lunedì 31 agosto 2020

... fine agosto ...

... già, come ci siamo arrivati? Ci siamo, ecco tutto e tiremm innanz!!

... 150 anni fa ...

... una donna straordinaria, geniale, in forte anticipo sui tempi, una gloria italiana nel mondo! A centocinquanta anni dalla nascita di Maria Montessori, la neuropsichiatra infantile ideatrice di uno dei sistemi educativi più noti e adottati in migliaia di scuole nel mondo, ’gioca’ ancora e sempre di più con i suoi bambini. I giocattoli che si ispirano al suo metodo educativo (che non punta alla performance ma accompagna l'indole dei piccoli) sono sempre più numerosi così come le linee di arredo dedicate. La sezione ‘giochi didattici Montessori’ di Amazon ne conta già oltre un centinaio e su tutte le principali piattaforme online aumentano i giocattoli ‘montessoriani’. In legno o materiali naturali, puntano all’apprendimento diretto da parte dei piccoli, predicato dall’educatrice come elemento cardine della crescita. Si va dalle torri ai cubi ad incastro ai tavolini per attrezzi e per lavoretti manuali alle costruzioni, dalle scale matematiche alle lavagne di apprendimento, dalle casette per bambini alle ‘allacciature’ giocattolo (per risolvere in modo spontaneo uno dei primi grandi ostacoli per i piccoli, come allacciare le proprie scarpe), dai cubi agli anelli da impilare. Fra i giochi ‘montessoriani’ si trovano perfino orologi e scacchi per bebè, oltre ad una vasta gamma di libri per le prime letture. Giochi veri e propri si affiancano agli altri materiali venduti per rendere le case accessibili ai più piccoli perché alla base del metodo c’è l’ambiente in cui cresce il bambino che deve fare esperienze di vita diretta. Anche se, fa sapere all’Ansa l’Opera Nazionale Montessori (ONM), ente ufficiale di formazione e diffusione del metodo, non esistono giochi ‘targati’ Montessori ma solo attività che si ispirano all'attività della pedagoga fra le più rinomate al mondo. L’insegnamento originale, infatti, non prevede il gioco fine a se stesso ma attività mirate alla crescita dei bambini attraverso l’uso di materiali speciali (che sono fabbricati esclusivamente da una ditta di falegnameria che le distribuisce alle scuole della penisola) ideati dalla stessa Maria Montessori per docenti e scolari. I giochi servono ad ‘aiutare i bambini a fare da soli’ e a 'divertirsi imparando da sè', ripeteva l’educatrice rivoluzionando i metodi di insegnamento scolastico in un periodo storico in cui le scuole erano impostate su regole rigide, imposizioni, insegnamenti ‘dall’alto’, gerarchie e punizioni che oggi, per fortuna, non esistono più. Se il business dei giochi ‘montessoriani’ è libero ci sono anche delle attività create in collaborazione con l’ONM, come la pubblicazione di una collana di libri per bambini (edita da Clementoni nel 2018). E ora, per omaggiare i 150 anni dalla nascita di Maria Montessori , lo stesso produttore ha lanciato un cofanetto che contiene una raccolta di attività ispirate al metodo motessoriano: lettere, numeri e animali (sono stati scelti quelli a rischio estinzione per sensibilizzare i piccoli al rispetto della natura e del pianeta) dotati di sagome e superfici speciali da abbinare a tessere, gettoni e cartellini. E per il prossimo Natale ci si aspetta un ulteriore incremento dell'offerta dei giochi 'montessoriani'.

sabato 29 agosto 2020

... Chadwick Boseman ...

 





... Chadwick, il primo supereroe nero, partito a 43 anni per raggiungere gli altri supereroi nel loro universo...

Chadwick Boseman, il mondo dem dà l'ultimo saluto all'eroe di "Black Panther" 


 La morte dell'attore Chadwick Boseman, l'eroe di "Black Panther" sconfitto a 43 anni da un tumore al colon, ha risuonato a Hollywood, ma anche nelle comunità nere e nel mondo politico democratico, agitati in questi giorni dalle proteste Black Lives Matter. "Ha fatto vivere la storia sul grande schermo", ha detto il reverendo Martin Luther King III, figlio del padre dei diritti civili, mentre il candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden ha commentato che, "con le sue interpretazioni, ha insegnato che tutti possiamo essere supereroi". Anche l'ex presidente Obama lo piange: "Essere giovane, dotato e nero; usare quel potere per dare a loro eroi a cui guardare; e fare tutto questo essendo malato...che uso straordinario dei suoi giorni", ha scritto su Twitter. Chadwick aveva dedicato il suo ultimo tweet a Kamala Harris nel giorno in cui Biden l'aveva scelta come "running mate": "Ho il cuore spezzato", ha dichiarato lei, che aveva frequentato la stessa università afro-americana di Washington, Howard, dove l'attore aveva studiato una decina di anni più tardi. Al di là degli altri ruoli di una carriera troppo breve, Boseman sarà ricordato soprattutto per "Black Panther". Tra passaparola del pubblico e recensioni stellari, file chilometriche fuori dalle sale e spettatori vestiti in costume africano, l'iconico film di Ryan Coogler cambiò' per sempre la storia di Hollywood con un cast quasi interamente di colore, box office alle stelle e il primo film su supereroi candidato agli Oscar nella categoria piu prestigiosa. Chilometrici, dunque, i messaggi di cordoglio delle star del cinema nero, ma non solo: Ava DuVernay, Forest Whitaker, Chosen Jacobs e Samuel L. Jackson, Sharon Stone, Mariah Carey, Mark Ruffalo, il boss della Disney Bob Iger e il capo degli studi Marvel, Kevin Feige hanno reso omaggio a "un'anima gentile e un artista brillante", come ha scritto su Twitter Denzel Washington che, senza farlo sapere all'interessato, ne aveva riconosciuto il talento e pagato per mandarlo a Oxford a frequentare una prestigiosa scuola di recitazione.

venerdì 28 agosto 2020

... l'ultima? ...

... stamane sveglia presto per correre al San Lazzaro per un'altra iniezione intravitreale: sarà l'ultima? non credo!!

giovedì 27 agosto 2020

... Cesare Pavese ...



Ho amato tante cose 
dell’amore più fervido, 
ma finalmente so, 
ora che sono infranto come un vecchio. 
che l’amore è creato per saziare 
delle cose che si amano. 

 Ho vomitata tutta la mia anima. 
 Volto spaventato in fondo ad un gorgo nero E neanche ubriaco
 trovo più un po’ di pace. 
Il sangue che mi brucia 
tutto il corpo, implacabile, 
mi romba nel cervello. 
 E mi pare di urlare 
di urlare di urlare, 
e di cadere in uno spazio immenso 
a una velocità vertiginosa, 
dentro il rombo del vento,
 senza riposo e senza più respiro.

mercoledì 26 agosto 2020

... 26 agosto 1950 ...



