E io, che non sono cattolico, e non lo sono mai stato, oggi sento comunque un vuoto.
Non era un santo da immaginetta, non era perfetto. Ma era vero.
Un uomo che ha provato a scardinare il trono dorato su cui si era accomodata da secoli la Chiesa, per tornare tra i poveri, tra gli ultimi, tra gli esseri umani.
Un Papa che parlava di migranti quando il mondo costruiva muri, che denunciava l’idolatria del denaro quando molti cardinali continuavano a nuotare nel lusso, che stringeva mani callose invece di baciare anelli.
Non piaceva ai restauratori, ai dogmatici, ai puristi del potere e della forma.
E questo, per me, è sempre stato un buon segno.
Ha camminato fino all’ultimo respiro. Ieri, ironia della sorte, aveva incontrato il vicepresidente degli Stati Uniti che, con la sua classica intelligenza e lungimiranza gli aveva detto di trovarlo in "ottima forma". E oggi non c’è più.
Spero – prego, se posso usare questa parola – che non arrivi ora un Papa reazionario, un custode di ciò che è morto.
Che il prossimo sia ancora un uomo (o una donna, chissà!) capace di ascoltare, di rischiare, di amare i diseredati, e non il potere.
Un’anima libera. Un folle per amore.
Perché abbiamo bisogno di pastori randagi, non di principi vestiti di porpora.
Riposa in pace, Francesco.
E grazie.
Manuele Dalcesti

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