Il presidente che vorrei dovrebbe emozionarsi per quello che ci emoziona.
Dovrebbe avere il granata nel cuore e pazienza se non avesse la birra in mano: visto come vanno le cose andrebbe benissimo anche se fosse astemio.
Dovrebbe conoscere la storia del Toro, amare il Toro, vivere per il Toro.
Dovrebbe disprezzare la Juve in quanto fonte di ogni male del mondo e mai scendere a patti con loro.
Dovrebbe essere Piemontese, meglio ancora se della provincia di Cuneo, ma non di quei posti tristi tipo Saluzzo (SZ) e nemmeno di Cortemilia, Garessio, Ormea o quei paesi talmente vicini alla Liguria che la gente se potesse ti farebbe pagare anche l’aria che respiri.
Dovrebbe essere generoso, nel senso più ampio del termine, e non solo riferito al vil denaro.
Non vorrei Ferrero però, perché fra l’altro non è nemmeno del Toro, con buona pace di tutti.
Già che ci sono, potendo scegliere, non vorrei nemmeno uno che ostenti troppo.
Esigerei un personaggio di basso profilo, che mantenga un certo understatement barotto.
L’ideale sarebbe un grosso allevatore di bestiame (non importa se bovini o suini) che si alza alle tre del mattino e lavora sette su sette h24, e che non ha nemmeno mai visto il mare in vita sua.
Uno che mettesse solo il grano, delegando tutto, e sottolineo tutto, ad una task force composta da Silvano Benedetti, Pasquale Bruno, Ezio Rossi ed i miei amici Fabio Milano e Giulio Rosingana: gente che il Toro sa cos’è e che ne mantiene viva la memoria.
Vorrei uno così, e non mi interesserebbe nemmeno poi così tanto se si vincesse qualcosa: non me ne è mai fregato niente.
Detto fra noi, mi accontenterei anche di Red Bull, ma in quel caso pretenderei non solo il cambio del nome ma anche del simbolo, in primis perchè quella capra rachitica che scimmiotta un Toro non la posso più vedere nemmeno in foto, et in secundis perché una bella folata d’aria pulita dalle Alpi austriache potrebbe spazzare via a ritmo di Jodel quell’incredibile quantità di sfiga e depressione che ci perseguita da quando ancora il conte di Cavour portava le brache corte.
Non ho grosse pretese, in realtà.
L’unica cosa che realmente non mi andrebbe giù sarebbe finire in mani di uno di quei tremendi fondi stranieri che imperversano attualmente nel mondo del pallone nostrano.
Quelle holding del crimine legalizzato che campano speculando su qualsiasi cosa, spesso e volentieri scommettendo sulle disgrazie altrui.
Ecco, questo mi infastidirebbe parecchio, sarebbe persino peggio di Urbano Cairo.
So già cosa pensate: “peggio di Urbano Cairo non ci può essere nulla”.
Forse, ma non devo essere io a ricordarvi che si usavano le stesse espressioni per Calleri prima, i genovesi dopo e Cimminelli poi e cosa è successo?
Che è stato un crescendo rossiniano di indecenza e disgrazie.
No amici miei, ci può essere persino qualcosa di peggiore di quella piaga ambulante che attualmente tormenta le nostre giornate come un herpes sul glande.
Potremmo trovarci ad esempio in uno di quei cul de sac dai quali non si esce se non con i piedi davanti, il tutto imprecando alla luna perché non ti è rimasta nemmeno una persona fisica con la quale prendertela.
Cairo da questo punto di vista è un’OTTIMA valvola di sfogo per le frustrazioni: è l’unico lato positivo che ha, ma non è poco.
Quindi che succede? Ci teniamo l’herpes ed il prurito?
No, perché non è più umanamente sopportabile.
Cairo deve andarsene perché è giusto e doveroso, perché non se ne può più della sua faccia, delle sue espressioni ridicole, dei suoi silenzi colpevoli, delle sue bugie da impunito.
Deve andarsene portandosi appresso la sua corte dei miracoli al gran completo: nani -lui compreso ovviamente- ballerine, funamboli, mangia fuoco, scimmiette ammaestrate e pagliacci.
Speriamo solo che per una volta nella vita ci possa girare bene: ce lo meriteremmo pure.
Ernesto Bronzelli. E DOMENICA, RIUSCIREMO A FARE QUALCHE COSA IN PIÙ?
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