venerdì 5 gennaio 2024

... 5 gennaio1984 ...

Giuseppe Fava, 40 anni fa veniva ucciso dalla mafia il giornalista che “sapeva e parlava” Cinque colpi di pistola uccisero Giuseppe (Pippo) Fava il 5 gennaio 1984. "Ho visto molti funerali di Stato. Spesso gli assassini erano sul palco delle autorità" l'intervista con Enzo Biagi una settimana prima di morire Giovanni Bogani 5 Gennaio 2024 giuseppe-fava-mafia Il 5 gennaio 1984, esattamente quarant’anni fa, era un giovedì. A Catania, verso le nove di sera, un giornalista esce dalla redazione della rivista che ha fondato. La rivista si chiama «I Siciliani». Lui si chiama Giuseppe Fava. La sua rivista, un mensile, nata due anni prima, è già un caso giornalistico e politico. «I Siciliani» attacca la presenza delle basi missilistiche americane in Sicilia, ma soprattutto denuncia la presenza della mafia nella vita della società. Fa nomi e cognomi: di imprenditori e di mafiosi. Giuseppe Fava sta andando al teatro Stabile di Catania, per prendere la nipotina, che recita in «Pensaci, Giacomino!». Non fa in tempo a scendere dalla sua auto: cinque proiettili calibro 7,65 vengono sparati contro di lui. Uno lo colpisce alla nuca, altri al torace. Giuseppe Fava muore poco dopo. Non aveva neanche sessant’anni. Il giornalismo di Giuseppe Fava Si può morire perché si sanno le cose, perché si ha il coraggio di dirle. Perché si fa il mestiere del giornalista in modo serio. “Io ho un concetto etico del giornalismo – scriveva Giuseppe Fava sul «Giornale del Sud» l’11 ottobre 1981 – Un giornalismo fatto di verità frena la violenza, la corruzione, la criminalità. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le corruzioni che avrebbe potuto combattere”. Appena una settimana prima, Giuseppe Fava era stato ospite di uno dei più grandi giornalisti italiani, Enzo Biagi, per un’intervista andata in onda sulla tv della Svizzera italiana. Ha una giacca di pelle nera, una barba riccioluta. Assomiglia agli eroi greci, nelle illustrazioni dell’Iliade o dell’Odissea: Agamennone, Achille, Ulisse. La lotta alla mafia Nel corso di quell’intervista Giuseppe Fava dice: “I mafiosi veri non sono i piccoli criminali, quelli che intimidiscono chi ha un’attività commerciale per chiederti il pizzo. I mafiosi veri stanno in Parlamento. Sono ai vertici della società, e portano alla rovina e al decadimento morale dell’Italia”. In quei minuti, Fava parla di una mafia che gestisce l’enorme mercato mondiale del traffico di stupefacenti, che gestisce il commercio delle armi. Di banche che riciclano quantità enormi di denaro. Di denaro che riesce a spostare enormi masse di voti. Di criminalità che si fa politica, insomma. “Ho assistito a molti funerali di Stato di vittime della mafia. Posso dire che in molti casi gli assassini erano sul palco delle autorità”. Si può morire per delle parole? “L’hanno ucciso perché era intollerabile che un uomo rimanesse vivo, continuando a esercitare il proprio diritto alla parola e alla verità. Doveva pagare il prezzo più alto”, dice oggi suo figlio, Claudio Fava, uomo politico e giornalista. Enzo Biagi, che lo aveva invitato in trasmissione una settimana prima della sua esecuzione, di fronte alla sua morte sembra quasi non trovare le parole. E, cosa rarissima per un giornalista composto e “freddo” come era Biagi, sembra inciampare nelle parole. “Sento in me quasi un senso di colpa. Lo avevamo invitato perché venisse a raccontare la mafia, perché sapevamo della passione che metteva nell’indagare sui fatti, per cercarvi la verità. Ma ormai, qualche volta, anche la parola in Italia è diventata una colpa. Si può morire perché si sa o perché si parla”. Su Giuseppe Fava e la sua storia è stato girato un film, da Daniele Vicari. Il giornalista è interpretato da Fabrizio Gifuni. Il film si chiama «Prima che la notte». Fava rivive magistralmente nelle due ore del film – adesso disponibile su Raiplay – che racconta, riannodando memoria e storia, la vicenda di un uomo che combatté con intelligenza e coraggio la mafia e il suo radicarsi fra le istituzioni politiche ed economiche, ben oltre l’isola. E sempre in tema di cinema, c’è un film che, invece, è stato scritto da Giuseppe Fava, che si è ispirato al proprio romanzo «Passione di Michele». Il film si chiama «Palermo oder Wolfsburg», e ha vinto l’Orso d’oro a Berlino nel 1980. Mattarella: “L’indipendenza dell’informazione è strumento di libertà per tutti” “Sono trascorsi quarant’anni dal vile assassinio per mano mafiosa di Giuseppe Fava, giornalista che ha messo la sua passione civile al servizio della gente e della Sicilia, impegnato nella battaglia per liberarla dal giogo della criminalità e dalla rete di collusioni che consente di perpetuarlo”. Lo ha sottolineato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “La mafia – ha proseguito il capo dello Stato – lo uccise per le sue denunce, per la capacità di scuotere le coscienze, come fece con tanti che, con coraggio, si ribellarono al dominio della violenza e della sopraffazione e dei quali è doveroso fare memoria. Fava ha fatto del giornalismo uno strumento di irrinunciabile libertà. L’indipendenza dell’informazione e la salvaguardia del suo pluralismo – ha quindi concluso – sono condizione e strumento della libertà di tutti, pietra angolare di una società sana e di una democrazia viva. Un impegno e un sacrificio a cui la Repubblica rende omaggio”.

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