercialisti creativi e qualche politico con la valigia 24 ore sempre pronta. Perché è noto che l’evasore fiscale soffre terribilmente quando è costretto a fare un bonifico tracciabile. Gli fa male al cuore, poverino. E poi, diSciamocelo: chi è che paga in contanti 9.999 euro per non superare il vecchio tetto? Solo i disonesti, ovviamente. I galantuomini, invece, adesso possono tranquillamente girare con 10.000 euro in tasca senza destare sospetti. È praticamente un certificato di onestà rilasciato dal Ministero dell’Economia. Fratelli d’Italia, il partito che voleva la “tolleranza zero” contro i furbetti del cartellino e gli evasori, oggi brinda al grande passo avanti: l’evasione non è più un reato, è uno stile di vita patrocinato dallo Stato.Del resto, quando hai promesso di combattere la criminalità organizzata e poi alzi il tetto ai contanti, è solo una piccola incoerenza. Come dire: “Combatto la mafia, ma se vuole pagare il ristorante in nero, accomodati pure”. 

Grazie, Presidente Meloni. Grazie per aver chiarito una volta per tutte chi è il vero nemico del popolo italiano: non l’evasore, ma il cittadino onesto che paga le tasse fino all’ultimo centesimo.
E ora scusate, vado a stirare le mie banconote da 500 euro. Non si sa mai, potrebbero tornare utili. 

Povera Italia
Nell'ormai lontano 2020 la soglia dell'uso del contante era di 2 mila euro. Ma la Meloni già con la Legge di Bilancio 2023 ha innalzato questo limite a 5 mila. Chi di noi non fa acquisti in contanti per 5 mila euro o non gira abitualmente con tutto questo contante in tasca? È ovvio si tratti di un provvedimento per il popolo no?!? Ma mica bastava. Ora che la Meloni ha visto che il popolo italiano si è ulteriormente arricchito ha ben pensato di innalzare questa soglia a 10 mila. 10 mila euro! In pratica, un regalo di Natale per evasori, e quanti delinquenti, qui al Sud prevalentemente mafiosi, riciclino il denaro sporco. Ad approvarlo, in modo sia chiaro da chi arriva il regalo, direttamente i Fratellini della Meloni con un emendamento alla manovra e tanto di segnalazione al Mef. E tutto questo in un paese che negli ultimi 30 anni si è impoverito, ha gli stipendi fermi da 30 anni, l'inflazione alle stelle e vede il numero di quanti non sono in grado di curarsi passare da quattro a sei milioni di italiani? Il salario minimo a 9 euro all'ora no. Gli acquisti con 10 mila euro in contanti sì. 
Ma lo capite per chi governa questa? Ma vi svegliate? Del popolo, degli interessi popolari, delle classi lavoratrici non gli interessa nulla. Nulla! Al popolo chiacchiere a vuoto, fuffa. Ai ricchi ed ai disonesti contanti. Il mondo al contrario. Ma davvero!!! 

 Mario Imbimbo.

... un castello che crolla ...

𝐀𝐥𝐛𝐚𝐧𝐢𝐚: 𝐢𝐥 𝐜𝐚𝐬𝐭𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐠𝐢𝐮𝐬𝐭𝐢𝐳𝐢𝐚 𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐦𝐨𝐥𝐞𝐧𝐝𝐨 

