Criminalità servente nel caso Moro (2018)
/ Da quando Report ha meritatamente riportato all'attenzione dell'opinione pubblica (e di chi continua a negare gli innumerevoli fatti che raccontano un'altra storia sul sequestro e l'omicidio Politico che ha cambiato il nostro Paese per sempre), ricevo messaggi privati che mi ringraziano per il lavoro da me svolto negli ultimi anni e che mi chiedono perché non sono stata citata perché non sono stata intervistata. Rispondo: è la stampa bellezza, ma i lavori fatti e quelli a venire portano una data e quella data non si cancella, così come le date dei lavori di altri che anche ben prima di me hanno svolto un lavoro enorme su quei 55 giorni della nostra Prima Repubblica. Giorni che hanno ancora come si è visto dalle reazioni del Paese molta importanza perché? Perché vanno a incrociarsi con la storia politico-criminale e con la geopolitica di ieri e di oggi. Ora posterò una sequenza di fatti che hanno riguardato il mio lavoro e che non si limitano allo scoop sul collaboratore di giustizia Filippo Barreca fatto nel 2020 e portato alla luce da Report Domenica sera.
Questa è la storia che a esempio riferisce Francesco Fonti un altro collaboratore di ndrangheta pubblicata la prima volta da L?Espresso nel 2009 e che nel mio libro ho sviluppato. Questa l'agenzia dell'Ansa che anticipava l'uscita del settimanale. In Criminalità servente svelo perché il ruolo mancato di Fonti apre uno spartiacque sul rapimento, spartiacque di cui anche Signorile parla a Report.
MORO: FRANCESCO FONTI, TUTTI SAPEVANO DI VIA GRADOLI MORETTI PAGATO DAL VIMINALE PER MANTENERE IL SUO SILENZIO (ANSA) - ROMA, 22 SET 2009 - Francesco Fonti, il pentito della 'ndrangheta che ha permesso di individuare sui fondali a largo della Calabria le 'navi dei veleni', fa nuove clamorose rivelazioni pubblicate sul sito de ''L'Espresso''. Una testimonianza in prima persona raccolta da Riccardo Bocca che da anni segue le rivelazioni del pentito che ora getta nuova luce sui retroscena della vicenda Moro. Fonti fu inviato dalla 'ndrangheta a Roma il 20 marzo del '78 chiamato da Riccardo Misasi e Vito Napoli. Incontra il segretario della Dc Benigno Zaccagnini e si rende conto che molti personaggi della banda della Magliana sanno che Aldo Moro, e i suoi rapitori sono in via Gradoli. ''Come e' possibile, mi domando, che tutta la malavita di Roma sia al corrente di dove si trova il covo delle Br?''. Fonti ha riscontri anche dai rappresentanti della 'ndrangheta a Roma e incontra anche la sua fonte nel Sismi, un certo ''Pino'' che torna poi anche nella vicenda delle ''navi dei veleni''. L'ultima certezza dopo molti incontri e tante certezze Fonti la ebbe il 4 aprile quando incontro' il direttore del Sismi Giuseppe Santovito. ''Pino mi porta dal capo da Forte Braschi, dopo un dialogo interlocutorio, Santovito mi chiede se ho notizie precise riguardo ad un appartamento in via Gradoli 96. Gli rispondo che, in effetti, ho sentito questo indirizzo da amici, e lui commenta: 'Tutto vero, Fonti: e' giunto il momento di liberare il presidente Moro'. In ogni caso, aggiunge congedandomi, 'teniamoci in contatto tramite Pino''. Contento di quella notizia Fonti torna il 9 o il 10 aprile a San Luca dal suo capo, Sebastiano Romeno, che gli fa le sue congratulazioni ma lo gela con una notizia: ''peccato che da Roma i politici abbiamo cambiato idea: dicono che, a questo punto, dobbiamo soltanto farci i cazzi nostri''. Fonti, preso dallo sconforto, telefona alla questura di Roma, per invitarli ad andare in via Gradoli 96, ''li' troverete i carcerieri di Aldo Moro''. Pochi giorni dopo, il 18 di aprile, il covo di via Gradoli 96, viene scoperto, ricorda Fonti, ''per una strana perdita d'acqua. Dei brigatisti come e' logico, viste le premesse, non c'e' traccia. E a questo punto so bene il perche': non c'e' stata la volonta' di agire. E Fonti una sorta di risposta l'ebbe quando nel 1990 si trovo' nel carcere di Opera insieme a Mario Moretti e si accorse che il capo delle Br riceveva ogni mese una busta con un assegno circolare. ''Qualche tempo dopo - rivela Fonti - un brigadiere che credo si chiami Lombardo mi confida che, per recapitare i soldi (del ministero dell'Interno ndr) lo hanno fatto risultare come un insegnante di informatica, e in quanto tale e' stato retribuito, l'ennesimo mistero - conclude la testimonianza di Fonti - tra i misteri del caso Moro dico a me stesso; l'ennesima zona grigia in questa storia tragica''.(ANSA)
...l'intervista:-------------------------------------------------------------
Dott.ssa Simona Zecchi, Lei è autrice del libro La criminalità servente nel caso Moro edito da La Nave di Teseo: quale ruolo ha svolto la criminalità organizzata nel caso Moro?
