Autore
Claudio Albertazzi
sabato 22 novembre 2025
... un altro 1938? ...
Sto seguendo con crescente orrore il cosiddetto piano di pace USA per l’Ucraina e più emergono dettagli, più diventa evidente che non siamo di fronte a una soluzione diplomatica, ma a un progetto di ingegneria geopolitica che rischia di trascinare il mondo verso un nuovo conflitto globale. Questa non è pace: è la legittimazione della forza come strumento politico. Una pace simile oggi corrisponde esattamente al tipo di accordi che, tra il 1938 e il 1939, vennero presentati all’opinione pubblica come compromessi necessari, ma prepararono in realtà il terreno alla Seconda guerra mondiale.
Il parallelismo con Monaco, di cui ho già parlato in altri post, non è una forzatura retorica, ma una dinamica strutturale: allora si sacrificarono territori della Cecoslovacchia per “placare” Hitler, oggi si chiede all’Ucraina di cedere parti del proprio territorio in nome di una presunta stabilità. Allora si firmò un patto che avrebbe dovuto garantire la pace nel continente; un anno dopo l’Europa era in fiamme. Oggi rischiamo di ripetere lo stesso errore, scambiando la resa per stabilità e la concessione per sicurezza.
A rendere la situazione ancora più inquietante è la convergenza strategica tra Trump e Putin. Non si tratta di due attori in contrapposizione che negoziano una tregua, ma di due potenze che agiscono in sintonia per ridisegnare l’ordine mondiale senza consultare l’Europa e senza rispettare la piena sovranità dell’Ucraina. L’accordo non nasce da un equilibrio multilaterale: nasce da un patto bilaterale tra potenze, con un obiettivo chiaro di spartizione delle sfere d’influenza. È un asse politico che non garantisce la pace, ma consolida un nuovo sistema internazionale fondato sul dominio dei più forti.
Oltre a imporre concessioni territoriali, il piano pretende che l’Ucraina rinunci per sempre all’ingresso nella NATO, compromettendo definitivamente la propria autodeterminazione strategica. Le garanzie di sicurezza offerte in cambio non sono automatiche, ma condizionali e discrezionali: sembra più un meccanismo per controllare Kyiv che per difenderla. Allo stesso tempo, la riduzione drastica delle forze armate ucraine non ha nulla a che vedere con una de-escalation reciproca, ma rappresenta un disarmo imposto con un ultimatum, che lascia il Paese vulnerabile a futuri ricatti. Il tutto mentre l’Europa viene relegata al ruolo di semplice spettatrice, pur essendo il continente direttamente esposto agli effetti di queste decisioni. È la riproposizione di una logica da “concerto delle potenze”, in cui pochi attori decidono i destini dei popoli senza legittimazione democratica.
Ciò che viene presentato come pace è in realtà una tregua instabile, fragile e costosa, fondata sulla rinuncia dei diritti più elementari di uno Stato sovrano. Non risolve il conflitto: lo congela a condizioni favorevoli al più forte, l'invasore, lasciando aperte tutte le possibilità per una futura esplosione. Una pace basata sulla resa territoriale e sull’arbitrio geopolitico non fermerà la guerra: la renderà inevitabile. Proprio come nel 1938, si celebra il compromesso mentre si prepara la catastrofe.
Questo piano non difende l’Ucraina, la priva di sovranità; non stabilizza l’Europa, la marginalizza; non limita la Russia, la premia; non costruisce la pace, prepara la prossima guerra. Accettarlo significherebbe legittimare l’aggressione come metodo diplomatico e aprire la strada a un nuovo ciclo globale di violenza e revisione dei confini. Se questo progetto dovesse passare, non avremo evitato la guerra: avremo solo fatto partire il conto alla rovescia verso quella successiva che coinvolgerà anche noi.
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