Il buongiorno Giulio Cavalli per Left 


 Ogni giorno il progetto Albania si sgretola sotto il peso delle verifiche giuridiche. La decisione della Corte di giustizia Ue di accelerare l’esame del rinvio della Corte d’appello di Roma apre una faglia che attraversa l’intero impianto dell’accordo: il dubbio riguarda la legittimità stessa della firma italiana, in un settore che l’Unione ha già disciplinato in modo dettagliato. I giudici romani osservano che i centri di Shengjin e Gjader alterano il sistema comune di asilo, entrando in collisione con le norme europee dedicate alla tutela dei diritti fondamentali. La vicenda arriva dopo mesi in cui la magistratura ha evidenziato crepe profonde: dalla decisione Ue di agosto sui «paesi di origine sicuri» fino al rinvio sollevato dalla Cassazione sulla seconda fase del protocollo, quella che prevede il trasferimento degli “irregolari” verso Gjader. Il nuovo procedimento è il più incisivo, perché mette in discussione l’esistenza stessa del protocollo e restringe gli spazi degli Stati membri nella stipula di accordi internazionali in aree di competenza condivisa. Nel frattempo l’esecutivo continua a presentare le discussioni europee su Paesi sicuri e return hubs come un’investitura politica. Il Consiglio ha solo definito una posizione negoziale che dovrà passare al Parlamento e alla Commissione, mentre la Corte ricorda che persino gli atti comunitari restano sottoposti al controllo dei giudici nazionali. 
 Il progetto Albania avanza così in un territorio sempre più incerto. 
Ogni passaggio della giustizia ridisegna la mappa reale del diritto e lascia emergere un dettaglio che la propaganda ha tentato di mettere ai margini: l’esperimento d’Oltreadriatico poggia su fondamenta che mostrano crepe sempre più visibili.

... tre uomini ...

C’è un palazzinaro newyorkese che ha eretto grattacieli e accumulato immense ricchezze a spese di altri, truffando, ingannando e sfruttando il proprio potere. Un bugiardo sguaiato e inopportuno che insulta chi lo contesta, offende le minoranze e marginalizza i più fragili, diventato l’uomo più potente del mondo. C’è un dittatore assassino, che ammazza gli oppositori, arresta i giornalisti, processa cantanti e poeti, mentre libera stupratori e pluriomicidi, invade paesi sovrani e sogna di cancellare interi popoli mentre ne rapisce e violenta i bambini. Un despota criminale che governa una nazione grande quanto un continente con immense risorse naturali. E poi c’è il comico senza giacca e cravatta, diventato presidente di un paese povero e spopolato. Un piccolo uomo che, con i carri armati nemici alle porte, ha scelto di restare con la sua gente anziché accettare un esilio dorato, trasformando così il suo paese che fino ad allora era stato la periferia dimenticata d’Europa nel principale bastione di difesa dei suoi valori. Un non politico improvvisatosi politico che, con una felpa addosso e una buona dose di incoscienza si è posto alla guida di uomini e donne che, in attesa di aiuti che non arrivavano mai, si sono rimboccati le maniche, iniziando a fabbricare molotov negli scantinati mentre le bombe piovevano sulle loro teste. Un non leader costretto a diventare leader, ma anche specchio e totem della fierezza di un’intera comunità che ha deciso di anteporre la propria libertà persino alla vita stessa. Oggi quell’uomo, che continua a dare al mondo lezioni di dignità, e lo ha fatto anche ieri dicendosi disposto ad andare ad elezioni se qualcuno si prenderà la briga di garantirne la sicurezza, sopporta quotidianamente proprio dai due potenti bulli criminali, critiche, insulti, pressioni e ricatti di ogni genere, sebbene da quasi quattro anni viva al contempo il dolore e l’onore di guidare un popolo di eroi, disposto a morire pur di assicurare ai propri figli il diritto di crescere in un paese libero di compiere le proprie scelte. Se in questi quasi quattro anni (o in questi 12), davanti alle quotidiane immagini di devastazione delle città, alle foto dei tanti padri e mariti costretti ad andare al fronte per difendere le proprie famiglie, ai numeri dei bambini rapiti e militarizzati dalla Russia, all’idea di cosa fareste voi se sui vostri figli iniziassero a cadere missili o droni, non avete mai sentito il bisogno di postare una bandiera ucraina, di inviare un aiuto o un pensiero a chi resiste o di dire “Slava Ucraini”, avete scelto di stare con i bulli anziché con i bullizzati, avete preferito gli assassini alle vittime e tollerato l’idea che il metodo mafioso e la legge del più forte, anziché il diritto, diventino la nostra nuova costituzione. Io ho scelto di non chiamare pace una resa, di non chiamare pace la sopraffazione, di non chiamare pace l’ipocrita richiesta di far tacere le armi di chi si difende perché il loro rumore ci infastidisce. La pace, la vera pace, richiede coraggio, richiede sacrificio e richiede volontà. Altrimenti si diventa acquiescenti verso l’ingiustizia, si diventa complici del dittatore e del palazzinaro nel tentativo di rubare persino parola “pace” e trasformarla nella peggiore delle armi da usare contro chi resiste, soffre e muore perché di quella pace possa continuare a fruire anche chi, come noi, commette ogni giorno l’errore di darla per scontata. 

