Lucio Biancatelli 6/9/2016
L’abbattimento di predatori comporta nella metà dei casi un aumento dei danni a scapito degli animali domestici: lo dimostra una ricerca pubblicata giovedì scorso nella rivista specialistica “Frontiers in Ecology and the Environment”. I risultati in caso di utilizzo di metodi non letali, come la protezione delle greggi, invece mostrano la loro efficacia : nell’80 % dei casi gli attacchi alle greggi sono diminuiti.
Purtroppo in molte parti del mondo è diffusa tra le autorità, i cacciatori e gli allevatori di animali domestici come soluzione istintiva per evitare danni al bestiame quella più semplice, ovvero, abbattere i predatori, come orsi, lupi e grandi felini. I risultati dello studio dimostrano e confermano però che l’abbattimento è la cosiddetta ‘cura peggiore del male’. Il gruppo di ricerca internazionale ha analizzato sistematicamente i risultati e la validità di vari studi condotti sia in America che in Europa. I risultati rilevati in Africa e Asia confermano questi esiti.
Le considerazioni generali della ricerca non sono nuove, ma più evidenti che mai grazie all’ampio database internazionale. I metodi letali (come caccia, esche avvelenate o trappole) non risolvono i problemi degli allevatori ma al contrario aggravano i problemi esistenti. Solo nel 29% dei casi esaminati si ottiene una diminuzione temporanea degli attacchi al bestiame mentre nel 43% si nota invece un aumento dei danni in confronto degli animali domestici dopo l’abbattimento di un predatore. Nel caso si utilizzino metodi non letali (come l’uso di cani da guardia per le greggi, recinzioni elettriche o dissuasori come il nastro segnaletico) questi si sono rivelati invece efficaci e nell’80% dei casi esaminati i danni al bestiame sono diminuiti.
Per questo, sulla base dell’attuale stato delle conoscenze, gli scienziati consigliano alle autorità e alle persone competenti di non prendere più in considerazione l’abbattimenti dei predatori per proteggere gli animali domestici.
In Italia e in Svizzera sono in corso revisioni delle norme nazionali per concedere la possibilità di abbattere alcuni esemplari di lupo.
Gabor von Bethlenfalvy, esperto di grandi carnivori per il WWF Svizzero dice: «È preoccupante quanto la politica si faccia guidare dalle pressioni degli interessi dei singoli e quanta poca considerazione dedichi alle esperienze pratiche e agli studi. Si accettano i metodi cruenti dei diretti interessati ed addirittura si incoraggiano».
Il WWF ricorda anche che tutti i predatori che vivono nel territorio alpino, a cavallo tra i vari paesi, sono specie la cui popolazione è drasticamente minacciata e per questo qualunque soluzione sperimentale è da scoraggiare, specialmente per il lupo. Ancora oggi la decimazione della popolazione tramite abbattimenti casuali è una prassi ed il grande pericolo di questi metodi è che vengano uccisi individui importanti per la struttura del branco o l’approvvigionamento di cibo. Il rischio di peggiorare la situazione invece di migliorarla è troppo grande.
Gabor von Bethlenfalvy dice a riguardo: «La migliore protezione del bestiame in una regione in cui sono presenti i lupi consiste nella protezione del gregge e nell’assicurare la struttura familiare stabile del branco»
Anche in Italia è in corso di revisione la politica di gestione del lupo. Il primo Piano di Azione nazionale è stato redatto nel 2002, ormai scaduto da tempo e sostanzialmente scarsamente applicato sul territorio. Il Ministero dell’Ambiente ha dato incarico all’Unione Zoologica Italiana di redigere una nuova versione del piano che prevede tra l’altro le modalità e le condizioni per concedere le deroghe al divieto di abbattimento. Il lupo in Italia è oggi una specie protetta dalla direttive comunitarie e dalla Legge nazionale sulla caccia.
(WWF ITALIA)
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