IL “VIZIO ASSURDO” DI CESARE PAVESE 

Era un giorno chiaro del 1932 quando, durante una gita nelle Langhe, Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Franco Antonicelli e l’editore Carlo Frassinelli sedettero per riposarsi su un muretto che, sulla strada Cortemilia-Alba, quasi all’ingresso del paese di Castino, s’affaccia sulla Valle Bormida. Qualcuno scattò loro una fotografia. pavese-ginzburf-frassinelli-antonicelli- pavese e... Era la notte tra il 26 e il 27 agosto del 1950.Pavese si toglie la vita in una notte di fine agosto in una città in solitudine. Uno scrittore che ha lasciato chiaramente un segno indelebile all’interno del contesto letterario del Novecento non solo dal punto di vista problematico ma anche per gli aspetti linguistici che ha innervato nei processi comunicativi della letteratura moderna. Oggi riproporre Pavese non significa soltanto riproporre uno scrittore ma definire una letteratura che è quella non del “nostos” e tanto meno una letteratura dentro le griglie dello storicismo ma una scrittura e una poetica della quotidiana tragedia del vivere pur nella costante attesa di una pascaliana cristianità: un po’ alla De Unamuno, forse alla Kierkegaard e certamente sulla linea di Mircea Elide e di Maria Zambrano. Il mito che dialoga con il sacro. Ulisse che annuncia il viaggio di Enea e che a sua volta traccia alcuni segni che impegneranno San Paolo. Ebbene, credo che Pavese, ormai, vada letto in modo comparato nell’affascinante viaggio tra letteratura, mistero, mito e sacro. Anche i suoi romanzi, come “Il carcere”, o i racconti, come “Paesi tuoi”, troverebbero una interpretazione che va oltre la storia per restare letteratura dentro la letteratura. 59 anni fa si toglieva la vita, nell’Albergo Roma di Torino, Cesare Pavese. Era la notte tra il 26 e il 27 agosto del 1950.Pavese si toglie la vita in una notte di fine agosto in una città in solitudine, come molti quotidiani di quel tempo hanno cesellato. Esattamente cinquant’anni fa. In quella stanza, dopo, trovarono, scritte di pugno da Pavese, parole riprese da Majakovskij: “Non fate troppi pettegolezzi”. Pavese era diventato davvero un “fucile sparato”. Nei quarantadue anni che separano la cascina di Santo Stefano – la campagna piemontese, i sentieri tra le vigne, le colline, la gente aspra silenziosa e forte – e l’albergo Roma – Torino, la città dove le vie non finiscono mai, dove si poteva godere della “faccia sempre diversa della gente sui cantoni più familiari” – Cesare Pavese ha messo in gioco tutto se stesso con il vigore e la fermezza coi quali riconosceva, pochi giorni prima di morire, di avere “dato poesia agli uomini”; ha “fatto” cultura nel senso proprio, più creativo, del termine, imprimendole una serie di spinte e accelerazioni dagli effetti di lunga portata; è stato, insomma, un protagonista della vita intellettuale, al centro di una rete di relazioni e amicizie che compongono sotto gli occhi di chi le osserva la geografia di quel che di meglio è stato scritto e detto in Italia tra le due guerre e anche dopo: oltre ai già citati Monti e Mila, incontriamo Norberto Bobbio, Mario Sturani, Leone Ginzburg, Giulio Einaudi, Giaime Pintor, Fernanda Pivano, Davide Lajolo (autore di una biografia pavesiana che si legge come un romanzo e si medita come un saggio), Vittorio Foà. Pavese, con gli occhiali allentati sul naso e il passo delle Langhe, ha camminato per vent’anni sulla strada maestra della letteratura, scambiando e divulgando esperienze narrative, proprie e altrui, di grandissimo spessore. Riguardo al fatto che Cesare Pavese pose volontariamente fine alla propria esistenza si è scritto molto, affermando tra l’altro, che Pavese ebbe frequenti e documentati pensieri suicidi, spesso collegati con il tema amoroso, tema principale nell’esistenza dello scrittore, che pone in relazione al suicidio stesso la ‘smania dell’autodistruzione’: sostiene che l’autodistruttore distrugge se stesso per scoprire, scrive, ogni civiltà insita nel proprio essere. Il suicidio diviene un gesto eroico, un affermarsi dell’uomo di fronte al suo destino, come Pavese scrive nel 1936 quando già sono presenti tematiche di una morte liberatoria e ricercata, ma il cui rapporto con sé non è ancora maturo. C’è una manifestazione di insofferenza verso la vita che si identifica in forma tragica; c’è la volontà fluttuante di giungere alla conclusione, senza però mai chiudere il cerchio. Afferma di fatti Pavese: “il mio principio è il suicidio, mai consumato, che non consumerò mai, ma che mi carezza la sensibilità”. Sente così presente l’idea del suicidio che questa idea dominante diviene compagna dell’esistenza quotidiana; il suicidio viene analizzato da Pavese che annota nel novembre del 1937: “Il maggior torto del suicida è non d’uccidersi, ma di pensarci e non farlo”. Quindi è presente in Pavese l’idea di suicidio già alla fine degli anni Trenta e nel 1938, il 23 Marzo, nel suo diario: il mestiere di vivere annota: “non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi”. Tra le parole di Cesare Pavese appare quindi chiaro il messaggio di esortazione a porre fine volontariamente alla vita umana, cogliendo l’opportunità di una decisione finale sulla propria esistenza. Un gesto che l’uomo compie perché si sente piccolo di fronte alla vita e vano di fronte al destino, avverte l’impossibilità di realizzare i propri sogni. Pavese arriva ad un punto negli anni successivi durante i quali giunge a giustificare il suicidio a causa della incapacità di affrontare la vita sociale e politica; l’ombra minacciosa della morte cioè il suicidio perseguita per anni Pavese, sotto forma di depressione. Nel periodo in cui Pavese scrive il suo diario, “Il mestiere di vivere”, periodo tra il 1935 e il 1950, vediamo l’evolversi di riflessioni personali e il raggiungimento di bilanci e conclusioni. Sul comodino accanto al letto un solo libro. Non l’ultimo. Ma il suo libro, ovvero “Dialoghi con Leucò”. Perché si può definire il “suo” libro. Perché dentro questi “Dialoghi” c’è una riscoperta e quindi una rilettura del rapporto tra l’uomo terra e l’uomo mistero, tra l’uomo – umanità e l’uomo – onirico. Quel suo “scendere nel gorgo muti” di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi “è la cifra di una esistenza sia omerica che virgiliana che va oltre lo stesso mito perché si affaccia sui lidi della provvidenza e forse della profezia. Da POETICA “Il ragazzo s’è accorto che l’albero vive. Se le tenere foglie si schiudono a forza una luce, rompendo spietate, la dura corteccia deve troppo soffrire. Pure vive in silenzio. tutto il mondo è coperto di piante che soffrono nella luce, e non s’ode nemmeno un sospiro.” Pavese, in ogni sua opera, denuncia un dissidio di fondo tra la sua autentica ispirazione lirico-elegiaca e l’intenzione di piegare questa sua vocazione ad esigenze ideologiche, che possono essere prima quelle del Realismo americano, e poi quelle del marxismo, inteso come momento di rottura dell’incomunicabilità e inserimento nella socialità. L’antinomia di fondo è evidente tra il suo innato gusto decadente e le sue ferme intenzioni di instaurare o sperimentare una nuova letteratura di tipo