I ruoli della criminalità organizzata sono stati diversi lungo l’intero corso del Caso Moro, a cominciare dalla presenza della ‘ndrangheta in Via Fani la mattina del sequestro e l’eccidio della scorta il 16 marzo 1978, attraversando poi i tentativi di liberazione del Presidente DC con le attivazioni di banda della Magliana, Cosa Nostra e Nuova Camorra Organizzata e della stessa ‘ndrangheta (altri livelli e fazioni della stessa organizzazione) per arrivare fino all’omicidio dell’onorevole Moro. Si sono alternati e intrecciati tra loro diversi tipi di azioni anche con un certo avvallo della Democrazia Cristiana. Il libro ripercorre – ricostruendoli – in parte alcuni aspetti già noti di quei ruoli ma soprattutto fa emergere tanti altri aspetti inediti e tante storie parallele inedite che vanno a formare un nuovo quadro, più ampio mai considerato prima. Lo fa attraverso incroci di fatti testimonianze e documenti.
Lei adotta nel Suo libro la formula «criminalità servente»: al servizio di chi?
È una espressione coadiuvata da un termine praticamente nuovo nella panoramica delle ricostruzioni storico-giornalistiche che si sono via via presentate in questi anni: servente. È servente verso una parte delle istituzioni, verso consorterie politico criminali e massonerie è stata anche utile strumento di interferenze internazionali anche nel caso Moro così come in altri eventi. Infatti il titolo allude a un intervento particolare (“nel Caso Moro”) che non è l’unico. Un do ut des fra Stato e Mafia che arriva fino ai giorni nostri. Ritengo come giornalista e in generale ritengo che chi scrive chi si prende questa responsabilità seriamente di cercare verità scomode abbia anche il dovere di trovare parole nuove lontane da quello che è il solito gergo “commerciale” (misteri o presenze oscure ecc.). Un linguaggio che sia aderente alle cose ai fatti per quanto questi complessi o tragici possano essere. Una criminalità servente è quella che ha attraversato tutti i fatti più destabilizzanti di questo Paese e il patto che l’ha unita a una componente rimasta segreta (ma la cui conoscenza era agli atti giudiziari) all’opinione pubblica, in cui diversi settori di potere della società civile e istituzionale sono compresi, sono fatti e non ricostruzioni buone per complottisti. Un linguaggio che seppure possa sembrare lì per lì poco allettante commercialmente soltanto perché poco noto arrivi diritta alla comprensione dei lettori e quindi della opinione pubblica. Spiegare la differenza fra segreti (fatti coperti da manipolazioni, deviazioni depistaggi o patti) e misteri (qualcosa che si percepisce come distante e verosimile) credo sia anche tra queste responsabilità.
Quali sono le figure criminali coinvolte nell’affaire Moro?
Soprattutto a essere coinvolti sono i vertici più elevati delle organizzazioni criminali, un livello superiore alla normale criminalità anche organizzata. Nel libro faccio i nomi. Due livelli paralleli che non si toccano tra loro. Infatti nel libro stesso parlo di questa componente riservata così come l’ha anche definita il magistrato di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo che l’ha studiata e indagata seguendo vecchie indagini giudiziarie e indagando sulle ultime. Magistrato audito dalla ultima Commissione Moro. In questo livello superiore, in questa componente rientrano anche altri settori come parti della magistratura, delle forze di polizia, dei servizi segreti, delle istituzioni. Vi stava indagando il generale Carlo Dalla Chiesa sin dal 1971, come dimostro, nel libro. Motivo per cui al generale sciolsero il nucleo che aveva creato che non era impegnato a contrastare solo il terrorismo di sinistra ma appunto questa struttura in cui anche si è utilizzato il terrorismo di sinistra (come nel caso Moro) ma non soltanto. Un elemento concreto che porta alla causa della sua stessa morte (per mano della criminalità organizzata nel 1982), così come delle morti di Mino Pecorelli e del colonnello Varisco e di altri.
