giovedì 31 dicembre 2020

... girare pagina ...

... tiremm innanz, senza voltarci indietro!!

... ADIEU !! ...

... c'è bisogno di aggiungere altro? Non credo!!

... VERGOGNA!!! ...

... noi continuiamo ad avere rapporti diplomatici e di affari con dei criminali!! A quando il richiamo del nostro ambasciatore?

mercoledì 30 dicembre 2020

... Agitu Ideo Gudeta ...

Agitu Ideo Gudeta, l’assassino è un suo dipendente. L’ha anche violentata 

L’assassino di Agitu Ideo Gudeta ha confessato durante la notte. Si tratta di un 32enne che lavorava per lei 

di Tommaso Di Giannantonio e redazione Online 

 Era fuggita dal suo Paese, l’Etiopia, dopo essere stata più volte minacciata a causa del suo impegno contro l’accaparramento delle terre da parte delle multinazionali e aveva cercato un futuro in Trentino. Non era stato facile, aveva combattuto anche contro i pregiudizi. Ma lei, energica e forte, determinata e coraggiosa, era riuscita a farsi amare anche in quella valle. Aveva tanti progetti, voleva ampliare la sua azienda agricola «La capra felice» in valle dei Mocheni, in Trentino, e aveva mostrato il rendering anche ad alcuni amici. Finalmente dopo tanta sofferenza e le minacce a sfondo razzista di cui era stata vittima, Agitu Ideo Gudeta, classe 1978, aveva trovato un po’ di serenità. Ieri è stata uccisa a martellate. Un colpo alla testa che non le ha lasciato via di scampo. Ma Agitu, l’allevatrice etiope conosciuta e stimata in tutto il Trentino che a gennaio avrebbe compiuto 43 anni, è stata anche violentata. È quanto emerso dall’interrogatorio del suo assassino, un suo dipendente di origine ghanese arrestato nella notte dai carabinieri della compagnia di Borgo Valsugana che insieme ai colleghi del reparto operativo del comando provinciale, guidati dal sostituto procuratore Giovanni Benelli e dal procuratore Sandro Raimondi, indagano sull’omicidio. I militari hanno trovato anche l’arma del delitto: un martello. Il corpo della donna è stato trovato accasciato a terra all’interno della sua abitazione, nella sua camera da letto, al secondo piano di un edificio di proprietà del Comune, che comprende anche la canonica del paese, in località Plankerhoff, a Frassilongo, un complesso che sorge a pochi chilometri dalla sua azienda agricola. I carabinieri stanno cercando di ricostruire quei terribili minuti all’interno della stanza da letto di Agitu, che da circa tre anni aveva preso con sé un collaboratore per l’azienda agricola, un uomo di 32 anni, di nome Adams Suleiman. Un pastore che lei aveva accolto e aiutato. L’uomo è stato fermato in serata e portato in caserma dove è stato interrogato per ore e ha confessato. Non è ancora chiaro il movente: all’inizio sembrava trattarsi di un problema di soldi e di uno stipendio non corrisposto. Ma il fermato ha raccontato di avere anche abusato sessualmente della vittima quando questa era già agonizzante a terra. Ha ammesso le sue responsabilità, dando descrizioni dei fatti in linea con le risultanze emerse dai rilievi effettuati dagli investigatori Ieri mattina Agitu doveva incontrare un geometra per il suo progetto di ampliamento dell’azienda agricola, ma all’appuntamento non si è mai presentata. Un comportamento insolito per lei che era sempre stata una donna precisa. È stata proprio la prolungata assenza e quell’appuntamento mancato a insospettire la vicina di casa. Non vedendo Agitu è andata nella casa e, quando ha raggiunto la camera da letto, il cuore le si è fermato per qualche istante. Le lacrime e la disperazione. «Dov’è andato il pastore?», ha urlato la donna. Poi la disperata richiesta di aiuto. Ma per Agitu, che a Trento aveva anche conseguito la laurea in Sociologia, era ormai troppo tardi.

martedì 29 dicembre 2020

... la mia "Isotta" ...