realistico anglo-americana, da Defoe a Dickens, da Melville a Joyce, da Lewis a Dos Passos e alla Stein, di cui egli forniva interpretazioni esemplari ed emblematiche. Infatti gli scrittori americani moderni (Dos Passos, Steinbeck, Faulkner) assimilati da lui tanto da dar luogo ad una originale forma di contaminatio tra le colline piemontesi e i paesaggi americani del Sud, tra le periferie subalpine e le megalopoli americane, diedero a Pavese uno stimolo e un mezzo di liberazione morale e ideologica, un’occasione di protesta e di ricerca in chiave realistica, durante un periodo della nostra cultura dominata dal disimpegno politico dei letterati e dall’Ermetismo; ma quella lezione neorealistica, era sin dall’inizio contaminata dalla cultura decadente europea e ricompariva sempre tra le righe e le buone intenzioni di rinnovamento. Perciò egli rimane sempre un lirico, poiché in lui l’elegia tragica tornerà sempre ad addensarsi come sentimento della malinconia del vivere, anche quando crederà di aver risolto tale elegia in un racconto oggettivo e realistico, come avviene per La bella Estate e La luna e i falò .Indubbiamente Pavese avvertiva un grande disagio nella cultura italiana contemporanea; ma è molto probabile che egli trasferisse indiscriminatamente il disagio politico e la crisi della società e della coscienza moderna nel campo della poesia e dell’arte ermetica e rondista, e, quindi, vedesse in quell’arte l’aspetto essenziale di quella società in disgregazione morale. Ed egli lo dichiarava apertamente ne Il mestiere di poeta sì in un’epoca di arte pura, di prosa d’arte, di poesia rarefatta, proprio quando la prosa italiana era un colloquio estenuato con se stessa e la poesia un sofferto silenzio, egli assumeva atteggiamenti antiermetici e antirondisti, scoprendo nel linguaggio vivo e realistico della letteratura americana temi e forme realistici che avevano una nuova prospettiva storica di vera avanguardia. E ciò perché il suo punto di partenza era una poesia oggettiva, realistica, una poesia-racconto. Da “La Stampa” INTERVISTA A LAWRENCE G. SMITH Nell’archivio del Liceo Massimo d’Azeglio di Torino è rimasta un’edizione di Foglie d’erba, la raccolta poetica di Walt Whitman, annotata da Cesare Pavese, probabilmente quand’era ancora al ginnasio. Fu il primo passo verso la letteratura americana, quella scoperta che Lawrence G. Smith, autore di Cesare Pavese and America: Life, Love and Literature (Massachussetts University Press) definisce piuttosto un’invenzione. O una costruzione. Una costruzione felice, nel segno della giovinezza e delle grandi speranze, anche se il nostro scrittore in America non andò mai, e non dedicò una riga a Roosevelt o al New Deal ma solo alla sua «tradizione spirituale». Nel momento in cui gli Stati Uniti rappresentavano la modernità, detestata peraltro da fior di intellettuali europei, lui cercò qualcosa come una «tradizione ancestrale», attraverso Whitman e Melville, e poi scrittori come James Cain, Sherwood Anderson, Ernest Hemingway, Edgar Lee Master. Va detto, a proposito dell’autore di Spoon River, che Leslie Fielder, l’uomo che ha portato l’italianistica moderna in America, sottolineava maliziosamente «l’incauto entusiasmo» di Pavese. Poi l’addio, il rifiuto del dopoguerra. Sempre il grande critico americano vedeva l’autore dei Dialoghi con Leucò cercare altre «leggende pubbliche per redimere la sua angoscia personale, soprattutto il comunismo e il mito della resistenza, la favola che gli italiani amano raccontarsi, secondo la quale si sarebbero liberati da soli», come scrive – un po’ acidamente – in Vacanze romane. Chiediamo a Lawrence Smith, che domenica a Santo Stefano Belbo riceverà il premio Pavese, se sia d’accordo con questa lettura degli Anni Cinquanta, ormai canonica. Possiamo considerarlo uno stereotipo ormai superato? «L’America di Pavese era il simbolo della gioventù e di un tempo relativamente felice. Quando se ne allontanò, non dopo il ‘45, ma già dal ‘34, non fu per passare a un nuovo mito politico, ma perché sentiva che gli slanci giovanili erano finiti, e frustrati. Alla fine della guerra gli amici come Leone Ginzburg non c’erano più, tutto un mondo era finito. Anche l’America vista con gli occhi di un ragazzo. Quella che compare in tre capitoli della Luna e i falò è già molto scura, amara, disillusa. E del resto l’ultima immagine che le possiamo associare è Constance Dowling, l’ultimo amore infelice». Sorge spontaneo il paragone con Mario Soldati, e la sua lettura del Nuovo Mondo in America primo amore. «Sono molto diversi. Soldati ci aveva vissuto, aveva visto. Lui no, l’aveva trovata leggendo. Whitman o Melville erano anche modelli umani. La sua è un’America esistenziale, non certo politica». Quindi mitica? «Tutte le Americhe in qualche modo sono mitiche. Però Pavese non era un provinciale: aveva scoperto negli autori un linguaggio, che definiva il “volgare americano”, più adatto ad approfondire la realtà. Pensava, forse non a torto, che gli americani usavano il linguaggio in un modo del tutto diverso. Lo ha scritto molto chiaramente nel ’33, a proposito di Whitman: “Mentre un artista europeo, un antico, sosterrà che il segreto dell’arte è di costruireun mondo più o meno fantastico, di negare la realtà per sostituirla con un’altra magari più significativa, un americano delle generazioni recenti vi dirà che la sua aspirazione è tutta di giungere alla natura vera delle cose, di vedere le cose con occhi vergini, di arrivare a quell’ultimate grip of reality che solo è degno di esser conosciuto». L’America, invece, nonostante Fiedler, non ha mai «trovato» Pavese? «Purtroppo è più studiato che letto. È molto più apprezzato come poeta. Il motivo è che le sue poesie sono state tradotte benissimo, più volte, e hanno influenzato alcuni illustri poeti. Philip Levine ha riconosciuto in lui un maestro; e parlando della raccolta The Mercy (1999), dove una poesia è intitolata Cesare, lo ha definito “la fonte a cui debbo molta parte di quest’opera, e di ciò che vale del testo”. Charles Wright ha scritto un Omaggio a Cesare Pavese. Denise Levertov ammirava soprattutto Lavorare stanca e il suo Life in the Forest, del ‘78, ha un’intera sezione intitolata “Omaggio a Pavese”». I romanzi hanno inciso di meno? «Anche perché le prime traduzioni erano pessime. I personaggi parlavano come inglesi colti. Talino, Vinverra e Berto, in Paesi tuoi si chiamano a vicenda “old chap”, vecchio mio». Come funzionari dell’Impero britannico o borghesi americani benpensanti? «È abbastanza buffo. Sono poi uscite traduzioni molto migliori, ma sempre non eccezionali. Devo però dire che Tra donne sole è un piccolo culto tra le femministe. Per il resto, siamo un Paese che traduce poco, come è noto. È difficile che un autore straniero finisca nella lista dei bestseller. Ce l’ha fatta Umberto Eco, in parte anche Calvino. Ora ci sta riuscendo Camilleri, anche perché il traduttore ha trovato una buona chiave per rendere il suo misto di italiano e siciliano, usando l’inglese letterario e quello popolaresco del West End. Mi sa che i veri provinciali, almeno sotto questo aspetto, siamo proprio noi».

 maria allo 

... summer's end ...


