venerdì 7 novembre 2025

... dura lex, sed lex!! ...

C’è un filo che lega tutte le scelte di questo governo: la convinzione che la società debba soggiacere alla legge dei più forti. È un’idea antica del pensiero reazionario e di destra ma Giorgia Meloni e i suoi ministri l’hanno riportata al centro della politica italiana. Per loro la giustizia sociale è un ostacolo alla crescita e la redistribuzione è vista come un errore perché, in questa ideologia, sono i più forti che possono garantire il dinamismo e la ricchezza della nazione. La legge di bilancio in discussione è la prova lampante di questa ideologia. Una manovra che, persino secondo Banca d’Italia e Istat, «avvantaggia i ricchi», lasciando alle classi popolari solo le briciole. L’Ufficio parlamentare di bilancio, per bocca della presidente Lilia Cavallari, ha spiegato che metà dell’intero vantaggio fiscale finirà nelle tasche dell’8% più benestante dei lavoratori, cioè ai dirigenti e agli alti funzionari. Essi riceveranno un “bonus” medio di 408 euro all’anno, mentre gli impiegati si fermeranno a 123 e gli operai a 23. Poco meno di due euro al mese. È la fotografia impietosa di un Paese dove chi guadagna meno continua a ricevere meno, e chi ha di più viene premiato. La riduzione dell’Irpef di due punti, spacciata come aiuto al ceto medio, di fatto approfondisce le disuguaglianze e svuota progressivamente il principio di progressività fiscale sancito dalla Costituzione. È la “flat tax” che avanza a colpi di piccoli ritocchi, distruggendo l’equità pezzo dopo pezzo, legge di bilancio dopo legge di bilancio. Le distorsioni non si fermano qui. Il governo ha deciso di premiare fiscalmente gli aumenti contrattuali, senza alcun controllo sulla loro entità. Le imprese quindi potranno ridurre gli incrementi salariali e risparmiare, sapendo che lo Stato, cioè i lavoratori stessi, che sono i maggiori contributori dell’erario, copriranno la differenza. È una trappola perfetta a vantaggio delle imprese. A completare il quadro, c’è l’ennesima “rottamazione” delle cartelle fiscali, cavallo di battaglia della Lega, che secondo la Corte dei Conti trasforma l’Erario nel finanziatore dei contribuenti morosi. Lo Stato, insomma, rinuncia a incassare oltre un miliardo e mezzo per compiacere chi non ha pagato facendosi beffa di chi le tasse le paga regolarmente. Era penoso sentire Giorgetti, ieri sera in tv, che con voce lamentosa affermava che si tratta “davvero” dell’ultima rottamazione. Nel 2025 i pensionati italiani non vedranno certo grandi cambiamenti. Le pensioni minime – cioè quelle intorno ai 616 euro al mese – avranno un incremento del 2,2%, pari a poco più di 13 euro mensili. È una cifra che non copre nemmeno l’aumento del costo della vita. In sostanza, chi ha una pensione di 1.000 euro riceverà un aumento di soli 22 euro, chi ne prende 2.000 avrà 44 euro, mentre chi percepisce 3.000 euro si fermerà a circa 60 euro. Molti anziani continueranno a vivere con meno di 700 euro al mese. E mentre si tagliano fondi ai ministeri, agli enti locali e alla sanità pubblica e alla scuola, il ministro Giorgetti si vanta di “tenere i conti in ordine”, come se il compito di un governo fosse fare penitenza invece che giustizia. Il governo ha altre priorità. L’unica certezza è che arriveranno investimenti per la difesa in direzione di una economia di riarmo. L’Italia resta inchiodata all’82º posto al mondo per disuguaglianza. La quota di reddito che va a salari e stipendi è crollata di dieci punti in trent’anni, mentre profitti e rendite volano. Nonostante ciò la risposta della destra non è rafforzare i diritti, ma spostare ancora di più risorse verso chi sta già meglio e soprattutto tutelare i grandi patrimoni e le grandi ricchezze. C’è una nuova morale pubblica: i forti non devono più rispondere al dovere costituzionale di solidarietà, e i deboli devono imparare a cavarsela da soli. E così, in silenzio, il Paese scivola indietro. Enrico Rossi.

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