... ancora un giro stamane con la mia "Isotta" ... tutto bene: 4,2 Km a tu per tu con lei, in attesa del sospirato giro a San Giorio!!

lunedì 28 dicembre 2020

... 4 anni ...

... 4 anni per il mio nipotino ... FORZA MARCO !!

domenica 27 dicembre 2020

... V - DAY ...

... oggi inizia in tutta Europa la somministrazione del vaccino anti Covid 19: inizio simbolico, da domani si fa sul serio!

venerdì 25 dicembre 2020

... natale COVID ...

... natale COVID: una schifezza immonda, un giorno da dimenticare come tutto questo anno di M E R D A !!!!!!!

giovedì 24 dicembre 2020

... vigilia triste ...

... vigilia triste di un natale (minuscolo) senza addobbi, in attesa di un nuovo anno che ci fa paura ...

... 24 dicembre 2008 ...

... era un mercoledì ed iniziava con un "testo di apertura" il mio blog ... 12 anni fa ... la mia vera autobiografia!

martedì 22 dicembre 2020

... cancello tutto! ...

“Si sa che la propria vita è simile a quella di mille altre, ma che per un caso essa ha avuto uno sbocco che le altre non potevano avere e non ebbero di fatto … spesso le autobiografie sono un atto di orgoglio: si crede che la propria vita sia degna di essere narrata perché originale, diversa dalle altre.” 

 Antonio Gramsci. 


But we're never gonna survive, unless...... We get a little crazy (Seal).
... non sia mai che questa merda di 2020 abbia l'onore di essere descritto! Cancello quanto ho scritto finora di quest'anno e della mia autobiografia!!!

... A 4 ...

... è accaduto l'incredibile: impegnativa del medico sbagliata ... lo yag laser si fa dopo la cataratta non prima!! Risultato: un nulla di fatto, 21,50 di taxi buttati, una levataccia inutile, il 2020 continua a colpire!!

lunedì 21 dicembre 2020

... Yag Laser ...

... domani mi tocca!! ...

... inverno ...

... inizia oggi l'inverno ... e sta per finire questo anno "particolare"!

venerdì 18 dicembre 2020

... 2020 ...

... 2020 di MERDA ... che si conclude con una bella CAPSULOTOMIA YAG-LASER il 22, a 2 giorni dal NATALE, CONTENTO??||

mercoledì 16 dicembre 2020

... 250 anni fa ...

... 250 anni fa nasceva un genio assoluto della musica: "il mio" Beethoven!

lunedì 14 dicembre 2020

... povero Toro!! ...

Torino-Udinese 2-3, le reazioni social: “Tifare Toro è dannoso per la salute”

domenica 13 dicembre 2020

... Macron = Merde ...

Corrado Augias: “In memoria di Giulio Regeni, restituisco la Legion d’onore alla Francia”