#PaceGiusta #SlavaUkraïni 

Marco Setaccioli.

martedì 9 dicembre 2025

... Corradino Mineo ...

La foto. Davanti al 10 Downing Street, Macron. Merz, Starmer. Presidente, Cancelliere e Premier di Francia, Germania e Regno Unito. Antiche nazioni europee, per oltre mille anni in guerra. Ora si ritrovano. Qualcuno guarda a una tale inedita intesa come al possibile motore di una nuova, e più solida, Unione Europea. Ma i tre sono in difficoltà. Accanto a loro Zelensky, leader di un paese che ha fatto parte dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica, indipendente solo dal 1991 e che da quasi 4 anni resiste all’avanzata di truppe russe nella sua terra. Francia, Germania e Regno Unito non vorrebbero che si arrendesse, che l’Ucraina venisse umiliata da un trattato di pace russo-americano che la trasformi da paese aggredito in aggressore e la costringa a cedere terre non ancora occupate dai russi. Mosca ha annunciato un processo per genocidio contro membri del governo ucraino, presunto genocidio sulle popolazioni del compiuto tra il 2014 e il 2022, data dell’invasione. E considera Francia Germania, Regno Unito potenze un tempo coloniali, sempre guerrafondaie. Musk pubblica una bandiera d’Europa che, scoprendosi, svela la svastica nazista.Trump ripete che l’Europa muove “nella direzione sbagliata”. In Italia una parte dell’opinione pubblica, sia di destra che progressista, detesta i quattro della foto. E Carlo Rovelli, che apprezzo come scienziato e divulgatore, al Fatto che gli ha chiesto “La spaventa la convergenza tra Putin e Trump sul piano americano?” oggi risponde “Spaventarmi? Che sia benedetta dal Signore! È un passo indietro rispetto alla Terza guerra mondiale”. Penso che un’intesa, ai danni dell’Ucraina tra le destre al potere in Russia e negli Stati Uniti non ci darebbe Pace all’Europa. Le toglierebbe libertà, autonomia, benessere. Posso sbagliare. La Cina. Nei primi 11 mesi del 2025 il paese ha fatto registrare un surplus commerciale mai toccato: 1.080 miliardi di dollari. Eppure gli Stati Uniti hanno imposto dazi sui loro prodotti e su paesi che li importano o li assemblano. Sia chiaro, la notizia ha due facce. Una positiva per Pechino, che ha a disposizione più capitali da investire in Intelligenza Artificiale, riconversione sostenibile, ricerca scientifica. L’altra non positiva, perché i consumi interni crescono poco. Si calcola che oggi il Renmimbi sia sottovalutato del 30% sull’Euro. Se il suo valore fosse più alto, i consumatori cinesi pagherebbero meno benzina, vini francesi, cosmetici giapponesi e potrebbero spendere di più in ristoranti, turismo interno, auto elettriche. La domanda interna è importante per lo sviluppo. Ma per noi occidentali la questione è un’altra. L’export cinese è pari o supera quello americano immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. Hanno vinto la guerra economica. Trump compiace Putin e Netanyahu per spuntare affari d’oro in Europa e in Medio Oriente. E nascondere la frustrazione degli americani per la sconfitta consumata. Anche quota europea del prodotto globale è scesa di 7-8 punti negli ultimi 30 anni. Scelte decisive urgono. Affidarci, come singoli paesi, agli Stati Uniti? Unire l’Europa, trasformare il sistema produttivo, investire in ricerca, commerciare con Cina, India, Brasile? Giustizia. In tempi di crisi è sempre centrale. Ben Gvir, chiamato a discutere la sua proposta per introdurre la pena di morte solo per i palestinesi della Cisgiordania, si è presentato con una vistosa spilla a forma di cappio. Il congresso americano si avvia a condannare come un abuso la decisione del ministro della guerra, Hegseth, di affondare navi di presunti narcotrafficanti, uccidendo poi anche i naufraghi aggrappati al relitto. Ma la Suprema Corte potrebbe concedere, a maggioranza, al Presidente Trump il diritto di licenziare ogni funzionario che non gli piaccia. “Ciò metterebbe nelle mani del governo un potere enorme e incontrollato” dice una giudice suprema di minoranza. In Italia due giornali aprono con le inchieste della magistratura belga sulla corruzione in Europa. Il Fatto sostiene che, dopo l’arresto di Panzieri (Qatargate) e le dimissioni di Mogherini (da rettrice del congresso d’Europa) perché sospettata di aver favorito la sua scuola per diplomatici, il Belgio starebbe ora indagando su un ebreo georgiano con passaporto italiano, per corruzione e frode su forniture NATO all’Ucraina. Corrotti e guerrafondai. Il Dubbio sostiene invece che ci sarebbe del marcio nella mani pulite delle Fiandre. Una squadra detta “Medusa” scriveva gli articoli scandalistici prima degli avvisi di garanzia. E li faceva leggere e correggere al commissario incaricato delle indagini. Insomma, una gigantesca macchina del fango. Credo che la giustizia non dovrebbe mai dipendere dal potere politico. Mi pare anche che molte inchieste siano servite a sputtanare avversari politici. E che importa, se anni dopo saranno assolti.

... Italia corrotta ...

𝐈𝐥 𝐏𝐚𝐞𝐬𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐦𝐚𝐳𝐳𝐞𝐭𝐭𝐞 𝐨𝐫𝐝𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐞: 𝐛𝐞𝐧𝐯𝐞𝐧𝐮𝐭𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐑𝐞𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐩𝐩𝐚𝐥𝐭𝐨 


Il #buongiorno di Giulio Cavalli 


L’Italia si scopre laboratorio permanente della corruzione. Dal primo gennaio al primo dicembre 2025 le inchieste censite da Libera sono novantasei, quasi il doppio dell’anno precedente, otto al mese, quarantanove procure coinvolte, 1.028 indagati: una folla che racconta la normalità del fenomeno più di qualsiasi convegno. La Campania guida la classifica con 219 persone sotto indagine, seguita da Calabria e Puglia; al Nord spicca la Liguria con 82. È un’Italia che trucca appalti, compra concorsi, scambia favori, baratta pure certificati di morte e cambi di residenza per ottenere la cittadinanza. Un Paese in cui il voto di scambio politico-mafioso riemerge nelle pieghe della grande opera come nel municipio di provincia. Cinquantatré politici sono sotto inchiesta, ventiquattro sono sindaci: l’epicentro istituzionale di un sistema che continua a riprodursi. Libera parla di una corruzione «solidamente regolata», dove ogni territorio ha il suo garante delle “regole del gioco”. E Francesca Rispoli avverte che le forme più moderne somigliano sempre più a una cattura dello Stato: leggi su misura, conflitti d’interesse accettati, opacità elevata a metodo. Il quadro è parziale, certo, ma la tendenza è inequivocabile. L’Italia che festeggia la “giornata contro la corruzione” si presenta con un anno archiviato così: un Paese che ancora non ha deciso se la corruzione sia un incidente o un ecosistema politico-amministrativo. 
«Occorre un patto nuovo», dice Libera. Finché resta lettera morta, le inchieste servono solo a misurare il livello dell’acqua. 

 𝐼𝑛 𝑓𝑜𝑡𝑜: 𝑜𝑝𝑒𝑟𝑎 𝑑𝑖 𝐿𝑢𝑐𝑖𝑎𝑛𝑜 𝐹𝑎𝑏𝑟𝑜 "𝐼𝑡𝑎𝑙𝑖𝑎 𝑟𝑜𝑣𝑒𝑠𝑐𝑖𝑎𝑡𝑎"

... la "colonia" Europa ...

