ricoverato da venerdì scorso per accertamenti legati alla leucemia mielomonocitica cronica di cui soffre da tempo non accennavano a migliorare, poi il precipitare della situazione.
. Se n'è andato oggi a 86 anni dopo un'esistenza da mattatore assoluto. Nell'ultimo cinquantennio non c'è stato un giorno in cui il suo nome non sia stato evocato, in tv, sui giornali, in Parlamento, nei bar, allo stadio; "il Berlusca" ha spaccato l'opinione pubblica come una mela. Impresario edile, tycoon televisivo, presidente del Milan e poi del Monza, fondatore di un partito chiamato Forza Italia, tre volte premier, imputato in processi clamorosi. Tutto in lui è stato eccessivo, figlio di una dismisura. A un certo punto la sua popolarità è stata tale da essere identificato, nel mondo, con l'italiano tout court.
Ma non era nato ricco, l'enorme agiatezza se l'era costruita, prima da palazzinaro, poi da visionario catodico, con un impeto talmente spregiudicato da indurre più di una Procura a vederci chiaro. Lo scrittore Giuseppe Fiori che nel 1995 gli dedicò una delle prime biografie la titolò Il venditore. Persuadere, sedurre, piacere agli altri: questo è sempre stata la caratteristica di Silvio Berlusconi, che non riusciva a capacitarsi che invece ci potesse essere una larga fetta di cittadini che trovava diseducative le sue televisioni e sommamente inaccettabile la discesa in campo, perché vi coglieva l'opportunismo di un uomo che sceglie la politica non per vocazione, ma per cinica autodifesa. E' stato fatto notare che il virus del populismo, che a un certo punto ha contagiato il mondo, si sia propagato proprio dal Cavaliere politico.
Il Berlusconi del 1994, quelle delle prime elezioni, reca con sé tutti i crismi dei futuri demagoghi che in seguito calcheranno la scena: il rifiuto dei partiti e di "quelli che c'erano prima", gli umori antiparlamentari, le Camere viste come luoghi di perdigiorno, la retorica dell'uomo solo al comando, il ghe pensi mi, il disprezzo esibito per la cultura, la distruzione di ogni memoria collettiva nel segno di una presunta palingenesi morale nel segno del "nuovo". Tutto in fondo è nato con "Silvio".
E' stato il piccolo borghese venuto dal nulla, figura eponima di un lunga stagione. Ciò piaceva all'italiano medio, convinto che li avrebbe resi ricchi come aveva reso immensamente prospere le sue aziende. Si circondò nel tempo di una schiera di fedelissimi, per cui il Cavaliere - come era soprannominato grazie a un titolo ottenuto nel 1977 - era una sorta di divinità immune da ogni critica: "Una schiera di fedeli che offrono soltanto leggende color rosa", come ebbe a notare Corrado Stajano. Questo popolo cantava ai suoi comizi "meno male che Silvio c'è"; dall'altro si ergevano i suoi avversari, "i comunisti", l'altra Italia per cui Silvio era il Caimano, e ne denunciava l'egolatria, il conflitto d'interessi, le leggi ad personam, l'esorbitanza nei costumi e scendeva in piazza, faceva campagne di stampa (questo giornale fu in prima fila, spesso in solitudine), organizzava girotondi, film, libri. Erano due mondi inconciliabili
La leggenda narra che la sera, davanti alla tv, guardasse i programmi Fininvest segnalando all'istante i difetti di ciascun programma, dalla scelta degli ospiti, all'inquadratura, alle luci. Ossessivo, pignolo, prima di altri colse i mutamenti profondi che si muovevano nelle viscere della società, sfiancata dagli anni del terrorismo e dalla guerra fredda e bisognosa di nuovi miti, di una leggerezza svagata. Rompe così una convenzione.
Tuttavia Silvio Berlusconi alla fine era vecchio, isolato e un po' malinconico. Altri avevano preso il suo posto. E adesso è strano pensare che non ci sia più, perché è stato un primattore romanzesco. Nel bene e nel male lo specchio di questo nostro strano Paese.
lunedì 12 giugno 2023
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento