martedì 1 marzo 2011

...da Pierre L. citoyen...

Eccomi di nuovo qui,
per una piccola riflessione su ciò che sta avvenendo in nord-Africa e medio oriente.

Prima di tutto vi è la storia del gatto che si morde la coda; se non avessimo appoggiato, anche col silenzio, quelle dittature, forse avremmo contribuito ad una transazione democratica, perciò non ci troveremo a questo punto, anche perchè sarebbe stato più semplice sapere di eventuali movimenti di cambiamento sociale.

Seconda cosa, v'è l'incapacità e la disattenzione della stampa, della politica, degli organi istituzionali, tra cui l'UE e l'ONU di conoscere e comprendere ciò che stava avvenendo sotto la cenere.

Guardando sempre le cose da un punto di vista politico globale avremmo potuto capire anzitempo ciò che sarebbe accaduto

Per un maggiore approfondimento sto leggendo il libro " Storia del medio oriente" di Peter Mansfield - edizioni SEI

au revoir les amis

Pierre L. citoyen

p.s. mi piacerebbe se incollassi queste discussioni su FB per un maggior dibattito. Grazie

3 commenti:

  1. Ciao Renè sto raccogliendo informazioni di dittature che, come la Libia, fanno affari con l'occidente.

    Pierre

    Corriere della Sera, 8 giugno 2008

    Mugabe a Roma con il figlio del mercante d'armi
    Durante il vertice Fao è arrivato anche Thabani Dube. Ma non ha partecipato ai lavori

    L’hanno visto in Piazza San Pietro. Lei l’ha seguito alla Fao e poi ha fatto un po’ di jogging mercoledì all’alba. Poi è rimasta in albergo tutto il tempo. Per evitare strani incontri con i cronisti non è neanche andata a fare shopping dal suo negozio di scarpe di fiducia, Ferragamo. (Chissà perché le mogli dei dittatori amano comprarne decine di paia). E’ passata invece da una piccola boutique “La dolce vita”. Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna. E così per due giorni alla suite 515 del quinto piano sono arrivati grandi pacchi avvolti in carta regalo così da rendere invisibili marche e contenuto. Poche ora prima della partenza qualcuno della “servitù reale” è sceso alla reception e si è fatto consegnare cinque scatoloni vuoti che, una volta riempiti, sono stati caricati nelle limusine nere in attesa, la sera di giovedì, per trasferire la coppia in aeroporto. Peccato. Mugabe avrebbe potuto diventare un simbolo per l’Africa libera e indipendente. Avrebbe potuto passare alla storia come Nelson Mandela, uno degli uomini viventi più rispettati e amati. Invece sarà ricordato come un tiranno che ha affamato il suo popolo. Ma non tutta la delegazione dello Zimbabwe era nel lussuoso Hotel Ambasciatori. Qualcuno si è dileguato in alberghi meno vistosi e famosi. Come Thabani Dube, il figlio del capo della società che si occupa di rifornimenti militari (la Zimbabwe Defence Industry) il colonnello Tshinga Dube, finito in un alberghetto di via Bergamo. “Ma lui non si occupa degli affari del padre”, spiega George Charamba. Tshinga Dube, anche lui soggetto all’embargo sui viaggi in Europa e negli Stati Uniti, ha sempre respinto le accuse sul traffico d’armi sebbene il suo nome compaia su alcune ricevute bancarie della CIB Bank di Budapest, nel conto numero 0007-070227-500 intestato alla Engineering & Technical Company Ltd. società costituita il 5 marzo 1998 nel paradiso fiscale dell’Unione Europea alle Isole Vergini Britanniche, dalla Morgan & Morgan Trust Corporation.

    La Engineering & Tecnical Company è diretta dai due soci bulgari Alexandar Todorov e Nadia Petkova. L’estratto conto in possesso del Corriere non è recentissimo, risale a nove anni fa, ma il contenuto è assai chiaro e rivela connessioni interessanti, tra società fittizie, prestanomi e destinatari finali: armi in tutte le zone calde dell’Africa. Per quel che riguarda lo Zimbabwe, la Zimbabwe Defence Industry effettua su questo conto due versamenti: il primo di 1.383.150 dollari, il secondo di 2.103.150. Subito dopo l’arrivo dei soldi della ZDI da quello stesso conto partono tre versamenti diretti a Tshinga Dube: le tre tranche sono di 175.815, 80 mila, 40 mila dollari. Un giro di soldi cha assomiglia molto a una tangente. Qualcun altro riceve da questo conto uno strano versamento, sebbene di ben altra portata, solo 5 mila dollari: Zodwa Dabengwa, moglie dell’allora ministro degli interni, Dumiso Dabengwa, ora alleato dell’arcirivale di Mugabe, Morgan Tswangirai. Ma che ci faceva a Roma il figlio del mercante d’armi dello Zimbabwe accreditato al vertice sulla penuria alimentare e i cambiamenti climatici? George Charamba risponde con un sorriso: “I figli sono diversi dai padri”. Comunque Dube figlio non è mai comparso alla Fao. Era in giro per Roma. A fare cosa? (Corriere della Sera, Massimo A. Alberizzi)

