L’idea poetica – che dovrebbe diventare insieme il filo conduttore del film – e anche la sua novità – consiste nel trasporre l’intera vicenda di San Paolo ai nostri giorni.
Questo non significa che io voglia in qualche modo manomettere o alterare la lettera stessa della sua predicazione: anzi, come ho già fatto per il Vangelo, nessuna delle parole pronunciate da Paolo nel dialogo del film sarà inventata o ricostruita per analogia. E poiché sarà naturalmente necessario fare una scelta dei discorsi apostolici del santo, farò tale scelta in modo da riassumere l’intero arco dell’apostolato (sarò aiutato in questo da specialisti, che garantiscono l’assoluta fedeltà all’insieme del pensiero di Paolo).
Qual è la ragione per cui vorrei trasporre la sua vicenda terrena ai nostri giorni? È molto semplice: per dare cinematograficamente nel modo più diretto e violento l’impressione e la convinzione della sua attualità. Per dire insomma esplicitamente, e senza neanche costringerlo a pensare, allo spettatore, che «San Paolo è qui, oggi, tra noi» e che lo è quasi fisicamente e materialmente. Che è alla nostra società che egli si rivolge; è la nostra società che egli piange e ama, minaccia e perdona, aggredisce e teneramente abbraccia.
Tale violenza temporale usata alla vita di San Paolo, così fatta riaccadere nel cuore degli Anni Sessanta, richiede naturalmente tutta una lunga serie di trasposizioni.
La prima, e capitale, di queste trasposizioni, consiste nel sostituire il conformismo dei tempi di Paolo (o meglio i due conformismi: quello dei Giudei e quello dei Gentili), con un conformismo contemporaneo: che sarà dunque quello tipico dell’attuale civiltà borghese, sia nel suo aspetto ipocritamente e convenzionalmente religioso (analogo a quello dei Giudei), sia nel suo aspetto laico, liberale e materialista (analogo a quello dei Gentili).
Tale grossa trasposizione, fondata sull’analogia, ne implica fatalmente molte altre. In questo gioco di trasposizioni che si implicano vicendevolmente e richiedono quindi una certa coerenza, io vorrei però mantenermi libero. Dato cioè che il mio primo obiettivo è quello di rappresentare fedelmente l’apostolato ecumenico di San Paolo, vorrei potermi disobbligare anche da una certa coerenza esteriore e letterale. Mi spiego.
Il mondo in cui – nel nostro film – vive e opera San Paolo è dunque il mondo del 1966 o ’67: di conseguenza, è chiaro che tutta la toponomastica deve essere spostata. Il centro del mondo moderno – la capitale del colonialismo e dell’imperialismo moderno – la sede del potere moderno sul resto della terra – non è più, oggi, Roma. E se non è Roma, qual è? Mi sembra chiaro: New York, con Washington. In secondo luogo: il centro culturale, ideologico, civile, a suo modo religioso – il sacrario cioè del conformismo illuminato e intelligente – non è più Gerusalemme, ma Parigi. La città equivalente all’Atene di allora, poi, è grosso modo la Roma di oggi (vista naturalmente come una città dalla grande tradizione storica, ma non religiosa). E Antiochia potrebbe essere probabilmente sostituita, per analogia, da Londra (in quanto capitale di un impero antecedente alla supremazia americana, come l’impero macedone-alessandrino aveva preceduto quello romano).
Il teatro dei viaggi di San Paolo non è più, dunque, il bacino del Mediterraneo, ma l’Atlantico.
Passando dalla geografia alla realtà storico-sociale: è chiaro che San Paolo ha demolito rivoluzionariamente, con la semplice forza del suo messaggio religioso, un tipo di società fondata sulla violenza di classe, l’imperialismo e soprattutto lo schiavismo; ed è dunque di conseguenza chiaro che alla aristocrazia romana e alle varie classi dirigenti collaborazioniste va sostituita per analogia l’odierna classe borghese che ha in mano il capitale, mentre agli umili e ai sottomessi vanno sostituiti, per analogia, i borghesi avanzati, gli operai, i sottoproletari del mondo d’oggi.
Naturalmente, tutto questo non sarà esposto così esplicitamente e didascalicamente, nel film! Le cose, i personaggi, gli ambienti parleranno da sé. E da qui nascerà il fatto più nuovo e forse poetico del film: le «domande» che gli evangelizzati porranno a San Paolo saranno domande di uomini moderni, specifiche, circostanziate, problematiche, politiche, formulate con un linguaggio tipico dei nostri giorni; le «risposte» di San Paolo, invece, saranno quelle che sono: cioè esclusivamente religiose, e per di più formulate col linguaggio tipico di San Paolo, universale ed eterno, ma inattuale (in senso stretto).