 In una lettera pubblicata su Repubblica, il giornalista spiega le motivazioni che l'hanno spinto a compiere questo gesto in segno di protesta dopo che il presidente francese Emmanuel Macron ha insignito dello stesso riconoscimento ad Abdel Fattah Al Sisi, il presidente di quell'Egitto che si è reso responsabile dell'omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni 
 Corrado Augias ha annunciato la sua decisione di restituire alla Francia la Legion d’onore in segno di protesta dopo che il presidente francese Emmanuel Macron ha insignito dello stesso riconoscimento ad Abdel Fattah Al Sisi, il presidente di quell’Egitto che si è reso responsabile dell’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni. “Caro direttore, domani lunedì 14 dicembre, andrò all’Ambasciata di Francia per restituire le insegne della Legion d’onore a suo tempo conferitemi. Un gesto nello stesso grave e puramente simbolico, potrei dire sentimentale. Sento di doverlo fare per il profondo legame culturale e affettivo che mi lega alla Francia, terra d’origine della mia famiglia. La mia opinione è che il presidente Macron non avrebbe dovuto concedere la Legion d’onore ad un capo di Stato che si è reso oggettivamente complice di efferati criminali. Lo dico per la memoria dello sventurato Giulio Regeni, ma anche per la Francia, per l’importanza che quel riconoscimento ancora rappresenta dopo più di due secoli dalla sua istituzione”, scrive Augias in una lettera aperta pubblicata su La Repubblica. “Giulio Regeni fu seviziato per 9 giorni con lame e bastoni. Torturato fino alla morte”: i pm di Roma chiudono le indagini su 4 agenti “Dove e quali sono i meriti del presidente Al-Sisi? I riconoscimenti e le onorificenze degli Stati sono soggetti al mutevole andamento della storia, può accadere che un’insegna elargita in un dato momento si trasformi in un gesto imbarazzante per il comportamento successivo della persona insignita. In questo caso però le cose sono già chiare oggi. Il comportamento delle autorità egiziane, a partire dal suo presidente Abdel Fattah al-Sisi, è stato delittuoso, ha violato i canoni della giustizia, prima ancora quelli dell’umanità“, prosegue Augias in un altro passaggio della sua lettera al direttore del quotidiano romano. “Ora l’Italia si trova di fronte un’autentica alternativa del diavolo. Rischia di sbagliare qualunque decisione prenda. Se manterrà normali relazioni diplomatiche con l’Egitto sembrerà tradire la memoria di un bravo ricercatore universitario torturato e ucciso per il lavoro accademico che stava svolgendo. Se li interromperà sarà sostituita, tempo pochi giorni, da altri Paesi in molti fruttuosi rapporti commerciali e industriali. In un caso e nell’altro una perdita secca, anche se di diversa natura”, afferma ancora Augias, prima di esporre il testo della lettera consegnata all’ambasciatore francese. “Le rimetto le insegne con dolore, ero orgoglioso di mostrare il nastrino rosso all’occhiello della giacca. Però non mi sento di condividere questo onore con un capo di Stato che si è fatto oggettivamente complice di criminali. L’assassinio di Giulio Regeni rappresenta per noi italiani una sanguinosa ferita e un insulto, mi sarei aspettato dal presidente Macron un gesto di comprensione se non di fratellanza, anche in nome di quell’Europa che – insieme – stiamo così faticosamente cercando di costruire”.

sabato 12 dicembre 2020

... FELICITA' ...

Ciao Costanza, 

penserai che sono impazzito per quella parola in maiuscolo scritta nell'oggetto! Il fatto è che ho avuto una buona mattinata: ho fatto un giro in macchina e sono andato dal mio dentista, mi ha trovato bene, dandomi un appuntamento tra circa quattro mesi ..., sai, alla mia età il riuscire a mantenersi abbastanza in forma è già un sollievo! Forse tutto questo è dovuto alla nostra predisposizione d'animo, al lavorio costante a cui sottoponiamo il nostro cervello, al non dar retta e non curarsi di persone inutili e dannose ... insomma, nonostante il Covid, si può vivere con una certa serenità e continuare ad impegnarsi nelle cose che veramente contano! Sono felice di leggere i tuoi post, ti abbraccio e spero di ricevere presto tue notizie! 

Renato.

... la strage, 51 anni fa ...

