Più avanzano le indagini della Procura di Roma sul suo comportamento e più il ministro Nordio mostra la sua vera vocazione di “trumpiano”, per il disprezzo per la correttezza politica e i continui interventi contro la Magistratura di cui pure ha fatto parte per tanti anni.
Il ministro della giustizia è indagato per omissione di atti d’ufficio nell’ambito del caso Almasri, il torturatore libico che il governo ha rilasciato e rimpatriato con volo di Stato, nonostante fosse ricercato per gravi crimini contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale.
Ci sono forti dubbi anche sul fatto che il ministro abbia detto la verità al Parlamento; nella sua informativa, infatti, Nordio aveva sostenuto che il provvedimento di scarcerazione era stato legittimamente adottato, ma non ha menzionato l’esistenza di un’indagine a suo carico né ha chiarito che la scarcerazione di Almasri fosse avvenuta contro l’orientamento della magistratura.
Questa omissione nei confronti del Parlamento è molto grave: un ministro sotto inchiesta che non informa correttamente le Camere viola il il dovere di trasparenza e lealtà istituzionale.
Ci sarebbero elementi più che sufficienti per mandarlo a casa se Meloni e il centrodestra non lo volessero difendere oltre ogni ragionevole limite per non veder fallire tutto il loro progetto di riforma della giustizia.
Ieri, il ministro ha minacciato direttamente il sostituto procuratore generale Raffaele Piccirillo, colpevole di aver segnalato pubblicamente gli errori nella gestione del caso Almasri.
Ha detto una battuta indegna: “In qualsiasi altro Paese lo avrebbero mandato dagli infermieri”. E poi ha insinuato che Piccirillo potrebbe essere sottoposto a procedura disciplinare, lasciando intendere che certi comportamenti sono il frutto di una impunità diffusa tra i magistrati. Un avvertimento, lanciato davanti al pubblico amico di Fratelli d’Italia.
Quindi, sempre ieri, si è scagliato contro la Procura di Palermo, perché ha osato impugnare l’assoluzione di Salvini nel processo Open Arms: “Nei Paesi civili non si impugnano le assoluzioni”, ha detto il ministro. La lentezza della nostra giustizia dipende anche dall’incapacità di molti magistrati di opporsi all’evidenza. Rimedieremo».
Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, a margine del convegno di FdI “Parlate di mafia”.
Come se l’indipendenza dell’accusa fosse un capriccio da censurare, e non un principio costituzionale da difendere.
Ovviamente, l’Associazione nazionale magistrati ha espresso “sdegno e viva preoccupazione” per le parole di Nordio. “Da parte del ministro si registra un uso ricorrente della minaccia disciplinare – ha scritto l’Anm – evocata come uno strumento di pressione nei confronti di decisioni sgradite o legittime critiche, il vero obiettivo della riforma sembra essere quello di indebolire e ridurre al silenzio la magistratura”.
È proprio così.
Enrico Rossi.

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