 

... e così siamo tornati in città, io con un Buscopan in serata per un disturbo fisico non ben definibile, forse stanchezza, caldo, chissà? Il fatto è che l'estate sta finendo e sono in arrivo i problemi dell'autunno ...

lunedì 24 agosto 2020

... calma piatta ...

 

... dopo la tempesta, o meglio dopo la sferzata d'energia per la presenza di Marco, è tornata la pace, in tempo per preparare i bagagli per la partenza alla volta di Torino ...

... Marcus - Blitz ...



... sorpresa!! un blitz inaspettato di Marco & Company!! La colpa veramente è mia: telefoni spenti, allarme di tutta la parentela e vicinato e conseguente viaggio per accertarsi che non ci fosse capitato un incidente o peggio! Siamo seguiti e ci si cura!!

sabato 22 agosto 2020

... ultimi tre giorni ...

 

... un caldo africano, infernale, tormenta i nostri ultimi giorni a San Giorio ... torneremo, ma a Settembre!

venerdì 21 agosto 2020

... Viviana e Gioele ...


Il giallo di Caronia si infittisce sempre più. I protagonisti restano Viviana e Gioele, madre e figlio di una famiglia apparentemente spensierata. Il corpo di Viviana è stato ritrovato qualche giorno fa, sotto un traliccio, ad appena un chilometro dal luogo dell'incidente. Del piccolo Gioele invece, solo ossa. La macabra scoperta è stata fatta da un volontario, un ex carabinieri in pensione, circa 48 ore fa. Ma nelle ULTIME ORE emergono tuttavia altri indizi e novità: Viviana Parisi aveva tentato il suicidio a fine giugno scorso. Il 3 agosto la donna voleva riprovarci, questa volta portandosi dietro il piccolo Gioele. Al marito aveva detto che si sarebbe diretta a Milazzo per acquistare le scarpe al bambino. Voleva invece raggiungere il viadotto dell'autostrada che stava appunto percorrendo, il più lontano possibile, per buttarsi giù insieme al figlio di quattro anni. Il telefono lasciato a casa è stata una mossa studiata per evitare di essere localizzata. L’incidente autostradale in galleria poi le ha fatto cambiare i piani. Secondo le prime ricostruzioni antedecenti alla brutta vicenda, Viviana soffriva di paranoia e accusava crisi mistiche, come hanno documentato i medici dell’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto il 17 marzo scorso in un primo documento sul suo stato di salute. Un secondo certificato, anche questo attestante problemi mentali, era stato compilato dallo stesso ospedale a fine giugno, in coincidenza con il tentativo di suicidio. La donna teneva quei documenti nel cruscotto della sua Opel Corsa, e ora la Procura sta cercando di capire il perché. Confusa, in preda al panico, temendo di essere seguita, la mattina del 3 agosto la deejay, dopo l’incidente, è scappata, portandosi dietro Gioele, come hanno confermato un imprenditore milanese e la moglie, testimoni del sinistro. A quel punto, secondo la ricostruzione degli inquirenti, la donna ha ucciso Gioele, forse per strangolamento, lo chiarirà l’autopsia, poi lo ha adagiato in un fosso, ricoprendolo di sterpaglie e pietre. Dopo aver ucciso il figlio, Viviana ha cercato un burrone per buttarsi. Ha percorso diverse centinaia di metri e alla fine si è accorta del traliccio dell’Enel. L’ha raggiunto, ci è salita e si è buttata. La sua morte è stata istantanea. Non è vero, come era stato riferito in un primo momento, che il corpo è stato ritrovato ai piedi della struttura. Viviana è stata trovata distante un paio di metri. Questa è l’ipotesi investigativa su cui stanno lavorando gli inquirenti coordinati dal procuratore capo di Patti, Angelo Cavallo. Gli altri scenari, come quello di un coinvolgimento dell’ambito familiare o di una possibile aggressione a sfondo sessuale che Viviana avrebbe respinto sono stati ormai scartati perché privi di qualsiasi riscontro. Ora si aspetta il risultato dell'autopsia per chiarire ogni altro possibile dubbio.

... Steve Bannon ...



USA …ARRESTATO STEVE BANNON È ACCUSATO DI FRODE L’ex stratega di Trump avrebbe rubato soldi delle campagna per costruire il muro con il Messico. Steve Bannon, un tempo strategadel presidente statunitense Donald Trump e voce della destra repubblicana, è stato arrestato con l’accusa di frode. Bannon, insieme ad altre tre persone, è accusato di aver rubato centinaia di migliaia di dollari donati alla raccolta fondi della campagna chiamata “Costruiamo il muro” al confine con il Messico, che raccolse più di 25 milioni di dollari. Lo scrive Axios. Le accuse sono state presentatedalla procura del distretto meridionale di New York.

giovedì 20 agosto 2020

... ALEXANDER ...




 

... stamane mi è stato consegnato dal corriere DHL il programma per PC Alexander ... avevo avuto la cattiva idea di eliminare la mia vecchia copia perche non funzionante sui miei dispositivi ... ora, con un portatile dedicato al sistema XP, è il momento di riprendere le mie battaglie accanto al mio eroe preferito!!

martedì 18 agosto 2020

... rimbambito ...

 



... rimbambito!!! Quel poco che rieso a fare lo faccio di mattina - giro di spesa, bar, immondizia varia da buttare ... e poi ci sono tanti documenti di vario genere da esaminare per liberare spazio, ma questo caldo, quest'afa ottunde il cervello e blocca ogni residua voglia di darsi da fare ... unica eccezione il mio portatile a cui giornalmente mi avvicino ...

... A.D. Romiti ...