Nel Suo libro Lei teorizza il meccanismo della piramide rovesciata: a cosa si riferisce?
La Piramide Rovesciata è insieme un meccanismo di lettura dei fatti, un’analisi (dopo che questi sono stati esposti) e anche un metodo giornalistico per esporre le notizie e gli approfondimenti. Ho infatti voluto iniziare da una «base», cioè dalla fine, dai diversi tentativi di liberazione e il ruolo delle criminalità in essa intervenute per spiegare che si tratta del vero nodo mai sciolto. Perché al fondo la questione è che Aldo Moro non si volle liberare, al contrario di altri rapiti dai terroristi tra magistrati, ufficiali militari e politici (prima e dopo Moro). Ho poi proseguito a ricostruire i fatti soffermandomi sul nodo centrale di tutto: la costante ‘ndrangheta. Perché «costante»? Perché, nata all’ombra di Cosa Nostra, che nel frattempo metteva in bella mostra ammazzamenti e stragi, la criminalità organizzata calabrese si rafforza quasi in silenzio (fino a pochi anni fa era considerata un orpello criminale quasi). Ed è quella che oggi tiene in mano le redini dei traffici di stupefacenti a livello internazionale, mette mano ai fondi europei per attività e imprese, uccide i giornalisti scomodi che nel resto dell’Unione Europea cercano di svelare la loro presenza nei gangli delle istituzioni europee. È la ndrangheta che apre e chiude il Caso Moro. Infine il terzo strato di questo meccanismo che è anche la terza parte del libro va a sciogliere i segreti della struttura riservata in cui anche rientra la massoneria rappresentata da una Piramide (oltre che da un compasso di solito). Fu Tina Anselmi presidente della Commissione Parlamentare sulla P2 a parlare nella sua relazione pre-finale e finale di questo meccanismo della Piramide rovesciata. Nulla di tutto questo è dietrologia o complottismo è tutto supportato dai fatti concatenati tra loro e ben documentati e dalle analisi che li seguono.
Cosa ha impedito la liberazione di Aldo Moro?
La volontà politica e internazionale (soprattutto americana come anche rilevato dalla ultima Commissione d’inchiesta sul Caso Moro) di spegnere un importante e nuovo processo democratico che lentamente ma tenacemente Moro stava tentando di portare avanti, il quale iniziava con il Compromesso storico ma sarebbe proseguito con l’alternanza anche di altre parti politiche. Sicuramente non reazionarie. Né troppo immobili sulle importanti conquiste civili che si stavano imponendo e che Moro aveva capito ormai fondamentali.
Di quanto racconta nel Suo libro, poco o nulla emerge dalle verità processuali: si arriverà mai, a Suo avviso, a fare completa chiarezza sulla vicenda Moro?
In realtà io faccio emergere le evidenze andate perdute che però sono sempre state lì, ma a forza, invece, furono affossate (purtroppo in parte anche dalla ultima Commissione Moro per ciò che riguarda il vero ruolo della criminalità organizzata). I processi seguiti ai fatti del sequestro e dell’omicidio sono stati in tutto cinque poi ci sono stati indagini e processi collaterali e altri processi e indagini che hanno attraversato il Caso Moro sotto diverse forme (il caso Pecorelli, il Caso Bruno Caccia, e altri). Commissioni d’inchiesta (non solo la prima) che l’hanno affrontato in parte anche. Soprattutto poi le inchieste che hanno riguardato il ruolo della centrale intellettuale del sequestro, i fiancheggiatori delle BR anche queste con legami con la criminalità organizzata. E mie personali indagini. Mancava una visione d’insieme che io ho cercato di dare e che conteneva tutti gli elementi andati persi o affossati con l’obiettivo evidente di nascondere il Cuore del caso Moro. Il problema è la memoria condivisa un’accettazione di quanto avvenuto che non sia solo retorica e perdono ma verità. Anche perché come può esserci perdono senza verità? Ci sono ancora due filoni d’indagine aperti in procura a Roma che ha anche raccolto quanto accertato dalla nuova Commissione. Forse le sorprese non sono ancora finite. E spero che il mio lavoro possa essere utile in questo senso.