L’ultima azione di resistenza di un partigiano 15 dicembre 1969. C’è stato un tempo in cui un ex partigiano come Giuseppe Pinelli poteva piombare giù dal quarto piano di una questura della Repubblica e vedersi calunniato anche da morto, accusato di essersi suicidato perché colpevole 

«il gesto -dichiarò Guida ai giornalisti- potrebbe equivalere ad un confessione» 

 Davide Conti EDIZIONE DEL 12.12.2020 PUBBLICATO 11.12.2020, 23:59 

 C’è stato un tempo in cui Marcello Guida, ex direttore fascista della colonia di confino di Ventotene, dirigeva la questura di Milano. In quegli uffici Guida trattenne illegalmente quello che nel 1944-45 era stato un giovane partigiano, Giuseppe Pinelli. La guerra era finita da quasi 25 anni, ma l’ultima azione di resistenza fu compiuta da Pinelli proprio nella questura di Guida la notte del 15 dicembre 1969 quando morì precipitando dalla finestra della stanza del commissario Luigi Calabresi che lo interrogava illegalmente, con i suoi uomini, nonostante i termini del fermo di polizia fossero largamente scaduti e fosse suo diritto tornare libero a casa. Al ferroviere anarchico i poliziotti volevano imporre un cedimento ovvero strappargli l’ammissione di una colpa inesistente: quella di essere responsabile, lui ed i suoi compagni, della strage di Piazza Fontana realizzata tre giorni prima dai neofascisti di Ordine Nuovo coadiuvati da uomini degli apparati di sicurezza e dei servizi segreti dello Stato. I poliziotti compirono un reato contro Pinelli (il fermo illegale) e gli mentirono durante l’interrogatorio con l’espediente del «saltafosso» (dicendogli che un altro anarchico da lui conosciuto, Pietro Valpreda, aveva confessato l’esecuzione del massacro). Pinelli si oppose e con la sua resistenza rese vani gli intenti di chi si era proposto non solo di incastrare lui ed i suoi compagni ma di scrivere una storia diversa del Paese con la strage del 12 dicembre 1969 attraverso un’operazione paramilitare contro civili inermi in tempo di pace; non rivendicata dagli esecutori materiali; realizzata con l’obiettivo di attribuire la responsabilità all’avversario politico (la sinistra politica e sindacale, parlamentare ed extraparlamentare) e finalizzata a provocare una reazione psicologica presso l’opinione pubblica per favorire un’involuzione autoritaria del nostro sistema costituzionale. Erano gli anni, ha scritto Silvio Lanaro, in cui «il lealismo istituzionale» delle forze armate, delle classi proprietarie e delle forze politiche conservatrici «non riesce a reggere i socialisti al governo e i comunisti al 25% dei voti», anni in cui, affermerà il generale Mario Arpino in commissione stragi «per noi militari un terzo del Parlamento era il nemico». Per questo fu possibile che uomini dello Stato sostenessero e coprissero gli autori e depistassero le indagini rendendosi «doppiamente colpevoli», come ha affermato il Presidentede della Repubblica Stato Sergio Mattarella nel 50° anniversario, poiché «Non si serve lo Stato se non si serve la Repubblica e, con essa, la democrazia». C’è stato un tempo in cui un ex partigiano come Giuseppe Pinelli poteva piombare giù dal quarto piano di una questura della Repubblica e vedersi calunniato anche da morto, accusato di essersi suicidato perché colpevole «il gesto -dichiarò Guida ai giornalisti- potrebbe equivalere ad un confessione». La magistratura derubricherà come «malore attivo» la causa del volo nel vuoto del ferroviere e tale versione sarà incisa come verità ufficiale anche sulla targa collocata dal Comune di Milano in piazza Fontana che ricorda, con pudore omissivo, che Pinelli è «morto tragicamente». Accanto ad essa una stele rappresenta, invece, una memoria storica «altra» e reale della Milano democratica e antifascista. Lì si ricorda che Pinelli è stato «ucciso innocente». C’è stato un tempo, infine, in cui il Parlamento, con voto quasi unanime, scelse di bocciare la mozione che proponeva il 12 dicembre come giornata in ricordo delle vittime del terrorismo e di votare al suo posto il 9 maggio (giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani a Roma). Una preferenza tanto politicamente «logica» per lo Stato quanto storicamente discutibile. La Repubblica ha scelto di rappresentare quegli anni attraverso una narrazione autoassolutoria che racconta l’azione di un agente esterno alle istituzioni, le Brigate Rosse, che porta l’attacco al cuore dello Stato, omettendo al Paese il fatto che il fenomeno del terrorismo in Italia sia nato, molti anni prima, proprio da quel cuore. Questo Pinelli aveva capito, quella notte in quella questura. E dopo mezzo secolo, anche grazie a lui, lo sappiamo anche noi.

venerdì 11 dicembre 2020

... dal blog di Costanza ...

