giovedì 30 ottobre 2025

... un passato ingombrante! ...

C’è sempre un certo gelo nell’aria quando arriva la data della Marcia su Roma, come se il calendario stesso trattenesse il fiato per ricordarci che, centotre anni fa, l’Italia imboccò una strada di cui stiamo ancora pagando le conseguenze. Il 28 ottobre 1922 non fu un giorno glorioso, non fu un’avventurosa presa del potere in stile cinematografico. Fu un miscuglio di vigliaccheria politica, violenza squadrista e calcolo opportunista. Fu la resa dello Stato liberale, che aprì la porta a Benito Mussolini mentre le camicie nere, più che marciare, arrancavano nel fango sotto la pioggia di un autunno qualsiasi. Si racconta che il re Vittorio Emanuele III passò parte di quelle ore in dubbiosi consulti, con una timidezza che si sarebbe rivelata fatale. Bastava una firma per dichiarare lo stato d’assedio. Bastava un minimo di risolutezza per fermare Mussolini, che all’epoca dormiva tranquillamente a Milano, pronto a raggiungere Roma solo dopo che gli altri avevano fatto il lavoro sporco. Invece il re preferì consegnare il governo al capo di un movimento violento e brutale, che aveva già riempito le campagne di pestaggi, incendi alle Case del Popolo e intimidazioni. La “rivoluzione fascista” fu, in realtà, una nomina con timbro reale. Gli ex notabili liberali, alcuni industriali e gran parte dell’alto comando militare applaudirono. Pensarono di addomesticare Mussolini. Lui li ripagò con un ventennio che cancellò libertà politiche, sindacati, opposizioni. Impiantò il culto della personalità e trasformò il Parlamento in un teatrino. Ci regalò le leggi razziali del 1938, che cacciarono dalle scuole e dai posti di lavoro migliaia di cittadini italiani di religione ebraica, umiliati, perseguitati, deportati, sterminati. Ci trascinò nella follia della guerra imperialista, dall’Etiopia alla Spagna, e alla fine su quella che definì un’alleanza d’acciaio, rivelatasi cartapesta bagnata dal sangue di milioni di europei. Il poeta Trilussa, con la sua ironia che sapeva colpire più di qualsiasi comizio, disse una frase rimasta celebre nelle memorie degli antifascisti: “Er fascismo l’ha inventato Christo: prima te mena e poi te perdona.” Non gli fu permesso di pubblicarla liberamente, ma circolava lo stesso, perché la verità trova sempre un varco. E adesso arriva la parte più amara del ricordo. Perché quel passato, che dovrebbe farci tremare, non è affatto archiviato. L’Italia, nel 2025, ha un governo guidato da un partito che porta l’eredità diretta del Movimento Sociale Italiano, erede a sua volta del fascismo repubblichino. Si gioca con le parole, ci si arrampica sugli specchi: “post-fascisti”, dicono. Come se bastasse aggiungere un prefisso per cancellare la radice della Storia. Come se bastasse cambiare simboli senza cambiare la sostanza. Si dichiara di ripudiare il fascismo e allo stesso tempo ci si rifiuta di condannarlo senza ambiguità, si minimizzano le sue colpe, si evoca l’ordine, la nazione, la tradizione come se fossero valori innocui, sganciati dalle violenze che li hanno macchiati. Ogni anno, a Predappio, manipoli di imbecilli nostalgici si vestono di nero e sfilano sotto il sole come se quel passato fosse stato un sogno interrotto e non un incubo. I saluti romani, i busti del duce, la retorica militarista. Una mitologia che fa a pugni con le rovine a cui Mussolini condannò l’Italia. Chi compie quei gesti non esprime solo ignoranza. Esprime disprezzo per le vittime del fascismo e una complicità silenziosa con l’idea stessa di dittatura. Le democrazie muoiono con l’indifferenza. Si inizia accettando un piccolo strappo alla libertà, poi un altro, poi la normalizzazione dell’intolleranza. Ci convinciamo che siano solo eccentricità. Nel frattempo, chi non conosce o finge di non conoscere la Storia lavora per riscriverla. Il 28 ottobre non è una ricorrenza qualunque. È la sveglia che suona per ricordarci che il fascismo fu la massima sciagura per l’Italia e per l’Europa. Vite spezzate, città distrutte, dignità calpestata. È la prova, ogni anno, che la memoria non può diventare una fotografia ingiallita. Nessuna revisione della Marcia su Roma. Nessun occhio chiuso davanti ai preoccupanti segnali del presente. Il fascismo non è morto se qualcuno ancora lo rimpiange. E la Storia, quando viene ignorata, torna sempre a bussare. Anche se magari non porta più gli stivali, la camicia nera e il manganello.

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