E' morto all'età di 97 anni Cesare Romiti, storico amministratore delegato della Fiat e poi presidente di Rcs. Protagonista del capitalismo italiano, Romiti è stato il braccio destro di Gianni Agnelli, succedendogli nel ruolo di presidente dell'azienda torinese. Dopo l'uscita dalla Fiat, è stato al vertice di Rcs-Corriere della Sera e poi è diventato imprenditore in proprio. Romiti è stato uno dei più potenti manager italiani che abbia vissuto le vicende dell'industria e della finanza dal secondo dopoguerra. Da vero protagonista, vicino ai veri protagonisti come Gianni Agnelli e il banchiere Enrico Cuccia, con un punto di osservazione privilegiato nella e sulla storia economica e politica italiana, fra capitalisti e banchieri, sindacalisti e politici, salotti buoni e mondo dell'informazione, visti molto da vicino. Nato a Roma il 24 giugno 1923, dopo la laurea in Scienze Economiche e Commerciali, entra a far parte, nel 1947, del Gruppo Bombrini Parodi Delfino, di cui divenne Direttore Generale. Nel 1968, a seguito della fusione BPD-Snia Viscosa, assume l'incarico di Direttore Generale Finanziario di Snia Viscosa. Nel 1970 il suo ingresso in Alitalia come direttore generale ed amministratore delegato e, successivamente, nel 1973, passa ad Italstat con lo stesso incarico. Nel 1974 entra in Fiat, divenendone in seguito a.d. e presidente. Arrivato nel momento della crisi energetica, si dedica innanzitutto all'opera di risanamento finanziario, prosegue sviluppando la dimensione internazionale dell'azienda e rafforzando gli insediamenti produttivi in Italia. Ha contribuito a realizzare diversi stabilimenti per la FIAT fra cui Belo Horizonte (Brasile) che è oggi il più grande impianto di automobili al mondo. E' nel luglio 1980 quando Umberto Agnelli lascia gli incarichi operativi in Fiat che Romiti, che ha la fiducia di Cuccia, diventa amministratore delegato unico del gruppo. E affronta il tema nodale dei costi annunciando il licenziamento di 14mila dipendenti. Lo scontro con i sindacati è forte e Mirafiori è bloccata dai sindacati per oltre un mese. La Fiat riprende a fare utili, lancia nuovi prodotti, chiude nel 1982 lo stabilimento del Lingotto, aumenta gli investimenti, riduce i dipendenti. Nel 1987 è il secondo gruppo italiano dopo l'Iri. Un risultato che porta la firma di Romiti e di Vittorio Ghidella, il responsabile del settore auto. Poi arriva la guerra del Golfo e le vendite di auto diminuiscono, nel 1990 il marchio Fiat scende in Italia sotto il 40% Romiti nel 1998 da presidente lascia la Fiat dopo 24 anni ai vertici, con una buonuscita da 101,50 milioni lordi che lo impegnava a non rivelare segreti sugli affari del gruppo. Dopo l'uscita dalla azienda degli Agnelli, Romiti è presidente di Rcs, dal 1998 al 2004, e della società di costruzioni Impregilo, dal 2005 al 2007, presidente della Accademia di Belle Arti di Roma fino al luglio 2013. Nel 2003 costituisce la Fondazione Italia-Cina, nella quale poi copre la carica di presidente onorario. Romiti ha la medaglia di Cavaliere del lavoro nel 1978, il titolo di cittadino onorario della Cina, il titolo di professore onorario dell'Università Donghua di Shanghai e molti altri riconoscimenti. Il 13 ottobre 2006 a Pechino la "Chinese People's Association for Friendship with Foreign Countries" gli conferisce la cittadinanza onoraria della Repubblica Popolare Cinese per il suo impegno nel rafforzamento dei rapporti bilaterali sino-italiani. Viene insignito dell'onorificenza di Ufficiale dell'Ordine Nazionale della Legion d'Honneur francese. Il 7 ottobre 2010 è premiato dal primo ministro Wen Jiabao in occasione dell'Anno della cultura cinese in Italia.





domenica 16 agosto 2020

... REPULISTI !! ...

 



... in questi due giorni ho fatto a pezzi ed eliminato una serie di vecchi esami di Elisa, roba di 10 anni fa ed oltre ... con o senza trasloco a Mattie è più che mai necessario distruggere tutti quei documenti non più validi e fare spazio ... "mio pensiero": toccherà anche alle mie cose, all'indomani della mia "dipartita" ...

sabato 15 agosto 2020

... ferragosto! ...

 

... come passa il tempo!! Siamo già a ferragosto - tra dieci giorni si parte!


venerdì 14 agosto 2020

... 14 agosto 1980 ...



Lo sciopero di Danzica del 14 agosto 1980 getta le basi per la nascita di Solidarnosc 

By Patrizia Gallina -14 Agosto 2020

 Polonia: lo sciopero di Danzica del 14 agosto 1980.

 Il grande sciopero di Danzica del 14 agosto 1980 presso i cantieri Lenin ha radici ben più profonde. La popolazione della Polonia, nell’estate di quell’anno, stava vivendo una situazione di grande malcontento che stava attanagliando l’intero Paese. L’improvviso licenziamento dell’operaia Anna Walentynowicz dai cantieri di Danzica rappresentò l’evento che scatenò la protesta dei lavoratori che avrebbe poi gettato le basi per la fondazione del sindacato Solidarnosc. I cittadini polacchi avevano preso coraggio già dopo la visita di Papa Giovanni Paolo II del 1979. Il pontefice, in quell’occasione, rivolgendosi agli operai di Nowa Huta, gli ricordò che la «Chiesa non ha paura del mondo del lavoro», e subito dopo ribadì il suo concetto affermando che Cristo non avrebbe mai approvato che l’uomo sarebbe stato usato «come semplice mezzo di produzione». Inoltre, c’era un clima di sospetto ed esasperazione nei confronti del regime sovietico, e a poco erano valsi dei provvedimenti apparentemente in favore della classe operaia, come ad esempio il leggero aumento dei salari sancito dal governo locale in seguito ad alcune rimostranze per il rincaro del prezzo della carne. Le cause dello sciopero ai cantieri di Danzica. Infatti, se all’apparenza la misura varata dal governo polacco sembrava aver rasserenato un pochino gli animi, in gran segreto si tenevano riunioni tra gli operai. Il 16 luglio 1980 la maggioranza comunista che era alla guida della Polonia comunicò che ci sarebbe stato un aumento del costo della carne del 30%, ma questo non avrebbe riguardato la carne ovina. A questo punto l’esasperazione giunse al culmine e partirono le prime proteste di piazza. I primi a scioperare furono i lavoratori e i ferrotranvieri di Lublino, i quali bloccarono il traffico ferroviario. Ben presto, il moto di ribellione si ingrossò, toccando anche Danzica. Lo sciopero di Danzica guidato da Lech Walesa All’interno dei cantieri Lenin, quando si apprese che a Lublino c’era stata una manifestazione contro l’operato del governo, le associazioni sindacali organizzarono lo sciopero di Danzica del 14 agosto 1980. Si mise a votazione la decisione di occupare i cantieri, e nel frattempo partì una vasta attività di volantinaggio per convincere circa 17mila operai ad incrociare le braccia anche in segno di solidarietà verso la Walentynowicz che era stata allontanata perché, in realtà, si era permessa di denunciare le precarie condizioni di lavoro in cui versava gran parte della popolazione. Lech Walesa si pose alla testa della grande manifestazione di protesta operaia. Questi era un elettricista che lavorava presso i cantieri navali di Gdansk, che nel 1970 era stato condannato a un anno di galera per aver incitato i colleghi a scioperare. Nel 1983 avrebbe ottenuto il Premio Nobel per la Pace, mentre dal 1990 al 1995 sarebbe diventato Presidente della Polonia al termine di elezioni democratiche. Durante lo sciopero di Danzica fu affiancato da Aleksander Hall e Andrzej Gwiazda, insieme ai quali aveva fondato i Sindacati Liberi di Pomerania, un’associazione che, considerata illegale dalle istituzioni, aveva continuato ad agire segretamente. Altro protagonista della protesta dei lavoratori fu Bogdan Borusewicz, che poi avrebbe ottenuto la carica di presidente del Senato. Lech Walesa, leader della protesta operaia del 1980. Si trattò di una protesta civile, durante la quale gli organizzatori invitarono tutti ad attuare uno «sciopero della solidarietà», andando ad occupare anche le fabbriche. Di fronte al dilagare del malcontento, la Diocesi di Danzica contattò la sede locale del Partito Comunista per proporre di dare un supporto religioso ai manifestanti. Nella speranza che l’intervento delle istituzioni ecclesiastiche potesse placare gli animi, le autorità locali accordarono il permesso. Fu celebrata, così, una messa all’interno dei cantieri navali, durante la quale i fedeli cominciarono a sventolare bandiere della Polonia e a mostrare ritratti di Giovanni Paolo II che, con il suo intervento del 1979, aveva dato ai cittadini vessati dalle ingiustizie la forza morale di lottare per i propri diritti. Lo sciopero: promemoria di libertà per l’operaio Nel corso dello sciopero di Danzica ci si adoperò per l’elezione di un Comitato di sciopero interaziendale che ebbe come leader Walesa. Dopo alcuni giorni, venne apposta sui muri dei cantieri navali una grande tavola di legno contenente le 21 richieste dei manifestanti al governo. Queste erano state scritte da Arkadiusz Ribyki, anche lui amico e collaboratore del futuro presidente polacco, nonché attivista del Movimento Giovane Polonia (RMP), una delle tante associazioni che, insieme al Comitato difesa operai (KOR) e ai Sindacati Liberi (WZZ) sarebbero poi confluiti in Solidarnosc che fu fondato ufficialmente nel settembre del 1980, proprio in virtù del movimento operaio di protesta che si era scatenato il 14 agosto a Danzica.