È uscito proprio domenica su Il Sole 24 Ore, all’interno della rubrica settimanale “Mind the Economy” un interessante articolo di Vittorio Pelligra che sembra faccia da spin off a quanto scritto su queste pagine la scorsa volta. E diviene dunque necessario andare oltre nella questione perché le riflessioni su questa storia del lavoro come vocazione sembrano non esaurirsi mai. L’articolo sottolinea quanto sia importante non solo trovare la propria vocazione, ma anche “svilupparla, capirla e farla crescere”. E quanto, quindi, la società e le istituzioni debbano mettere gli individui nelle condizioni di poterlo fare. Spiega molto bene quanto questo atteggiamento, nel lungo periodo, divenga proficuo per il benessere individuale, ma anche sociale, e racconta altrettanto bene le insidie dietro questa auspicabile deriva: il “workaholism”, ovvero il rischio di sviluppare una vera e propria dipendenza dal proprio lavoro – con tutto quello che ne consegue – e lo sfruttamento da parte delle aziende di questa condizione – se lavori per passione e non per soldi è giusto che venga sottopagato e accumuli straordinari. Resta quindi una grossa falla nel sistema e per capire come muoversi per andare alla radice del problema, le parole che concludono l’articolo possono certamente rappresentare un buon punto di partenza: “Ecco perché il tema della vocazione lavorativa pone anche una sfida alla teoria ancora troppo ancorata ad una visione dell’agente economico come insaziabile, individualista e totalmente auto-interessato, così come quelle pratiche di progettazione e di gestione delle organizzazioni che a tali visioni inspirano”. Le parole richiamano un’interessante teoria esposta dall’economista Andrea Ventura, secondo il quale il paradigma antropologico che governa la moderna società neoliberista è quello dell’homo aeconomicus, ovvero un individuo egoista e calcolatore, che fa le cose solo per il proprio tornaconto basando la propria esistenza sul mors tua, vita mea (Cfr. “Il flagello del Neoliberismo, alla ricerca di una nuova socialità” di Andrea Ventura). È il paradigma che effettivamente governa il libero mercato e spesso le imprese sono costrette a prendere decisioni assai dolorose, come il taglio degli stipendi o la chiusura di alcuni dipartimenti, per rimanere competitive. Il giornalista de Il Sole 24 Ore parla del tema della “vocazione” come una sfida a questo modello, ma quello che viene da chiedersi è come si faccia a rivendicare la propria vocazione in un sistema come questo. Ma, soprattutto, una cultura basata sulla proposta di un benessere economico come punto di arrivo, è in grado di crescere individui che abbiano una tale consapevolezza di se stessi da capire qual sia la propria vocazione? Spesso i giovani usciti dal percorso di studi non hanno ancora ben chiaro cosa vogliano dalla vita. E il mercato del lavoro in questo momento è così saturo, da costringerli a ringraziare che un lavoro ce l’hanno – quando ce l’hanno – anziché stare lì a chiedersi se effettivamente sia quello che auspicavano per se stessi. Sembrano, insomma, questioni un po’ troppo sofisticate, per come si stanno mettendo le cose. Come già detto, la presa di autoconsapevolezza e la continua rivendicazione della propria identità, che non deve per forza sfociare in un riconoscimento da parte delle società, è un buon punto di partenza. Ma se volessimo ragionare in termini di una società utopica che crei le basi affinché questo riconoscimento avvenga, come auspica Vittorio Pelligra, da dove dovremmo partire? Forse la chiave sta proprio in un cambio di paradigma, che, attraverso una vera e propria rivoluzione culturale, cominci a far propria l’idea dell’uomo innanzitutto come animale sociale, che non porta avanti i rapporti per interesse o per un proprio tornaconto, bensì per una naturale inclinazione alla realizzazione delle proprie esigenze. Nel rapporto interumano c’è (ci dovrebbe essere) la realizzazione delle esigenze, lo sviluppo di ciascuno, la ricerca, la gioia di vivere, la creatività comune. (…) La soddisfazione dei bisogni non ha posto nel rapporto interumano. Essa ha sempre riportato gli uomini allo sfruttamento dell’uno sull’altro, al fare di una parte dell’umanità un gregge di animali per la sopravvivenza di altri. (Per approfondimenti si veda “Bambino, Donna e Trasformazione dell’uomo” di Massimo Fagioli). Attribuire questo nuovo paradigma non solo ai rapporti privati, ma anche ai rapporti sociali potrebbe essere la nuova, interessante sfida a paradigmi che si stanno rivelando sempre più anacronistici e soprattutto poco funzionali allo sviluppo di una società del benessere in senso lato, da accompagnare alla ricerca e alla successiva imposizione del lavoro come risposta a una propria, profonda vocazione.

