venerdì 5 maggio 2023

... 5 maggio 1821 ...

Fu vera gloria? 
A causa di un carisma innegabile, Napoleone suscitava forti reazioni anche tra i suoi contemporanei, in un senso e nell’altro. Il 13 ottobre 1806 il filosofo tedesco Georg Wilhelm Hegel scrisse una lettera al suo amico – anche lui filosofo – Friedrich Niethammer per dirgli che aveva appena visto Napoleone cavalcare per le strade di Jena, nell’odierna Germania. Hegel descrisse così quel momento: «Ho visto l’imperatore, quest’anima del mondo, uscire dalla città per andare in ricognizione. È una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, si irradia sul mondo e lo domina». Una suggestione simile doveva averla provata circa tre anni prima anche Ludwig van Beethoven, mentre lavorava alla sua Terza sinfonia. Erano gli anni di Bonaparte primo console, e Beethoven decise di dedicargli l’opera, scrivendo la frase italiana “Intitolata Bonaparte” in cima allo spartito. Poi, quando nell’autunno del 1804 si seppe che Napoleone si era dichiarato “Imperatore dei francesi”, Beethoven commentò: «Allora non è niente di più di un comune mortale!», e cancellò con sdegno il titolo della sua sinfonia, diventata in seguito nota come “L’Eroica”. Persino i nemici giurati, vale a dire gli inglesi, non nascondevano talvolta una certa ammirazione verso Napoleone, anche se mista a una profonda ostilità. E Napoleone doveva essere consapevole dell’ambiguità dei sentimenti che provocava, dato che una volta scrisse: «È molto meglio aver nemici dichiarati che amici celati». A duecento anni dalla sua morte, rimane un personaggio perturbante che si sottrae ad ogni giudizio troppo netto. Chi fu infatti “l’imperatore dei francesi”? Un rivoluzionario o il becchino della rivoluzione? Un despota o un liberatore? Un distruttore o un visionario? Probabilmente fu tutte queste cose, e le fu tutte insieme perché i suoi tempi non “favorivano” i distinguo. Per la Francia il colpo di stato del 18 Brumaio 1799 fu l’evento traumatico che concluse il decennio rivoluzionario, ma fu anche, contestualmente, una svolta forse indispensabile per sottrarre la rivoluzione alle sabbie mobili e far sì che almeno alcune delle sue promesse venissero mantenute. È vero, Napoleone esercitò un potere personale, ma in compenso garantiva i diritti di proprietà e l’uguaglianza di fronte alla legge ed eliminava i privilegi e le discriminazioni tipiche dell’Ancien régime. E poi c’erano le riforme: la redazione del Codice napoleonico (non a caso), la creazione della prima burocrazia davvero moderna e infine, soprattutto, la riorganizzazione dell’esercito, che oltre a essere una formidabile macchina di conquista, era anche uno veicolo di ascesa sociale (si calcola che i tre quarti degli ufficiali della Grande Armée non fossero di origine aristocratica e buona parte di essi – cosa inaudita! – provenisse direttamente dalla truppa, “pour le mérite”). A proposito dei suoi tempi… Al di fuori della Francia il contrasto era ancora più netto. Sì, Napoleone era l’invasore straniero, il conquistatore assetato di potere – eccome se lo era. Allo stesso tempo, però, egli era anche il figlio del 1789, della Rivoluzione, l’uomo nuovo che dava il proprio nome al vento impetuoso che dalla Francia rivoluzionaria soffiava implacabile sul resto d’Europa, abbattendo decrepite strutture feudali e prefigurando un nuovo avvenire. Quindi sì, Napoleone era anche, a modo suo, un liberatore. Fu sulla sua scia che ovunque, in Europa, nacquero focolai di riforma politica e intellettuale, esperienze che in larga parte si riverseranno nei moti rivoluzionari che scandiranno la prima metà dell’Ottocento. Ma il mito di Napoleone si nutre anche del suo stesso fallimento. Singolarmente, infatti, la disfatta di Waterloo e la solitudine di Sant’Elena non ne hanno intaccato l’aura, semmai l’hanno accresciuta, grazie anche alla sapiente arte di alimentare il vittimismo” per la crudeltà inglese. Non è solo questione di simpatia per gli sconfitti, ma di possibilità che non si sono realizzate e che, in quanto tali, nel timore così come nella speranza, hanno continuato a interpellare generazioni di uomini. Come a dire che, con buona pace del principe Metternich, una scintilla rivoluzionaria rimaneva libera in Europa. Era quello che Napoleone voleva? Probabilmente non lo sapremo mai. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che l’Empereur dei francesi, anche nella sconfitta, aveva davvero cambiato il mondo.

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