mercoledì 12 agosto 2020

... una giornata diversa ...

 

... una giornata diversa, a Mattie, a pulire il giardino dalle erbacce, ad eliminare quel nido di vespe ... un pranzo veloce e gustoso, un'oretta di sonno, il drappo della civetta, ricordo della gita scolastica a Siena, lasciato in un mobile come prima cosa mia nella nuova casa, e poi via, di nuovo a San Giorio, stanchi ma contenti del lavoro svolto!


martedì 11 agosto 2020

... furbetti?? -- LADRI piuttosto!!





A richiedere il bonus da 600 e 1000 euro anche 5 parlamentati italiani. Secondo indiscrezioni parlamentari, riportate sui maggiori quotidiani cartacei, 3 sarebbero della Lega, uno del M5S e l’altro di Italia Viva. La“vile” tentazione è stata “bipartisan”. La Repubblica svela anche che ci sarebbero altri duemila fruitori politici tra sindaci, consiglieri comunali, regionali e assessori. Lo scandalo da un’inchiesta fatta sempre da Repubblica dopo la segnalazione della direzione centrale Antifrode dell’Inps. Al di là del gesto ignobile di questi politici emerge un’altra criticità dovuta all‘arretratezza nel “digitale” delle nostre amministrazioni. Se la piattaforma dell’INPS dialogasse “real time” con i dati dell’Agenzia delle Entrate sarebbe molto difficile smentire con una semplice autocertificazione il proprio reddito da parlamentare, amministratore locale o quant’altro. In queste ore si registra sui social l’amarezza e lo sdegno dei cittadini: “Quello che si pensa sull’ingordigia dei politici è vero”. Ora è partita la caccia ai furbetti, nonostante l’INPS ha fatto sapere che per motivi di privacy non può rivelare i nominativi. I politici vanno a caccia dei “vigliacchi”. “Lo sdegno è unanime. È vergognoso. È davvero indecente“, le parole di Luigi Di Maio. Roberto Fico: “Questi deputati chiedano scusa e restituiscano quanto percepito. E una questione di dignità e di opportunità. Perché, in quanto rappresentanti del popolo, abbiamo degli obblighi morali, al di là di quelli giuridici”. “Posso dire che è una vergogna?, commenta il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Giorgio Mulè di Forza Italia: “Chi ha preso il bonus esca alla scoperto”. Così Giorgia Meloni su Twitter: “Che squallore! Gli italiani sono in ginocchio e qualcuno nel Palazzo si preoccupa solo di arraffare sempre di più”. Intelligente ma probabilmente inefficace la proposta della Meloni: “Ogni parlamentare dichiari #Bonuslnpsiono!, in modo che i nomi emergano lo stesso, per esclusione”. Matteo Salvini non si trattiene: “Chiunque siano, immediata sospensione“. Maria Elena Boschi di Italia Viva: “Se c’è un furbetto, si faccia avanti»” Barbara Lezzi dei pentastellati: “il deputato grillino va subito espulso”. Per ora solo parole. Speriamo che siano solo 5 i parlamentari “sprovveduti” perchè se la platea dovesse allargarsi, questa volta i “forconi” a Roma arrivano davvero

. ... se penso che alla mia povera Elisa è arrivata l'autorizzazione all'accompagnamento un giorno dopo la sua morte, autorizzazione in precedenza rifiutata, la mia rabbia rischia di esplodere in tutta la sua violenza e mi passa ogni residuo desiderio di partecipare a tutte le prossime chiamate elettorali!!

domenica 9 agosto 2020

... la rivolta a Beirut ...

A esplodere ieri nella capitale libanese è stata la protesta contro il governo, ritenuto il vero responsabile della strage di martedì. Morto un poliziotto, centinaia i feriti. Assalto ai ministeri, edifici in fiamme. Il premier Diab chiede elezioni anticipate. Intanto, si cercano ancora i dispersi


sabato 8 agosto 2020

... forza TORO!! ...


COMUNICATO STAMPA TORINO FC 

 Il Torino Football Club è lieto di annunciare di aver affidato la conduzione della Prima Squadra al signor Marco Giampaolo. Il tecnico ha firmato un contratto biennale. Marco Giampaolo è nato a Bellinzona il 2 agosto 1967. Ex calciatore professionista, ha intrapreso la carriera da tecnico nel 2000, a Pescara, come vice allenatore. Nel corso degli anni ha maturato molteplici esperienze in Club di Serie A e B, sulle panchine di Cagliari, Siena, Catania, Cesena, Brescia, Empoli, Sampdoria e Milan. In carriera vanta in totale 277 partite in Serie A. Il Presidente Urbano Cairo accoglie Marco Giampaolo e il suo staff con il più cordiale benvenuto. Buon lavoro e Sempre Forza Toro!

venerdì 7 agosto 2020

... a Beirut tre giorni fa ...




