#qualcosadisinistra
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L’assalto a La Stampa è la rappresentazione perfetta del cortocircuito della sinistra italiana.
Per mesi il giornale ha difeso, giustificato e amplificato tutte le narrazioni propal, ogni corteo, ogni occupazione, ogni marcia con fumogeni e volto coperto. Basta rileggere i loro titoli:
• “Sciopero per Gaza: scontri a Milano, 10 fermati e 60 agenti feriti”
• “Nelle piazze una marea umana per Gaza. I sindacati: ‘Siamo più di due milioni’”
• “Al via la manifestazione Pro Gaza vietata a Torino”
• “Cori e fumogeni: Free Pal in piazza contro la violazione della tregua”
• “Scuola e Gaza, cortei di studenti in tutta Italia. Scontri con la polizia”
Non solo: per mesi La Stampa ha fatto da megafono a ogni protesta studentesca, ai collettivi, ai maranza elevati a “fenomeno sociale”, ai centri sociali, alle battaglie identitarie più radicali, alla retorica del “siamo tutti antifascisti”, alle lotte contro la polizia, al vittimismo permanente della sinistra estrema.
E adesso?
Vengono aggrediti proprio da chi hanno sempre difeso.
Da ambienti propal che loro stessi hanno sostenuto, raccontato, protetto mediaticamente. Da frange antagoniste che loro stessi hanno spesso giustificato.
Non c’è nulla di “fascista” in questo assalto.
È la sinistra che viene attaccata dalla sua stessa sinistra.
È un atto comunista fatto da comunisti contro altri comunisti.
È il risultato di anni a coccolare estremismi, giustificare vandalismi, difendere chi spacca tutto e poi pretendere pure l’applauso.
E mentre continuano a ripetere “il pericolo è la destra”, ecco che vengono travolti da ciò che loro stessi hanno alimentato.
Altro che fascismo.
Questo è il crollo interno della sinistra radicale. Una bomba che gli è esplosa in mano.
La violenza è violenza, e gli estremisti – di qualunque colore – vanno condannati senza se e senza ma. Su questo non c’è discussione.
Ma proprio perché rifiuto ogni estremismo, bisogna anche chiamare le cose con il loro nome, senza creare categorie che confondono più che chiarire.
Gli autori dell’assalto a La Stampa non sono “fascisti”, né nel metodo né nell’ideologia che rivendicano.
Anzi, sono comunisti antagonisti, dichiarati e orgogliosi: appartengono a collettivi, centri sociali e realtà che si autodefiniscono apertamente marxiste, rivoluzionarie, antisioniste, anti-Stato, anti-polizia.
Se si legge ciò che scrivono e ciò che urlano nei cortei, rivendicano lotta rivoluzionaria, non certo il Duce.
Che poi gli estremismi si somiglino negli atti violenti è vero — gli opposti spesso si toccano — ma non per questo diventano intercambiabili.
Chiamare “fascista” chi è chiaramente, esplicitamente e fieramente comunista non aiuta a capire ciò che accade, né aiuta a responsabilizzare le aree politiche da cui certi gruppi emergono.
La verità è semplice:
questi non sono fascisti travestiti, sono comunisti convinti che usano la violenza per imporre il loro pensiero.
È uno scontro interno alla galassia della sinistra radicale, non un ritorno del ventennio.
Condanniamo la violenza, certo.
Ma non riscriviamo le etichette: se no si finisce per assolvere chi dovrebbe assumersi le proprie responsabilità.
Gianluca Pontalto.

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