giovedì 10 dicembre 2020

... ciao Pablito! ...

... un ragazzo umile ed un campione super! Ciao Paolo!!

martedì 8 dicembre 2020

... ciao Lidia ...

 Addio a Lidia Menapace, partigiana, pacifista, cattolica e femminista 

Riccardo Maccioni lunedì 7 dicembre 2020 

96 anni, credeva nella partecipazione e nella politica vissuta dal basso. Da staffetta partigiana alla prima Democrazia cristiana, fino a Rifondazione comunista, una lunga militanza politica Staffetta partigiana, pacifista, cattolica, femminista, donna dal radicato impegno politico, vissuto a “sinistra”. Lidia Menapace, morta stamani nell’ospedale di Bolzano, all’età di 96 anni, ha attraversato senza mai tirarsi indietro gli incroci, gli ostacoli incontrati nella sua lunga esistenza. A portarsela via sono stata le complicanze legate al Covid contro cui ancora di recente si era espressa con determinazione: «La Resistenza mi ha insegnato a convivere con la paura e a superarla. Ora liberiamoci di questo virus». Piccola di statura, ma mai arrendevole, credeva nella partecipazione e nella politica, specie quella vissuta dal basso. Con lei – scrive in un messaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – scompare una figura particolarmente intensa di intellettuale e dirigente politica, espressione del dibattito autentico che ha attraversato il Novecento». I valori «che ha coltivato e ricercato nella sua vita - antifascismo, libertà, democrazia, pace, uguaglianza - sono quelli fatti propri dalla Costituzione italiana – prosegue il Capo dello Stato – e costituiscono un insegnamento per le giovani generazioni». Lidia Brisca, sposata Menapace, era nata a Novara il 3 aprile 1924, figlia di un geometra e di una «ragazza emancipata di inizio Novecento» come definiva la madre. Giovanissima, aderisce alla Resistenza, e diventa staffetta partigiana assumendo “Bruna” come nome di battaglia, ma senza mai toccare le armi, raccontava. A 21 anni, la laurea a pieni voti in letteratura italiana e l’impegno nella Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana). Trasferitasi a Bolzano, nel 1964 è insieme a Waltraud Deeg, la prima donna eletta in Consiglio provinciale e, nelle fila della Democrazia cristiana, la prima esponente femminile in giunta: assessora per gli affari sociali e la sanità. Quattro anni più tardi l’addio alla Dc, seguita alla professione di fede nel marxismo, prima tappa di una lunghissima stagione di attività a sinistra. Tra le tappe del suo impegno, all’inizio degli anni 70, l’avvio del Movimento cristiani per il socialismo e in seguito la militanza in Rifondazione comunista, di cui è stata senatrice dal 2006 al 2009. In particolare la si ricorda perché candidata alla presidenza della Commissione difesa si era vista soffiare l’incarico da Sergio De Gregorio di Italia dei Valori a seguito delle critiche alle Frecce tricolori definite costose e inquinanti. E poi «solo in Italia - disse - vengono pagate con i fondi pubblici». Terminato l’impegno parlamentare Menapace entra nel Comitato nazionale nell’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia), poi la candidatura, e siamo nel 2018, in Potere al popolo. Battagliera esponente della militanza femminista, testimoniata anche come firma de “Il Manifesto” che contribuì a fondare, l’Enciclopedia delle donne la definisce “anticipatrice” per lo sguardo rivolto costantemente in avanti, per le sfide sempre vissute con coraggiosa e onesta fierezza. Di lei però si ricordano soprattutto le toccanti testimonianze sulla Resistenza e sulla militanza antifascista raccolte nel libro “Io, partigiana”. «Ho il brevetto di partigiana combattente con il grado di sottotenente – diceva –. Sono ex tante cose ma non ex partigiana, perché essere partigiani è una scelta di vita».