Così il film rivelerà attraverso questo processo la sua profonda tematica: che è contrapposizione di «attualità» e «santità» – il mondo della storia, che tende, nel suo eccesso di presenza e di urgenza, a sfuggire nel mistero, nell’astrattezza, nel puro interrogativo – e il mondo del divino, che, nella sua religiosa astrattezza, al contrario, discende tra gli uomini, si fa concreto e operante.
Quanto alla composizione del film, io penserei di farne una «tragedia episodica» (secondo la vecchia definizione di Aristotele): poiché appare evidentemente assurdo raccontare la vita di San Paolo per intero. Si tratterà di un insieme di episodi significativi e determinanti, raccontati in modo da includere il più possibile anche gli altri.
In testa a ognuno di questi episodi, che si svolgono ai nostri giorni, sarà scritta la data reale (63 o 64 dopo Cristo, ecc. ecc.); come del resto prima dei titoli di testa del film, per chiarezza, verrà sostituita la cartina con gli itinerari veri di San Paolo, a quella con gli itinerari «trasposti.»
Elenco schematicamente e irregolarmente alcuni degli episodi che costituiranno con tutta probabilità l’ossatura del film.
1) Il martirio di Santo Stefano.
Siamo a Parigi, durante l’occupazione nazista. Tra i francesi, alcuni sono collaborazionisti, altri protestano passivamente, altri ancora che resistono con le armi (gli Zeloti). San Paolo, fariseo, è un borghese profondamente inserito nella sua società, per lunga tradizione familiare: egli si oppone al dominio straniero unicamente in nome di una religione dogmatica e fanatica. Egli vive in uno stato di inconsapevole insincerità, che, nella sua anima fatta per essere sincera fino allo spasimo, si fa tensione quasi folle. I fatti del processo e della morte di Stefano si svolgono esattamente come sono narrati negli Atti degli Apostoli – con l’integrazione delle altre testimonianze storiche. Nessun fatto, nessuna parola sarà inventata o aggiunta. Solo che, naturalmente, si tratterà invece che di una lapidazione antica, di un atroce linciaggio moderno. Ma Stefano morente pronuncerà le stesse parole di perdono. E Paolo le ascolterà – presente all’esecuzione, a rappresentare l’ufficialità, che crede, in tal modo, di liberarsi della verità che viene a distruggerla.
2) La folgorazione.
Come negli Atti degli Apostoli, Paolo chiede di andare a continuare la persecuzione cristiana a Damasco. Questa è una città fuori dal dominio nazista – potrebbe essere in Spagna: per esempio Barcellona – dove si sono rifugiati Pietro e gli altri fedeli di Cristo. La traversata del deserto è così la traversata di un deserto simbolico: siamo per le strade di una grande nazione europea, le campagne del Sud della Francia, e poi i Pirenei, e poi la Catalogna, perdute nel fondo senza speranza della guerra – in un silenzio, che può essere reso reale e tangibile rendendo completamente muta la colonna sonora del film: così da dare fantasticamente, e in modo ancora più angoscioso della realtà, l’idea del deserto. In una qualsiasi di queste grandi strade piene di traffico e dei soliti atti della vita quotidiana, ma perdute nel più totale silenzio – Paolo è colto dalla luce. Cade, e sente la voce della vocazione.
Giunge cieco a Barcellona; vi incontra Anania e gli altri rifugiati cristiani; si unisce a loro, convertito; decide di ritirarsi a meditare nel deserto.
3) Idea di predicare ai Gentili.
È quello che nelle «sceneggiature» si chiama «risvolto». Paolo torna verso i suoi nuovi amici, già santo, trascinato da un impeto di amore e di ispirata volontà, quando una sua stessa idea rovescia la situazione e crea nuove terribili difficoltà e prospettive del tutto nuove: è una vera rivoluzione nella rivoluzione. Vorrei ricostruire il momento concreto (magari inventandolo, se non esiste una testimonianza diretta) in cui è scesa in San Paolo la nuova luce ispiratrice.
Comincia così – e ne vediamo i primi atti – quell’apostolato che è «scandalo per i Giudei, stoltezza per i Gentili».
4-5-6) Avventure della predicazione.