A Beirut si contano 137 morti e 5 mila feriti. Macron, "organizzo io gli aiuti internazionali" 

 AGI - Continua ad aggravarsi il bilancio della doppia esplosione che ha devastato Beirut: secondo quanto riferito dal ministro della Salute libanese, Hamad Hassan, i morti sono almeno 137 e 5 mila i feriti. I soccorritori sono ancora al lavoro tra le macerie, gli abitanti si sono rimboccati le maniche per ripulire le strade dai detriti e la diaspora libanese sparsa nel mondo è impegnata a raccogliere soldi per aiutare chi è rimasto ferito o ha perso la casa. "Il Libano non e' solo", ha scritto su Twitter il presidente francese, Emmanuel Macron, appena atterrato a Beirut per portare la solidarieta' del suo Paese e del mondo. In agenda, incontri con il capo di Stato Michel Aoun e il premier Hassn Diab. "Desidero organizzare la cooperazione europea e, piu' in generale, la cooperazione internazionale", ha annunciato il capo dell'Eliseo, promettendo anche "un ulteriore sostegno a livello francese nei prossimi giorni". Per poi avvertire: "Oggi la priorita' e' l'aiuto e il sostegno alla popolazione, senza condizioni. Ma c'e' l'esigenza, sulla quale la Francia insiste da mesi e anni, di riforme indispensabili in certi settori. Se non vengono fatte, il Libano continuera' ad affondare". Da Bruxelles, la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, dopo un colloquio telefonico con il premier Diab, ha annunciato la mobilitazione di 33 milioni di euro di aiuti di prima necessita' per il Libano. "Un sostegno maggiore" verra' valutato in base all'evoluzione della situazione, ha fatto sapere. Intanto, cresce la rabbia degli abitanti contro lo Stato libanese, in quella che viene vista come l'ennesima, tragica, dimostrazione di un governo corrotto e inefficiente. Dallo scorso ottobre, a migliaia si sono riversati nelle strade per protestare: "Stiamo cercando di sistemare questo Paese, ci abbiamo provato per nove mesi ma ora faremo a modo nostro", ha sottolineato la 42enne Melissa Fadlallah, volontaria impegnata nelle operazioni di polizia a Mar Mikhail. "Se avessimo avuto un vero Stato, sarebbe stato nelle strade fin dalla scorsa notte a pulire e lavorare. Dove sono?", ha chiesto polemicamente. "Sono tutti seduti sulle loro poltrone con l'aria condizionata mentre la gente è per strada, l'ultima cosa che importa loro è questo Paese e la gete che ci vive", gli ha risposto il 30enne Mohammad Suyur, avvertendo che è stato raggiunto il limite di sopportazione: "L'intero sistema se ne deve andare". Qualche funzionario in giro a valutare i danni c'è, ma i giovani sono molti di piu, organizzati in piccoli gruppi per liberare le strade da detriti e vetri rotti, ma anche impegnati a sostegno di anziani e disabili che hanno avuto le case danneggiate. Nel Paese si sono moltiplicate le offerte di ospitare famiglie di Beirut e il patriarcato maronita ha annunciato l'apertura dei suoi monasteri e scuole religiose come rifugi; sono stati allestiti tavoli con cibo e bottiglie d'acqua donate e imprese si sono offerte di sistemare i danni a porte e finestre a prezzi scontati e addirittura gratis. Nel mondo, la diaspora libanese (quasi tre volte il numero di abitanti del Paese dei Cedri) si è attivata per inviare aiuti e fornire assistenza a chi è rimasto ferito o ha perso la casa. In pochissimo tempo sono stati creati fondi per raccogliere denaro e indirizzarlo verso associazioni affidabili e in molti si sono attivi singolarmente o con campagne online per aiutare un Paese che gia' prima dell'esplosione era piegato dall'epidemia di coronavirus e da una crisi economica gravissima. Le rimesse sono un capitolo importante e specialmente d'estate i libanesi che vivono all'estero, rientrando in patria per le vacanze, portano denaro nelle casse e nelle tasche dei concittadini ma quest'anno c'è stata una battuta d'arresto, complice l'epidemia di Covid e la corruzione dilagante. "La gente è indignata dalla cattiva gestione del Paese, vogliono aiutare ma nessuno si fida delle persone in carica", ha sottolineato Najib Khoury-Haddad, imprenditore dell'high-tech nella zona di San Francisco.

giovedì 6 agosto 2020

... 6 agosto 1945 ...


... 6 agosto 1945: un orrore che non passa, dopo 75 anni!!

mercoledì 5 agosto 2020

... gita a Mattie ...






... stamane abbiamo fatto un blitz a Mattie per controllare lo stato della nostra casetta e del giardino: erbacce, ragnatele ed uno splendido nido di vespe si sono presentati ai nostri occhi: naturale, ogni casa deve ricevere cura ed attenzioni, ed è quello che ci ripromettiamo di fare, d'ora in poi|

... Sergio Zavoli ...


Oggi tutta l’Italia piange la perdita del giornalista, scrittore e politico, Sergio Zavoli. Era un uomo davvero appassionato di giornalismo, politica e non solo. Scopriamo di più su di lui. È stato uno dei presidenti della Commissione di Vigilanza Rai che ha lasciato nel 2013. La sua carriera inizia sin da quando aveva vent’anni come giornalista di carta stampata. Il suo taglio era d’ascolto ma anche narrativo. Si è fatto amare dal grande pubblico grazie ai suoi documentari radio e tv. Ecco alcune curiosità sulla sua vita. Sergio Zavoli: chi era Sergio Zavoli è nato a Ravenna nel 1923. Da sempre è stato un appassionato di comunicazione e, quindi, la sua voglia di conoscenza l’ha motivato fino alla fine dei suoi giorni. Sin dai suoi vent’anni ha iniziato a scrivere sul periodico dei Gruppi universitari fascisti. Questa esperienza, però, non è durata molto, infatti, il fascismo crollò da lì a poco. Nel frattempo è diventato un giornalista professionista e si è dedicato sia alla carta stampata che alla neonata televisione. Ha creato una sua trasmissione che si chiamava Processo alla tappa. Questo era un programma sportivo tutto dedicato al Giro d’Italia. Sergio Zavoli, però, ha collezionato anche una lunga esperienza politica, infatti, nel 1980 si è candidato nel Partito Socialista Italiano e nel 2001 è stato eletto come senatore tra le file dei Democratici di Sinistra. Fino al 2013 ha ricoperto la carica di presidente della Commissione di Vigilanza Rai. Sergio Zavoli: vita privata Sergio Zavoli ha avuto un matrimonio durato moltissimi anni con Rosalba Zavoli che è venuta a mancare nel 2014. La sua riservatezza, però, non ha permesso di sapere la causa della sua morte. Il senatore si è risposato nel 2017 con Alessandra Chello, una giornalista de Il Mattino che l’ha accompagnato fino alla fine dei suoi giorni. Tra i due c’erano circa 43 anni di differenza ma, ovviamente, li accomunava la passione per il lavoro da giornalista. Sergio Zavoli è morto a Roma il 4 agosto del 2020 a 96 anni. Restano le sue innumerevoli opere narrative, giornalistiche e televisive. Sergio Zavoli: Curiosità Zavoli, nel 2007 ha ricevuto una laurea honoris causa presso l’Università Tor Vergata di Roma. Il titolo era riconducibile a Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo. Nel 2008 è stato premiato anche per la sua carriera ed è stato presidente della Scuola di Giornalismo a Salerno. Sergio Zavoli, nel 2012, è stato vittima di una rapina nella sua casa a Ponte Marzio Catone. Si dice che il bottino del colpo avesse il valore di circa ventimila euro. In quella occasione il giornalista fu legato, picchiato e minacciato di morte.

martedì 4 agosto 2020

... Il giorno dopo ...


