Quell'ultimo comizio di Enrico
Il 7 giugno del 1984, nel corso della campagna politica per le Europee, Enrico Berlinguer tiene a Padova il suo ultimo comizio, durante il quale è colpito da un ictus. Il momento tragico in cui egli avverte che le forze stanno per venirgli meno è notato da tanti, sia dalle persone del suo entourage che dal pubblico che lo ascolta. Un momento che si protrae, che sembra non avere fine.
Oscar NicodemoGiornalista e copywriter
Quell'ultimo comizio di
AGF
Il 7 giugno del 1984, nel corso della campagna politica per le Europee, Enrico Berlinguer tiene a Padova il suo ultimo comizio, durante il quale è colpito da un ictus. Il momento tragico in cui egli avverte che le forze stanno per venirgli meno è notato da tanti, sia dalle persone del suo entourage che dal pubblico che lo ascolta. Un momento che si protrae, che sembra non avere fine. Nella memoria di ognuno che ha assistito a quella scena, di persona o vista in tv, resta ferma l'immagine eterna e pregna di tensione emotiva di uomo per bene prestato alla politica. Il segretario del Pci non si ferma, continua nel suo discorso alla folla, non pensa minimamente di abbandonare quel luogo per affidarsi alle cure del caso, che, a quel punto, sarebbero di massima urgenza. Non ha assolutamente intenzione di lasciare quella affezionata massa di gente e quello sventolio di bandiere rosse. Resiste, come solo chi ha una grande forza interiore può fare. Come solo chi ha cuore il suo dovere di rappresentante del popolo. Come solo chi ricambia con il giusto entusiasmo la speranza della gente comune.
Con ogni probabilità, egli vede davanti a sé solo una grande macchia variopinta in movimento, che si restringe e si allarga come un cuore pulsante negli applausi d'amore nei confronti di un uomo che ha scelto di rimanere al suo posto, come se cedere al malore fosse stato un segno di debolezza, prima ancora che una mancanza di considerazione verso quella piazza appassionata. E continua a parlare, a portarsi avanti con le parole, anche quando la sua voce ha perso ormai smalto e vigore, rivelando il suo terrificante stato di salute. Nessuno ha il coraggio di soccorrerlo, di fermarlo, di portarlo via, non per difetto di negligenza o scarsa prontezza, ma per il rispetto che si deve agli eroi nel pieno esercizio della loro funzione archetipica, nell'osservanza del loro sacrificio al di sopra di ogni umana sofferenza, nel rito dell'ammirazione incondizionata che si nutre per chi ha la stoffa del difensore degli umili.
Ancora applausi, mugugni di tensione, paura e grande preoccupazione per l'integrità del gigante segretario, che non si stacca dal microfono. Poi, un coro straziante, di una commozione che tocca l'anima: "Enrico! Enrico! Enrico!" Ed in ultimo la voce di chi non ce la fa più a reggere il pathos tellurico di quell'emozione: "Basta, Enrico! Enrico, per favore, fermati!".
La storia la conoscete. Enrico, seppure a fatica, riesce a portare a conclusione il comizio. Morì, quattro giorni dopo, l'11 giugno del 1984. Le ultime parole di quel discorso, pronunciate dal palco della Piazza della Frutta di Padova furono queste: "E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti, in questi pochi giorni che ci separano dal voto, con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali. Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo... è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà".
Tre anni prima, sollevando la "Questione morale", in un intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari su "La repubblica" affermò: "I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un 'boss' e dei 'sotto-boss'. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...".
domenica 7 giugno 2020
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