... 8 dicembre 1980 ...

8 dicembre 1980 L'ultimo giorno di John Lennon La sveglia presto. Il servizio fotografico della Leibovitz. Quel bacio a Yoko. Chapman, l’assassino, che lo aspetta sotto il Dakota. I proiettili alle spalle. La corsa in ospedale. La morte. La notizia data in Tv per un caso. Un racconto al rallentatore delle ultime ore di vita dell’ex Beatle -

lunedì 7 dicembre 2020

... 053 ...

... un altra puntura nell'occhio per Maria Rosa ... ed un altra attesa per me nel corridoio al primo piano del San Lazzaro ...

sabato 5 dicembre 2020

... 5 dicembre 2020 ...

... onore a chi pratica il Volontariato, in ogni parte del Mondo!

... un altra ...

9
... un altra sgroppata, altri 9,300 Km sempre per la salute della batteria ... ed un riposino pomeridiano per cercare di rimettersi in forma!

... dal blog di Costanza ...

Rileggo un articolo scritto qualche mese fa, piuttosto risentita con una giornalista che riportava, dall’alto dei palinsesti, il consueto, deleterio binomio lavoro-dignità. E lo faceva in piena fascia pomeridiana, che non è certo un prime time, ma rimane comunque piuttosto seguita, soprattutto nell’era del Grande Dittatore che ci costringe tutti a casa, a cibarci di torte home-made e cultura mass-mediatica, a ingrassarci nel corpo così come nell’animo. Lo rileggo, e faccio tesoro di quelle parole, che, contrariamente alla voce gracchiante della conduttrice, hanno un effetto balsamo sulla pelle e mi spingono a ragionare su quei suicidi per perdita del posto di lavoro, che, paradossalmente, avvengono in misura maggiore nei Paesi sviluppati rispetto a quelli meno sviluppati, divenendo dunque l’esito di un processo che porta l’essere umano a vedere la sua unica identità nella sfera razionale. Ma si tratta di un’identità parziale, abbiamo detto, una non-identità, in fin dei conti, poiché esclude tutto quel mondo di affetti e creatività che da sempre lo distingue dagli animali: un mondo guidato da una volontà di cercare, di andare oltre, per poi creare qualcosa di nuovo - musica, arte, poesia. Ma anche, semplicemente, rapporti non finalizzati per forza alla propagazione della specie, ma a un semplice e puro star bene. Fare cose belle insieme. Cose definite inutili perché completamente fini a se stesse e non indirizzate, appunto, alla produzione di qualcosa di utile per la propria sopravvivenza. Tutto verissimo, ma a voler essere più precisi, perché poi uno ci ripensa come i cornuti, non è nemmeno del tutto giusto vedere il lavoro come qualcosa di antitetico alla propria sfera creativa o affettiva; 8-10 ore che vanno messe tra parentesi perché la vita è qualcos’altro. Non si può creare il binomio lavoro-dignità, ma non è nemmeno del tutto giusto farlo diventare una dicotomia. È giusto che ognuno di noi si chieda cosa diamine ci fa su questa terra e in che modo può fare qualcosa per gli altri, come possa mettere a disposizione le proprie capacità per un progetto di più ampio respiro, che sia contribuire a far crescere il fatturato di un’azienda mettendo a disposizione le proprie capacità, o insegnare nelle scuole; curare le persone o progettare case. Ed è giusto che questa domanda sulle proprie capacità, inclinazioni