giovedì 20 agosto 2009

Fiona Diwan, giornalista


CARO DIARIO : DA OGGI SONO SENZA LAVORO
REAL LIFE "Il mio ex status: uno stipendio da dirigente, benefits vari, assicurazione sanitaria. Ma anche due figlie a carico, un mutuo e molta solitudine. E adesso?"
di Fiona Diwan (*) Ex direttore di Geo Italia e Gulliver ex condirettore di Flair. Il suo diario/libro sarà pubblicato tra pochi mesi.

"L'ad le vuole parlare" Milano. 20 Gennaio. Non riesco ancora a rendermene conto. Mi hanno licenziato da una settimana. L'incredulità prevale per parecchio. È così che succede, mi dicono. Shock. Confusione. La fenomenologia del rifiuto (e un licenziamento è di fatto un rifiuto) è identica, si tratti di lavoro o di un fidanzato. Prima cerchi il tuo errore, vai a vedere cosa hai fatto di sbagliato. E quando capisci che stavolta tu non c'entri nulla, che non si trattava di te ma del fatto che c'è una crisi - la peggiore da 70 anni a questa parte - e che tu ci sei finita dentro, perdono quattrini e devono tagliare i costi per non chiudere, be', monta la rabbia. Di fatto resta la percezione di un'infamia: la tua lealtà e professionalità ridicolizzate, la passione per il compito che ti era stato affidato svilita. Non ci sono parole per descrivere lo smarrimento, il lutto per la perdita del lavoro. Da 26 anni sono una giornalista e da dieci dirigo periodici. Ho 49 anni e una donna-dirigente-licenziata a questa età rientra statisticamente nei soggetti socialmente deboli, i più a rischio in fatto di riassorbimento. Ma la verità è che io adoro il mio lavoro ed è la cosa che di gran lunga so fare meglio, fatta eccezione forse per un paio di ricette della cucina mediorientale che ho imparato da mia madre. Potrei in effetti ripiegare su un ristorante. Ma due ricette non bastano. Addio veloce: consegno cellulare e pc. Sono una mamma single Prendo le mie ultime cose dall'ufficio, compio i gesti di rito, restituisco computer, chiavi e telefonino, come è di prassi in questi casi. Tutti sono imbarazzati, si sentono in colpa, io vado, loro restano. Li sollevo con una risata, ostento un ottimismo che non ho. La mia ex segretaria mi mette in mano un regalo d'addio, una piantina di peperoncino: "Ti auguro di continuare a essere vitale, bruciante, potente come questi spicchi di peperoncino", mi dice. Scappo per non commuovermi. Non serve. Arrivo a casa in lacrime. Cerco di nascondermi in camera da letto e aspettare che passi. Niente. Le mie ragazze - ho due figlie di 16 e di 13 anni- mi abbracciano e poiché il pianto è contagioso, si alza un lamento degno di un coro greco. Mi lascio coccolare e insieme le tranquillizzo, mi faccio forza, non voglio che sentano il morso dell'incertezza, il senso della precarietà che già mi serpeggia dentro. Sono l'unico sostegno economico della famiglia, faccio da madre e da padre, cuore, ragione e portafogli, il poliziotto buono e quello cattivo. Il loro stato di solidale empatia non durerà a lungo. Pochi giorni, una settimana: poi torna a prevalere l'energia vitale dell'adolescenza. Finita la burrasca rieccole al solito quotidiano. Unica novità, la mamma in casa. Uffa, e adesso come faccio a stare per ore su facebook, a farmi risolvere i compiti di matematica al telefono dal compagno secchione, a guardare SouthPark per un intero pomeriggio? Passeranno altre due settimane e il licenziamento assumerà ai loro occhi i tratti di una malattia degenerativa. Perdita progressiva di libertà (la loro), riduzione della paghetta che è stata dimezzata, congelamento fino a nuovo ordine dell'acquisto del motorino. Mi accorgo che per loro, per gli adolescenti, lo status professionale dei genitori è una questione di identità: "Mamma, adesso sei una sfigata senza impiego? Siamo sfigate anche noi?". Posso fare quello che voglio: ma cosa voglio? Resto in silenzio. Dopo giornate piene di determinazione e ottimismo, ho smesso di telefonare a colleghi, editori, direttori di altri giornali. Lo sto facendo da un mese. Uso tutte le forze per non farmi annientare. Una volta che ti si insinua dentro, l'incertezza non ti lascia più, mi dice Silvia, un'amica a cui è toccata la mia sorte: impari a dormirci insieme e a conviverci. Ecco, ci sono dentro. Dentro la disoccupazione, dentro le giornate che non hanno più un ritmo, dentro la possibilità di non fare nulla, di lasciarmi scorrere. In fondo non ho più obblighi, posso fare finalmente tutto quello che voglio. Ma che cosa voglio? Gli amici sono una coperta straordinaria. Li conti nel momento del bisogno. I miei ci sono tutti. Li incontro in un bar del centro per un tè o caffè: si piange, si parla, si ride, ci si scambiano notizie e gossip sul mondo giornalistico. Qui incontro mio cugino Miro, che mi coccola allungandomi un libro a suo avviso salvifico, Le leggi dell'attrazione: il pensiero crea e attrae, crea un campo magnetico intorno a noi, mi dice, dentro il quale finiscono i nostri desideri profondi. Il pensiero crea la realtà. Sarà: nel frattempo apprezzo il calore, la sua iniezione di gioia e ottimismo. La raffinata eccentricità di Miro mi spinge alla Libreria Scientifica in via Visconti di Modrone (20% di sconto su tutti i libri, da sempre): qui compro la biografia di Marina Cvetaeva di Viktoria Schweitzer. Sono mesi che la cerco. Torno al caffè e la divoro in un'ora. Un amico al giorno toglie la tristezza di torno. Domani pranzerò con Magda, Sofia e Rosella al Ristorante Lifegate, in via Orti: è una mecca dei disoccupati, un posto crisis-friendly, menu a prezzo fisso 10 euro all inclusive: riso venere e branzino, straccetti di manzo e crema di ceci con cous cous di verdure, caffè, acqua. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo sulle cose che si possono avere gratis. Pianifico la mia giornata tutto gratis: Ore 11.00. Vado a vedere la mostra dei Post Impressionisti a Palazzo Reale. Ore 13,30. Vado alla colazione su invito in un negozio in Via Montenapoleone che presenta la sua nuova linea. Ore 17.00. Ascolto la conferenza al Teatro Dal Verme su Precarietà ed Ebraismo, di Chaim Baharier, eccellente talmudista, matematico e psicanalista. Ore 20,30. Chiudo la giornata al Conservatorio. Il concerto in programma prevede musiche di Mendelssohn e Brahms. Ho resistito tutto il giorno ma adesso le note di Mendelssohn danno il via libera a un torrente di lacrime. Qual è l'età dell'oro? Un amico artista, Massimo Kaufmann, mi ha invitato in studio a vedere la sua ultima serie di quadri: Golden Age, li ha chiamati, l'età dell'oro. Ma quell'oro non c'è più, l'hai capito anche tu, vero Fiona?, mi dice, i suoi quadri celebrano un mondo che muore, quel mondo in cui siamo cresciuti e che è finito, finito l'Eldorado, c'eravamo dentro e non lo sapevamo. È bello starsene così a chiacchierare con un amico a mezzogiorno. Mi sembra di avere vent'anni, quando avevo davanti praterie di tempo. Mi si chiarisce sempre di più il fatto che questa crisi ha il passo radicale di una rivoluzione, segna l'inizio di un'epoca nuova: lavorare il triplo, guadagnare la metà, non andare mai in pensione, non avere nessuna certezza. La fine della classe media. L'attrazione del low cost Il frigo è vuoto. Devo stare nel budget. Brandisco il carrello della spesa. Agguanterò solo il 3X2, gli yogurt della Repubblica Ceca che costano meno (e sono superlativi), la pasta da 60 centesimi al chilo, la pummarola da 40 centesimi a scatola. Vietatissimi i prodotti bio, il prezzo è sempre più proibitivo. Mi avvio: mele stark a 0,80 al chilo. Vedo i kiwi in offerta: sono miei. Le zucchine verde chiaro, quelle rotonde: 3 euro per tre zucchine? Passo. Le puntarelle: sono di stagione, a quelle non rinuncio. Ne agguanto due pacchi, 6,45 euro. E poi la carne, petti di tacchino e carne trita formato famiglia, il tripudio del low cost, niente pasta fresca. Giro l'angolo più pericoloso: tome, pecorini, i francesi. Al largo. Dimenticavo il reparto toiletries: un dentifricio, 3 euro. Sono perplessa: è tanto o è poco? Punto direttamente ai surgelati, lì i prezzi corti si moltiplicano. Osservo il mio carrello. Mi guardo in giro, che cos'hanno gli altri nei loro? Vedo pezzi di vitello rosei, confezioni di ravioli freschi al tartufo e ricotta. Sospiro. No, noi non siamo quello che compriamo anche se tutto congiura per far coincidere l'essere con lo spendere. Tuttavia, irrimediabilmente, quello che metto nel mio carrello somiglia a ciò che sono in questo momento. Tutto è basico, low, sotto tono. Senza nemmeno deciderlo, agguanto la bottiglia di Sauternes, torno indietro, punto ai formaggi francesi. Sorrido. Ho risparmiato su tutto, mi dico. Conto: 80 euro. Il mio budget ne prevedeva 40. Sì, per favore, ditemi sì Una settimana concitata. Faccio il giro completo dei templi dell'editoria milanese. Li incontro praticamente tutti: amministratori delegati, mega-direttori, publisher, editori, direttori di divisione. 1- Martedì, palazzo del Sole 24 Ore: incontro uno dei direttori con cui da sempre vorrei lavorare. Dice che si farà vivo. Bene. 2- Mercoledì, palazzo Mondadori. Il mega-boss è affabile e sorridente, come sempre: "Devi aver pazienza e aspettare la schiarita, abbi fiducia". Bene. 3- Giovedì, palazzo Hachette-Rusconi. Niente frasi di circostanza, solo una forte stretta di mano. Le mani legate, le assunzione sono congelate. Bene. 4- Venerdì mattina. Palazzo Condè Nast. Per ora non ci sono posti disponibili, forse più avanti. Bene. Se non ricordi più chi sei Lo sento, si avvicina, sta per arrivare. È quello sfilacciamento del tessuto interiore che si chiama depressione. La stoffa si strappa e dalla crepa escono fantasie oscure. E se mi facessi male davvero, male fisico intendo? E se mi schiantassi contro un albero? Almeno all'ospedale qualcuno si occuperebbe di me. Io, e quelle come me Dopo due anni di contratto a termine, due colleghe sono state lasciate a casa. Giovanna è separata, con due bambini piccoli. Suzy è più giovane, flessuosa, bellissima. Ma a piangere disperata è proprio lei, Suzy la ventenne. Mi avvicino e abbraccio Suzy: voglio farle sentire il calore, la vicinanza, trasmetterle forza, solidarietà. Sto per parlare ma si alza una voce dietro di me, quella di Giovanna. "Dai, vedrai che ce la farai, non piangere, in qualche modo ne usciremo tutti, mica possiamo morire, no? Che altro possiamo fare se non farcela? Che altro possiamo fare se non vivere?".

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