giovedì 24 gennaio 2019
... Guido Rossa ...
“Pur consapevole dei pericoli cui andava incontro, non esitava a collaborare a fini di giustizia nella lotta contro il terrorismo”: così recita la motivazione della medaglia d’oro al valore civile con cui fu insignito Guido Rossa, operaio e sindacalista all’Italsider di Genova Cornigliano, iscritto al Pci, assassinato quarant’anni or sono da un commando brigatista, mentre stava entrando in auto per recarsi a lavoro. L’episodio che gli costò la vita fu la denuncia del brigatista Francesco Berardi, suo compagno di lavoro all’Italsider: volantini di propaganda e di rivendicazione di atti compiuti dalle Br erano stati ritrovati in più occasioni vicino alle macchinette del caffè della fabbrica; Guido Rossa, in particolare, aveva notato, in coincidenza con il ritrovamento di quei fogli, la presenza di Berardi vicino alle macchinette. Il 24 ottobre 1978 Rossa e i colleghi avevano rotto gli indugi: l’armadietto del sospettato venne aperto e dentro si trovano risoluzioni strategiche e altri volantini con la stella a cinque punte. Subito arrestato, Berardi era stato condannato a quattro anni di reclusione, proprio grazie alla testimonianza in tribunale di Guido Rossa.
La denuncia di Rossa contro un brigatista infiltrato è la prima che avveniva dalla loro formazione e rischiava di costituire un pericoloso precedente per cui le Brigate Rosse decisero di reagire. La prima ipotesi fu quella di catturarlo e lasciarlo incatenato ai cancelli della fabbrica, con appeso un cartello infamante, in una sorta di gogna intimidatrice. Tuttavia, questa ipotesi di azione venne scartata, poiché giudicata irrealizzabile; si decise quindi la gambizzazione.
Il 24 gennaio 1979 alle 6:35 del mattino, Guido Rossa uscì dalla sua casa in via Ischia 4 a Genova per recarsi al lavoro con la sua Fiat 850. Ad attenderlo su un furgone Fiat 238 parcheggiato dietro cerano Riccardo Dura, Vincenzo Guagliardo e Lorenzo Carpi. I brigatisti gli spararono uccidendolo.
Era la prima volta che le Brigate Rosse decidevano di colpire un sindacalista organico alla sinistra italiana e all’omicidio seguì una forte reazione di partiti, sindacati società civile, specie quella legata al partito comunista: al funerale, cui parteciparono 250.000 persone, presenziò il Presidente della Repubblica Sandro Pertini in un’atmosfera molto tesa. Dopo la cerimonia Pertini chiese di incontrare i “camalli”, cioè gli scaricatori del porto di Genova.
In proposito, Antonio Ghirelli, all’epoca portavoce del Quirinale, ha raccontato che il Presidente era stato avvisato che in quell’ambiente c’era chi simpatizzava con le Brigate Rosse, ma che Pertini rispose che “proprio per quello li voleva incontrare”. Entrato, dunque, nel grande garage pieno di gente, Pertini, racconta ancora Ghirelli, “saltò letteralmente sulla pedana” e con voce ferma disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”. Ci fu un momento di silenzio, poi un lungo applauso. La salma di Rossa venne infine tumulata presso il cimitero monumentale di Staglieno.
L’omicidio di Rossa segnò una svolta nella storia delle Brigate Rosse, che da quel momento non riuscirono più a trovare le stesse aperture nei confronti dell’organizzazione interna del proletariato di fabbrica. In effetti, proprio per la delicatezza dell’obiettivo, si era stabilito che il sindacalista dovesse essere punito, non con la morte, ma solo con la gambizzazione. Ipotesi questa, che sembra essere confermata dalle perizie e dalle successive testimonianze: Vincenzo Guagliardo, il componente del commando che esplose tre colpi calibro 7,65 alle gambe con una Beretta 81, ha raccontato che, a gambizzazione avvenuta, Riccardo Dura, capo della colonna genovese delle Brigate Rosse, dopo essersi allontanato con gli altri brigatisti dal luogo dell’operazione, era tornato indietro per esplodere l’ultimo colpo, quello che aveva ucciso Guido Rossa. L’autopsia rivela infatti che su Rossa furono esplosi quattro colpi alle gambe e uno solo mortale al cuore. Guagliardo aggiunse che il giorno dopo, ai compagni che chiedevano spiegazioni sull’accaduto, Dura s’era giustificato affermando che le spie andavano uccise.
In piena notte, il 28 marzo 1980, i carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa irruppero nell’importante base brigatista genovese di via Fracchia a Genova. L’azione si concluse con un violento conflitto a fuoco che provocò la morte dei quattro brigatisti presenti, tre militanti clandestini delle colonne genovese e torinese e la giovane proprietaria dell’appartamento, oltre al ferimento del maresciallo dei carabinieri Rinaldo Benà. Le modalità dell’irruzione e l’esatta dinamica dei fatti rimasero non del tutto chiari e suscitarono polemiche, facendo sorgere dubbi sull’operato dei carabinieri e sull’effettiva necessità di uccidere tutti i brigatisti sorpresi nell’appartamento. Tanto che nel 2017 la Procura di Genova riaprì le indagini sull’uccisione di Riccardo Dura, che sembra fosse stato ucciso con un colpo alla nuca e, dunque, deliberatamente giustiziato. La perizia medico legale Celesti-Franchini assevera che il capo della colonna genovese morì in tempi e con modalità diverse dai suoi compagni: quelli caddero sotto i colpi dei fucili a pompa che ne devastarono i corpi, lui fu ucciso, invece, da un solo colpo di pistola, sparato dall’alto in basso e da una distanza superiore ai trenta centimetri e meno di un metro. Il corpo del Dura non venne identificato immediatamente e si diffuse la notizia che il quarto uomo fosse Luca Nicolotti. A svelare il nome di Dura, il 3 aprile 1980, con una telefonata anonima all’Ansa, furono le stesse Brigate Rosse.
Il perché Riccardo Dura possa essere stato “giustiziato” in via Fracchia è domanda suggestiva e dà la stura ad affascinanti ipotesi complottistiche, specie se la sua tragica fine venga messa in relazione con quella di Guido Rossa. Non meno suggestivo è chiedersi dove sia fuggito Lorenzo Carpi, autista del commando brigatista in via Ischia, che nonostante le pesanti condanne, non è mai stato arrestato e neppure rintracciato; se sia stato aiutato e da chi, nella sua lunga, permanente latitanza.
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