venerdì 17 gennaio 2025

... M ...

PPP 

Pier Paolo Pasolini fu colpito da un [...] passaggio del discorso di [Aldo] Moro [del 4 ottobre 1964 inaugurando in diretta televisiva l'autostrada del sole]: <>. E lo inserì come esempio all'interno di una sua conferenza, divenuta poi un testo - pubblicato su "Rinascita" - che sarebbe stato definito in seguito "l'ultimo clamoroso intervento sulla questione della lingua". L'italiano della nuova civiltà industriale si stava trasformando e i suoi cambiamenti erano il riflesso della fase storica che il paese stava attraversando. I cardini dei meccanismi della lingua stavano venendo progressivamente sostituiti da termini provenienti da una fonte nuova: il linguaggio tecnico dell'industria. Ad affermarsi in quel periodo era la lingua portatrice della moderna cultura industriale, quella dell'asse Milano-Torino, che nasceva da una realtà, appunto, non storica ma tecnica. L'identità non si trovava più in un passato nel quale riposava il conforto delle origini, ma si rispecchiava nel presente arido [...] [in] un contesto alienante. Il linguaggio delle fabbriche era il nuovo idioma di consumo che si stava imponendo sul resto della nazione. Termini come produttività, investimenti, programmazione, infrastrutture, concorrenza, sistema integrato, scala nazionale dimostravano che persino un linguaggio elitario come quello politico, fondato da sempre su componenti auliche e classicismi lessicali, stava subendo ormai il contagio del lessico industriale. Pasolini, dunque, prima di tutti, si accorse che i latinismi erano destinati a essere sostituiti dai tecnicismi. "La caratteristica fondamentale di tale sostituzione" scrisse "è che mentre l'osmosi col latino, di tipo eletto, tendeva a differenziare il linguaggio politico dagli altri linguaggi, la tecnologia tende al fenomeno contrario: a omologare, cioè, il linguaggio politico agli altri linguaggi. Si potrebbe dire, insomma, che centri creatori, elaboratori e unificatori di linguaggio non sono più le università ma le aziende." Ci fu un altro aspetto che fu considerato allarmante. "Non si tratta di un discorso a tecnici come il quantitativo di terminologia tecnica, enorme, potrebbe far credere" notò Pasolini, "si tratta di un discorso a un pubblico normale, trasmesso per televisione a un pubblico di italiani di tutte le condizioni, le culture, i livelli, le regioni." Attraverso la cassa di risonanza del nuovo medium televisivo lo spettatore medio avrebbe scambiato per auliche parole in realtà tecniche e queste sarebbero entrate nel vocabolario quotidiano degli italiani. "Non si tratta di un discorso di circostanza" proseguì Pasolini, "ma di un discorso che Moro ha investito di un'alta funzionalità sociale e politica: le sue frasi così crudamente tecniche hanno addirittura una funzione di captatio benevolentiae; sostituiscono quei passi che un tempo sarebbero stati di perorazione de enfasi. Infatti Moro strumentalizza l'inaugurazione dell'autostrada per fare un appello politico agli italiani, raccomandando loro un fatto politicamente assai delicato, quello di cooperare al superamento della congiuntura: cooperare idealmente e praticamente, essere, cioè, disposti ad affrontare dei sacrifici personali." Raccomandazione che in precedenza avrebbe richiesto "un tour de forse dell'ars dictandi" con l'ausilio di un lessico umanistico. "Qualcosa di fondamentale" avvertì Pasolini "è dunque successo alle radici del linguaggio politico ufficiale." Esattamente un mese prima dell'inaugurazione autostradale, l'autore e il critico di quel discorso si erano trovati l'uno al fianco dell'altro al Festival di Venezia. Si sedevano in prima fila, il politico in giacca e cravatta e il regista in smoking. Era il 4 settembre 1964, la sera della prima de Il Vangelo secondo Matteo, di lì a poco vincitore del Gran Premio della giuria. Quello fu il film che più riuscì a legare il concetto di bellezza morale che entrambi cercavano costantemente di interpretare attraverso azioni uguali e opposte. 
A causa di quelle sarebbero morti entrambi, dentro e sotto un'automobile. 

da "R4 Da Billancourt a via Caetani" di Piero Trellini, pp 351-352.

Nessun commento:

Posta un commento