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  2. Fonte: Il Foglio di Pamela Barbaglia

    Per scongiurare la minaccia neocolonialista degli occidentali "guerrafondai" Robert Mugabe ce l'ha messa tutta: la confisca delle terre (rimaste inutilizzate), il riarmo dei veterani, l'isolamento a livello internazionale. Dal 1980 l'ex colonia britannica, nonché ex "granaio d'Africa", è paralizzata dalla sua leadership totalitaria.

    Con sei mandati presidenziali consecutivi - puntualmente accompagnati dalle accuse di brogli elettorali - Mugabe ha ridotto sul lastrico il paese, esasperando una politica liberticida devota al nazionalismo estremo.

    Neppure la sospensione dal Commonwealth e il congelamento degli aiuti finanziari da parte del Fondo monetario internazionale sono riusciti ad allentarne la linea dura. In 25 anni di governo l'ex guerrigliero di razza "shona" ha messo a tacere l'opposizione, perseguitando i suoi rappresentanti e accentrando su di sé la duplice funzione di presidente e capo dell'esecutivo. Cinico e tracotante, il "compagno Bob" si difende giustificando l'inflazione galoppante (pari al 300%) e la catastrofe umanitaria come gli effetti collaterali del "nostro legittimo diritto all'autodeterminazione".

    Chi lo definisce il padre-padrone dell'Africa nera sa perfettamente che, varcata la linea dell'equatore, Mugabe rischia l'arresto e la persecuzione internazionale per violazione dei diritti umani. Un'eventualità che l'ottantenne despota intende vanificare con il prossimo appuntamento alle urne, fissato a fine marzo, per il rinnovo del Parlamento. Dicesi democrazia, anche se tutto si svolgerà lontano dagli sguardi indiscreti degli osservatori internazionali, che Mugabe ha bandito dal paese. Dopo le consultazioni in Arabia Saudita, anche quella pianificata dal governo di Harare sarebbe una messa in scena ben congegnata che, oltre a confermare lo status quo, darebbe a Mugabe la maggioranza per emendare la Costituzione. Niente più che un'aggiustatina qua e là per spianare la strada a una rielezione, oppure delegare il potere a qualche suo delfino.

    L'ars politica del tiranno è infarcita di demagogia. Proprio l'esasperata crociata al "nemico bianco" ai tempi di Ian Smith, ex governatore della Rhodesia del sud fino alla fine degli anni Settanta, ha favorito la rapida ascesa dell'Unione nazionale africana dello Zimbabwe (Zanu), capeggiata da Mugabe. In realtà, la bagarre contro gli agricoltori europei è stata montata a parole. Soltanto in tempi recenti sono arrivati i fatti con l'invasione violenta delle fattorie, seguita a una prima tornata di espropri a favore dei militanti del partito. Il pugno di ferro ha costretto i bianchi zimbabwani a fare le valige. Ecco che la retorica populista di Mugabe ha dato i suoi "buoni" frutti con la progressiva perdita delle risorse monetarie e del know how sulla gestione moderna delle imprese agricole.

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  3. 2a parte

    Poco importa se il deficit ha iniziato a divorare le casse dello stato. Nel 1998 Mugabe ha inviato un terzo del suo esercito (12mila uomini) a combattere nella Repubblica democratica del Congo, in difesa del governo Kabila. Un'operazione infausta che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha interpretato come "un tentativo di arricchimento personale degli ufficiali governativi dopo il declinante tasso di scambio dello Zimbabwe, la fallimentare industria mineraria e la situazione critica degli approvvigionamenti energetici". La smania di protagonismo ha indotto il vecchio Dinosauro a voltare le spalle all'occidente e cacciare le ong dal paese per gestire autonomamente gli aiuti, fino a dare rifugio all'ex presidente dell'Etiopia, Menghistu Hailé Mariam, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani tra il 1974 e il 1991. Con un misto di sfida, spacconeria e disprezzo Mugabe ha accettato le sanzioni economiche di Usa, Gran Bretagna e Unione Europea rilanciando gli slogan triti e ritriti in salsa panafricana: "Abbiamo lottato per la terra, la sovranità, l'indipendenza, siamo pronti a dare il nostro sangue per difenderla".

    da "Il Foglio" del 5 marzo 2005

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