giovedì 17 luglio 2025

... italosionisti!! ...

Alla luce dell’attacco diffamatorio portato avanti da Maurizio Molinari nei confronti di Francesca Albanese, ripropongo un articolo scritto nei mesi scorsi sull’italo-sionismo.

ITALOSIONISTI 

Eccoli, Molinari, Mieli: i volti del giornalismo italosionista. L’uno editorialista di punta de La Repubblica, l’altro oracolo a gettone, sempre pronto a salire in cattedra su ogni media disponibile. Diversi per stile, uguali per orientamento. Entrambi incarnano quel giornalismo d’apparato, schierato, che si traveste da terzietà mentre recita il copione scritto a Tel Aviv. La Repubblica. Una volta c’era Scalfari, oggi sembra il Jerusalem Post. E non per caso. Il giornale israeliano, da quando è passato nelle mani del magnate neocon Conrad Black, è diventato megafono del Likud, dello Stato etnocentrico e del suo falco Netanyahu. Titoli a caratteri cubitali: “Israele in guerra”. Uguale qui da noi: elmetti editoriali, lacrime solo per una parte, indignazione selettiva. Maurizio Molinari, curriculum impeccabile: studi all’Università Ebraica di Gerusalemme, corrispondente per La Stampa da Israele, poi direttore di Repubblica, oggi penna guida del giornale. Mai un conflitto d’interessi? Mai un dubbio sull’equidistanza? Non sia mai: anche solo porre la questione è anatema. Poi c’è Paolo Mieli. L’uomo che fu direttore del Corriere della Sera, oggi pontifica ovunque. Mieli lo ha detto chiaramente: “Non sono ebreo secondo la legge rabbinica, ma mi sento ebreo al 110%”. Bene. È legittimo. Ma allora si abbia anche l’onestà di dire che si è di parte. Che si parteggia. Che si difende, sempre e comunque, una narrativa. Non si è osservatori: si è tifosi. Il punto è questo. Nessuno qui è antisemita. Ma contestare il sionismo – inteso come progetto coloniale, esclusivo, suprematista – non è odio razziale. È una legittima posizione politica. Così come è legittimo denunciare l’esistenza di una lobby mediatica filo-israeliana, che in Italia ha volti, nomi e potere. E che nega se stessa con lo stesso tono scandalizzato con cui rifiuta ogni critica all’operato dello Stato ebraico. Repubblica e La Stampa fanno capo a GEDI/Exor. In cima alla piramide c’è John Elkann, ebreo da parte di padre, figlio di Alain Elkann, nipote di Jean-Paul Elkann, ex rabbino capo, banchiere e dirigente del concistoro ebraico francese. Tutto perfettamente legittimo. Ma perfettamente evidente. Eppure non leggerete mai una parola vera sulla brutalità sistemica. Sulla colonizzazione. Sul muro. Sull’apartheid. Sul Genocidio in atto. E mentre qui ci si traveste da giornalismo neutrale, in Israele esiste Haaretz. Un quotidiano serio, libero, che scrive cose che da noi sarebbero censurate o derubricate. Titoli come: “Siamo un Paese traumatizzato e senza governo”. Critiche feroci a Netanyahu. Difesa dei diritti palestinesi. Una voce fuori dal coro nel mezzo dell’oscurità. E noi? Noi abbiamo Repubblica versione Jerusalem Post. Editoriali a senso unico, retorica da bunker, propaganda mascherata da analisi. Nessuno che si interroghi sulle vere radici del conflitto. Nessuno che osi chiedere come mai uno degli eserciti più potenti del pianeta sia stato colto di sorpresa come un gregge. Il giornalismo dovrebbe interrogare il potere. Ma da Molinari a Mieli, passando per tutto l’apparato GEDI, il giornalismo italosionista ha scelto: sta con il potere. Sempre. 
E a noi, non resta che cercare la verità altrove. 

Alfredo Facchini

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