e cosa sia la cosa che più ama fare, se la ponga quotidianamente, finché non trova una risposta. Non è detto che sia solo una – magari uno ama fare più cose – ma la cosa importante è che una volta che l’ha trovata, faccia il possibile per metterla in pratica. A quel punto arriva il confronto con la realtà: una realtà che non si mostra certo come incoraggiante, ma anzi fa il possibile per evitare che le persone si realizzino, e l’impossibile affinché demordano, arrivando perfino a pensare di essersi sbagliate. Una realtà che di porte in faccia ne chiude fin troppe e crea disagio, malessere, confusione. Uno stato che in tempi di Covid non fa che crescere in modo esponenziale. E dunque, stando così le cose, con la consapevolezza che l’identità umana non risiede nell’identità sociale ma nella perla delle perle – vien da chiedersi – che cavolo ci facciamo? Ci facciamo una bella distinzione che forse in tempi di confusione come questi può tornare utile. Mi vengono in soccorso le parole di un bravo psichiatra, Andrea Piazzi, che intervistai qualche tempo fa e al quale, dopo che mi aveva fatto una bella digressione su questa identità umana (“un’identità emersa alla nascita e che l’essere umano trascorrerà il resto della vita a dover ricreare per consentirne lo sviluppo. Un’identità che è assolutamente personale, unica, e quindi poi dopo qualche anno viene fuori l’architetto, l’ingegnere, il poeta, l’artista…o il contadino! A ognuno la sua”) mi era venuto spontaneo chiedere: “Torniamo sul piano professionale, dunque?” “Assolutamente no. Quello che è importante è il riconoscimento personale. Poi se uno vuole, può anche cercarlo da parte della società, ma non è fondamentale. Tanti artisti sono stati riconosciuti solo dopo la morte, ma non per questo erano meno artisti di chi ha potuto vivere e godere della propria gloria. Con il discorso sul lavoro e sul riconoscimento sociale torniamo alla sfera dei bisogni, importanti anche quelli, per carità, ma ciò che rimane fondamentale è questa distinzione per capire cosa è davvero necessario per lo sviluppo della propria identità”. Ecco dunque il nodo, il tassello che mancava alla riflessione su questo maledetto binomio lavoro-dignità: perdere il lavoro diviene causa di episodi di cronaca nera laddove si cerca solo nel riconoscimento da parte della società quello che deve essere un riconoscimento in primis personale. Non sarà facile, in questo periodo, mettere in pratica tante professioni ma non per questo saremo meno ristoratori, tour operator, artisti teatrali o cantanti. Per come si stanno mettendo le cose, non sarà facile ricevere riconoscimenti da parte della società post covid in questo senso, ma forse il modo migliore per opporre resistenza sarà insistere e non mollare, affinché quell’identità emerga comunque in qualche modo. Riconoscerla prima a se stessi e poi spendere la propria vita per provare e riprovare a metterla comunque in rapporto con il mondo.

venerdì 4 dicembre 2020

... prima neve e 063 ...

... stamane ci siamo svegliati con la prima neve su Torino ed io ho avuto modo di apprezzarla con una coda di quasi due ore fuori dell'ufficio postale (ritiro di una raccomandata) ...