Il #buongiorno di Giulio Cavalli
Paradosso americano nudo: Charlie Kirk cade sotto un colpo durante un evento nello Utah; poche ore dopo un’altra scuola entra nelle breaking news tra spari e sirene. Violenza politica e accesso facile alle armi si toccano, si alimentano, si confondono. Non è un incidente: è un sistema che accetta il rischio come costo della libertà armata.
Kirk, volto di Turning Point USA e idolo dei razzisti e degli adoratori di armi, è stato ucciso a Utah Valley University. Le autorità parlano di attacco mirato; la politica condanna e volta pagina.
In Colorado, a Evergreen High School, due studenti feriti: a morire è il giovane aggressore con colpo su di sé. Nessun bambino “protetto” dall’idea che più armi significhino più sicurezza: solo aule svuotate e famiglie in fila.
La tesi che la circolazione capillare di pistole e fucili difenda un “bene superiore” ha un corollario: accettiamo vittime collaterali. È una resa culturale prima che legislativa. L’America che chiede metal detector e addestra i ragazzi ai lockdown drills non è più libera: è più rassegnata.
Arginare la violenza politica significa fare tre cose: raffreddare la retorica che disumanizza; restringere l’accesso alle armi, chiudendo varchi e responsabilizzando i proprietari; finanziare prevenzione e salute mentale nelle scuole. Il resto è cordoglio.
La democrazia non vive tra trincee domestiche e campus fortificati. Vive quando una platea può ascoltare senza cadere e quando l’uscita da scuola non è un percorso di guerra.
Oggi non è così; e non lo sarà domani finché il sangue resterà un effetto collaterale accettabile. Per tutti, punto.
Non è facile parlare dell’omicidio di Charlie Kirk, l’ideologo dell’ultradestra Maga morto ammazzato con un colpo d’arma da fuoco durante un comizio in Utah.
E proprio perché non è facile va fatto.
E vanno dette, io credo, almeno quattro cose incontrovertibili. Uno.
Che nessuna persona sana di mente o anche solo vagamente definibile umana può esultare di fronte a quelle immagini, di fronte alla morte di una persona, anche la più lontana da ogni nostro principio, idea valore umano come era Charlie Kirk.
Due.
Che quella morte non è arrivata dal nulla, piuttosto è il punto più estremo di un imbarbarimento politico, civile, culturale che quelli come Charlie Kirk, ma anche Ben Shapiro, Joe Rogan e su tutti il loro dominus Donald Trump hanno sdoganato nella società americana negli ultimi dieci anni, con una violenza verbale, fisica, emotiva nei confronti delle minoranze che non ha precedenti nel mondo moderno e che - tocca dirlo chiaramente - nelle menti e nelle mani sbagliate prima o poi torna indietro. Perché è sempre andata così.
E ancora.
Che Charlie Kirk è stato ammazzato da quelle stesse armi che lui considerava un principio di libertà, un diritto quasi divino. Credeva che “qualche morto in più valesse la pena per poter esercitare il diritto di avere un’arma per difendere gli altri diritti concessi da Dio”.
E magari aveva accettato la possibilità di essere lui quel “morto in più”, non lo sappiamo. Ma so, sappiamo, e va detto anche e soprattutto ora, che quelle armi, più esattamente il modo tossico, malsano e pericoloso con cui vengono concepite negli Usa, hanno finito per ucciderlo.
E che, infine, no, non esulto e non godo per la morte di nessun essere umano, anche il peggiore, perché non sono fatto così e perché, a differenza di quelli come Kirk, non credo MAI nella violenza.
Ma non riesco né mai riuscirò a unirmi a un cordoglio che non sento e non provo per una persona che per anni ha evocato la lapidazione per gli omosessuali, calpestato i diritti delle donne, invocato la schiavitù e la segregazione razziale per i neri, esultato per il genocidio dei palestinesi.
Non sono abbastanza buono, buonista, santo.
O forse, semplicemente, non abbastanza ipocrita.
Lorenzo Tosa.


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