Una serie di tre o quattro episodi «tipici» della prima parte della predicazione: «tipici» e quindi rappresentativi anche di intere serie di altri episodi che non possono essere narrati. Per la serie degli episodi dell’evangelizzazione delle persone appartenenti alle classi agiate e colte, si potrebbe trascegliere la predicazione ad Atene (che abbiamo detto di sostituire, per analogia, con la moderna Roma, scettica, ironica, liberale); mentre per la serie degli episodi dell’evangelizzazione della gente semplice, si potrebbero trascegliere due storie, una che riguarda gli operai o artigiani, l’altra il sottoproletariato più sordido e abbandonato: ossia la storia dei fabbricanti di «souvenirs» d’argento del tempio (credo) di Venere, che vedono diminuire i loro guadagni in seguito al discredito di quel tempio meta di pellegrinaggi; e la storia di quel gruppo di poveri diavoli che, per sbarcare il lunario, fingono di saper scacciare il demonio dagli indemoniati, come Paolo e in nome di Paolo, mentre non ci riescono, e finiscono male ecc. ecc.
7) Il sogno del Macedone.
Gli episodi che ho descritto nel paragrafo precedente potrebbero tutti accadere in Italia: ora Paolo prosegue verso il Nord. Il sogno del Macedone può essere quindi sostituito per analogia da un «sogno del Tedesco».
Paolo dorme uno di quei suoi dolorosi sonni di malato, che lo riducono a lamentarsi come in un delirio. Ed ecco che, nella pace profonda del sogno, gli appare una figura bellissima: è un giovane tedesco biondo, forte, giovane. Egli parla a Paolo, lo invoca a venire in Germania: il suo appello, che elenca i reali problemi della Germania, e per cui la Germania ha bisogno di aiuto, suona irreale «dentro» quel sogno sacro. Egli parla del neocapitalismo che soddisfa il puro benessere materiale, che inaridisce, del revival nazista, della sostituzione degli interessi ciecamente tecnici agli interessi ideali della Germania classica ecc. ecc. Ma, mentre parla così, quel giovane biondo e forte, mano mano – quasicché qualcosa di esterno a lui ne rappresentasse fisicamente l’interiorità e la verità – diventa sempre più pallido, affranto, divorato da un misterioso male: piano piano rimane mezzo nudo, orribilmente magro, cade a terra, si raggomitola: è diventato una delle atroci carogne viventi dei lager...
Quasi che continuasse questo sogno, vediamo San Paolo che, obbedendo a quell’appello disperato, è in Germania: cammina col passo veloce e sicuro del Santo, lungo una immensa autostrada che porta verso il cuore della Germania...
(Mi sono dilungato su questo punto, perché è qui che si fonda, in modo visivo fantastico, il tema del film – che verrà soprattutto sviluppato nella parte finale del martirio nella Roma-New York: ossia il contrasto tra la domanda «attuale» rivolta a Paolo e la sua «risposta» santa.)
😎 La passione religiosa e politica da Gerusalemme a Cesarea.
Paolo è di nuovo a Gerusalemme (Parigi). Comincia qui quella concatenazione di episodi violenti e drammatici, che sono troppo noti perché debba anche sommariamente riassumerli: si tratta della serie di sequenze più drammatiche del film – che si concludono a Cesarea (Vichy) con la richiesta di Paolo di essere giudicato a Roma.
9) San Paolo a Roma.
È questo l’episodio più lungo e ricco del film. A New York siamo nell’ombelico del mondo moderno: lì l’«attualità» dei problemi è di una violenza e di una evidenza assolute. La corruzione dell’antico mondo pagano, mista all’inquietudine dovuta al confuso sentimento della fine di tale mondo – è sostituita da una nuova disperata corruzione, per così dire la disperazione atomica (la nevrosi, la droga, la contestazione radicale alla società). Lo stato d’ingiustizia dominante in una società schiavista come quella della Roma imperiale può essere qui adombrato dal razzismo e dalla condizione dei negri. È il mondo della potenza, della ricchezza immensa dei monopoli, da una parte, e dall’altra dell’angoscia, della volontà di morire, della lotta disperata dei negri, che San Paolo si trova a evangelizzare. E quanto più «santa» è la sua risposta, tanto più essa sconvolge, contraddice e modifica la realtà attuale. San Paolo finisce così in un carcere americano, e viene condannato a morte. La sua esecuzione non sarà descritta naturalisticamente (sostituendo, come al solito, per analogia, la decapitazione con la sedia elettrica): ma avrà i caratteri mitici e simbolici di una rievocazione, come già la caduta nel deserto. San Paolo subirà il martirio in mezzo al traffico della periferia di una grande città, moderna fino allo spasimo, coi suoi ponti sospesi, i suoi grattacieli, la folla immensa e schiacciante, che passa senza fermarsi davanti allo spettacolo della morte, e continua a vorticare intorno, per le sue enormi strade, indifferente, nemica, senza senso. Ma in quel mondo di acciaio e di cemento è risuonata (o è tornata a risuonare) la parola «Dio».
Pier Paolo Pasolini (1966)
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