Il giorno dopo questo passaggio importante della mia vita mi sento invaso da una strana angoscia, da un’ansia di fare, come se dovesse mancarmi il tempo per “mettere le mie cose a posto” … ripenso a dei miei amici che mi hanno preceduto nel viaggio verso l’aldilà, e lo hanno fatto ad un’età relativamente giovane e questo particolare mi spaventa, come se dovesse toccare a me, tra breve … sono pensieri che periodicamente mi attraversano la mente e mi lasciano senza fiato, incapace di riprendere le mie normali attività, di proseguire per esempio nel presente lavoro di assemblaggio e messa in chiaro dei miei ricordi.

lunedì 3 agosto 2020

... il ponte San Giorgio ...

... oggi l'inaugurazione del nuovo ponte sul Polcevera: Genova rinasce dopo la tragedia ma le 43 vittime non dovranno mai essere dimenticate!

... 70 anni!!! ...




... ebbene si!!! Ho raggiunto i 70 anni ... incredibile!! Spero di avere ancora del tempo a disposizione: ci sono ancora tante cose da fare!!

domenica 2 agosto 2020

... 2 agosto 1980 ...

2 agosto 1980, 40 anni fa la strage di Bologna

 Redazione Tgcom24

Erano le 10:25 del 2 agosto 1980 quando una valigia piena di tritolo e T4 esplose nella sala d'aspetto della seconda classe della stazione di Bologna, lasciando a terra 85 morti e 200 feriti. La deflagrazione colpì in pieno il treno Ancona-Chiasso, in sosta sul primo binario e fece crollare una trentina di metri di pensilina, oltre alle strutture sopra le sale d'attesa. La strage fu il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo Dopoguerra, al culmine della strategia della tensione. E molto, ancora oggi, non è stato ancora chiarito. In un primo momento si parla di un incidente: l'esplosione sarebbe stata causata dallo scoppio una caldaia. L'ipotesi però non regge a lungo, anche perché nel punto dell'esplosione non ce ne sono, e in poche ore lascia il passo alla certezza dello scenario più temuto: l'attentato terroristico con una bomba ad alto potenziale. Da subito, senza soste e per ore, si mettono all'opera sanitari, vigili del fuoco, forze dell'ordine, Esercito, volontari, alla ricerca di vite da soccorrere e da salvare. Una catena spontanea che in pochissimo tempo rimette in moto una città che stava "chiudendo per ferie". Saltano le linee telefoniche e i primi cronisti giunti sul posto, per poter raccontare l'inferno di quei momenti, 'espropriano' la cabina dei controllori degli autobus sul piazzale, dove il telefono invece funziona. Dagli ospedali arriva l'appello a medici e infermieri di tornare in servizio, mentre un autobus Atc della linea 37, la vettura 4030, diventa simbolo di quel terribile giorno, trasformandosi in un improvvisato carro funebre che ha come capolinea la Medicina legale per trasportare le salme. La vittima più piccola è Angela Fresu, appena 3 anni, e poi Luca Mauri, di 6, Sonia Burri, di 7, fino a Maria Idria Avati, ottantenne, e ad Antonio Montanari, 86 anni. In stazione arriva il presidente della Repubblica Sandro Pertini, commosso e angosciato, mentre tutt'intorno una catena umana continua a spostare detriti nella speranza, sempre più tenue, di trovare ancora qualche traccia di vita. Quella stessa sera piazza Maggiore si riempie per una manifestazione, la prima risposta di mobilitazione politica per chiedere giustizia e verità. La condanna degli esecutori Complessa e scandita da diversi colpi di scena è stata la lunga vicenda processuale. Ad oggi per la strage di Bologna sono condannati in via definitiva, come esecutori, gli ex Nar Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. A gennaio, dopo quasi due anni di dibattimento e decine di testimoni, è arrivata la condanna all'ergastolo per Gilberto Cavallini, accusato di concorso nella strage. A maggio è finito nel registro degli indagati un altro esponente dei movimenti di estrema destra, Paolo Bellini, il 'quinto uomo', ex Avanguardia Nazionale. La ricerca e l'individuazione dei mandanti Un capitolo a parte spetta invece alle inchieste che si sono susseguite per individuare i mandanti della strage del 2 agosto 1980. A 40 anni dai fatti sembrano esserci finalmente dei nomi da inserire in queste caselle: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato, Mario Tedeschi. Tutti e quattro sono morti e non potrà mai esserci un processo, né una sentenza di condanna o di assoluzione. La Procura generale è arrivata infatti alla conclusione che dietro la strage ci siano 'Il Venerabile' della loggia massonica P2, morto nel 2015, in combutta con apparati deviati dello Stato, a coprire e sviare le indagini. Gelli, già condannato per depistaggio nei processi sulla Strage, avrebbe agito con l'imprenditore e banchiere legato alla P2 Umberto Ortolani, suo braccio destro, con l'ex prefetto ed ex capo dell'ufficio Affari Riservati del ministero dell'Interno Federico Umberto D'Amato e con il giornalista iscritto alla loggia ed ex senatore dell'Msi, Mario Tedeschi. I primi due sono indicati come mandanti-finanziatori, D'Amato mandante-organizzatore, Tedeschi organizzatore. Da deceduti, il loro nome è stato iscritto nell'avviso di fine indagine dove si certifica il concorso con gli esecutori, cioè i Nar già condannati. Per collegare mandanti ed esecutori, i magistrati e la guardia di finanza hanno seguito il flusso di denaro. Circa cinque milioni di dollari, il presunto prezzo della strage, partito da conti svizzeri riconducibili a Gelli e Ortolani e alla fine arrivati al gruppo dei Nar, forse anche con una consegna in contanti di un milione. Cosa non è ancora chiaro? Intanto ancora oggi, a quarant’anni di distanza, si prova a colmare il vuoto dei mandanti e resta incerto il movente. Come ricorda il Corriere della Sera, restano da chiarire i legami dei colpevoli accertati col resto dell’eversione nera e con i presunti mandanti, apparentemente molto distanti dal mondo dei Nar. Senza contare i nodi con la strage di Ustica o con il terrorismo mediorientale, esclusi dagli inquirenti bolognesi, convinti che ogni altra ipotesi che allontani dalle responsabilità dei neofascisti non sia altro che un ulteriore depistaggio. La stessa considerazione riservata alle teorie avanzate dallo stesso Gelli e dall’ex presidente della Repubblica (all’epoca capo del governo) Francesco Cossiga, su un attentato avvenuto per sbaglio: qualcuno trasportava una valigia di esplosivo (secondo Cossiga "amici della resistenza palestinese" di passaggio in Italia) e un mozzicone di sigaretta o qualche altro inconveniente provocò il disastro.