“Pace in Siria.” Queste sono le parole che temevamo di non pronunciare mai. “Pace in Siria.” Dopo 14 anni di guerra e 600 mila morti pareva impossibile. “Pace in Siria.” E invece ora è reale. E noi saremo in prima linea nello sforzo di ricostruzione.
Quella in Siria è la nostra Scuola più vecchia. La più navigata. La più amata, direbbero alcuni. Presto compirà cinque anni di vita, cinque anni sotto le bombe, cinque anni a dare speranza laddove, di speranza, ce n’era ben poca. È stata dapprima una sorpresa - non avevamo previsto una Scuola lì, è successa, come tutto ciò che di più bello la vita ha da offrire - e poi una grande gioia - la nostra prima Scuola a totalizzare un tasso del 100% nella riabilitazione degli studenti.
Ma il nostro legame con la Siria precede la nostra Scuola. Precede persino Still I Rise.
Ebbene sì, perché se io, ormai sette anni fa, mi sono recato a Samos, in Grecia, dopo quattro anni e una laurea in India, anziché inseguire una carriera a New York, e proprio per via della Siria.
Lo stesso vale per Giulia, e per Sarah, le nostre co-fondatrici. Allora la crisi migratoria siriana aveva raggiunto il picco, si abbatteva sulle isole greche senza posa e c’era bisogno di una mano: una mano volontaria. Noi. Ci siamo trovati lì.
Un anno prima avevo visto il video di un bimbo coperto di polvere e sangue, traumatizzato sul retro di un’ambulanza, e il suo sguardo vuoto mi era rimasto impresso a fuoco nell’anima. E così, quando ho potuto, sono partito. Per i siriani.
Hammudi, il bambino che mi ha stravolto la vita e che ha funto da catalizzatore per la creazione di Still I Rise, era siriano. E la scelta di dirigerci in Turchia, il nostro grande fallimento, è stata motivata dalla crisi migratoria siriana. È stato proprio lì, in Turchia, fallendo, che ci si è aperta la porta per la Siria. E siamo entrati. Abbiamo aperto una Scuola. Ci dà gioia da 5 lunghi anni.
E ora, finalmente, ha trovato la pace.
“Pace in Siria,” gridano i prigionieri, a migliaia, attraversando i cancelli spalancati di Sednaya, il cosiddetto “mattatoio umano”, la prigione peggiore del mondo, dopo 14 anni di orrori.
“Pace in Siria,” esultano i 6 milioni di profughi siriani nel mondo e i 7 milioni di sfollati interni. Finalmente potranno tornare tutti quanti a casa.
“Pace in Siria,” fa eco Abdulkafi, il Manager della nostra Scuola, che per la prima volta dopo 11 anni ha potuto riabbracciare i suoi famigliari.
Ecco, tu prova a immedesimarti per un istante. Anziché pensare ai siriani come a dei numeri di geopolitica, immaginateli esseri umani, simili ai tuoi figli, ai tuoi genitori, ai tuoi amici. Prova a immaginare lo sconfinato e travolgente senso di felicità e sollievo che proveresti tu nel riabbracciare quei cari che pensavi persi per sempre.
“Pace in Siria,” sussurro io, che quasi stento a crederci. Lo dico con pudore, con timore quasi, come se prendendone atto l’incanto potesse spezzarsi. “Pace in Siria, pace in Siria, pace in Siria…”
È arrivata la pace in Siria, per la prima volta dopo 14 anni di atrocità inenarrabili. Ho un solo desiderio oggi: speriamo che sia pace definitiva.
Nel nostro settore, quello del no-profit, dell’aiuto umanitario e della cooperazione internazionale succede spesso una cosa strana: tutti dicono di volerla, la pace, seppur in realtà non la vogliano davvero. Perché? Perché la guerra fa donazioni. La pace no. Esistono libri che narrano di come alcune organizzazioni importanti si augurino i conflitti e i disastri naturali per fare soldi.
Non ti sei mai chiesto perché le notizie negative vengano amplificate e quelle positive affatto?
Noi non siamo così. Il nostro primo pensiero non è continuare a lavorare in un determinato luogo. Il nostro primo pensiero è che la gente stia bene. Molto semplicemente. Vogliamo la pace, anche se questo significasse chiudere la nostra Scuola.
Non sarà così. La Siria impiegherà decenni, purtroppo, a rimettersi in piedi. Ma ci auguriamo che questo sia l’inizio della ripresa. Ci auguriamo che i ribelli possano raggiungere un accordo tra loro, indire le elezioni e formare un governo che rispecchi veramente i desideri del popolo.
Se questo accade, ci impegniamo, qui e ora, a recarci a Damasco e contribuire come Still I Rise al grande sforzo di ricostruzione del Paese.
Pace in Siria. Pace in Siria. PACE IN SIRIA!
Nicola Govoni.
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