IL RE È NUDO: IL TRAMONTO DELL’IMPERATORE E IL RISVEGLIO DEL COLONO 


Il re è nudo. E non serve più fingere di non vederlo. Le parole che in questi giorni arrivano dagli Stati Uniti – dal Presidente, dalle agenzie di sicurezza, dai centri strategici che contano davvero – hanno strappato definitivamente il sipario: l’Europa non è mai stata un alleato, è sempre stata una colonia. Una colonia docile, addomesticata, convinta addirittura di essere una “comunità di valori” mentre eseguiva per decenni gli ordini del suo padrone d’oltreoceano. Questa verità, che qualsiasi analista libero ripete da anni, oggi non può più essere nascosta nemmeno dalla stampa mainstream, quella che ha passato decenni a raccontarci la fiaba dell’Occidente unito, della democrazia esportata, dell’Europa “motore della pace”. Tutte formule vuote, buone per chi non vuole guardare in faccia la realtà geopolitica: il progetto europeo è nato e cresciuto come costruzione funzionale agli interessi degli Stati Uniti. Washington voleva impedire nuovi conflitti tra Francia e Germania, controllare il continente e avere un avamposto permanente contro l’URSS. L’Unione Europea è stata questo: una gigantesca zona di influenza, mascherata da progetto idealistico. E dentro questo meccanismo, Francia e Germania hanno fatto da luogotenenti imperiali. Hanno usato la Commissione come un loro ufficio interno: euro, regole fiscali, Green Deal, vincoli industriali, ora perfino la corsa al riarmo europeo. Tutto calibrato per proteggere Berlino e Parigi. E l’Italia? Sempre in fondo alla fila, trascinata da élite globaliste incapaci di difendere gli interessi nazionali e ancora convinte che Bruxelles sia un’idea di civiltà, mentre è semplicemente un apparato burocratico in decomposizione. Ma ora qualcosa si è rotto. Gli Stati Uniti, stretti dalla loro crisi interna e dalla sfida con la Cina, non hanno più né la forza né la volontà di mantenere il protettorato sull’Europa. Vogliono sganciarsi, riorganizzarsi, lasciare ai “vassalli” la gestione delle loro beghe. E per farlo devono chiudere la guerra per procura in Ucraina, una guerra che l’Europa ha alimentato obbedendo ciecamente alla linea di Washington e che oggi, con gli USA in ritiro, lascia Bruxelles e la NATO con il classico cerino acceso. Il padrone se ne va, il colono resta con il caos. Di fronte al proprio declino, l’Unione Europea reagisce come ogni regime alla fine del ciclo: irrigidendosi. Chiunque osi mettere in dubbio l’agenda europea viene etichettato come filorusso, putiniano, sovversivo. I media vengono “educati” con fiumi di finanziamenti pubblici; università e ONG trasformate in casse di risonanza della propaganda europeista. È il comportamento tipico di chi non riesce più a convincere: screditare, censurare, distorcere. La verità, però, è semplice: l’Europa non esiste come soggetto politico perché i suoi Stati hanno interessi inconciliabili. L’Italia non ha nulla a che vedere con le priorità di Berlino o con le fobie dei Paesi baltici. Perfino gli americani – quelli che contano davvero, non i portavoce con il copione – lo dicono apertamente: l’UE è un costrutto artificiale, superato, inutile al nuovo ordine globale. Il futuro, per loro, è una rete di accordi tra Stati sovrani, non un pachiderma burocratico che frena tutti. E allora l’Italia deve svegliarsi. Deve tornare a essere una potenza mediterranea, non un suddito nordico. Deve riallacciare rapporti autonomi con il resto del mondo, seguendo l’esempio di Mattei: dialogare con tutti, non inginocchiarsi davanti a nessuno. Deve tornare a difendere la propria industria, le proprie rotte energetiche, la propria politica estera, invece di causare danni strategici al Paese solo per non contraddire i dogmi europeisti o per accontentare le nevrosi geopolitiche altrui. Oggi il re è nudo. Gli Stati Uniti lo ammettono, l’Europa lo nega, ma la realtà è più forte della propaganda. Siamo stati per decenni una colonia mascherata da alleato. Ora il padrone si sta ritirando. E la domanda non è più se l’Unione Europea sopravviverà: la domanda è se l’Italia avrà il coraggio di uscire dal suo torpore e tornare finalmente a essere ciò che non avrebbe mai dovuto smettere di essere — un Paese libero che difende i suoi interessi, non quelli degli altri. 

Emiliano Occhi.