martedì 30 giugno 2020
... fine mese ...
... fine giugno: afa fetente, voglia di far niente ... ma qualcosa abbiamo fatto: sostituito il salvavita e la sabbia di Kitty ... OK!!
sabato 27 giugno 2020
... 40 anni fa ...
SCHELETRI E ARMADI
Alle ore 20 e 59 del 27 giugno 1980, un aereo DC-9 della compagnia ITAVIA in volo da Bologna a Palermo con 81 persone a bordo precipitò in mare non lontano dall’isola di Ustica, a nord di Palermo. Dopo decenni di indagini e di processi, tra reticenze e depistaggi, la tesi più accreditata è che l’aereo sia stato abbattuto per errore durante una battaglia aerea tra aerei libici e della NATO. Ma a 40 anni dalla morte degli 81 passeggeri e membri dell’equipaggio del volo ITAVIA, le dinamiche dell’incidente e i suoi responsabili rimangono ancora in gran parte sconosciuti
Alle ore 20 e 59 del 27 giugno 1980, un aereo DC-9 della compagnia ITAVIA in volo da Bologna a Palermo con 81 persone a bordo precipitò in mare non lontano dall’isola di Ustica, a nord di Palermo. Dopo decenni di indagini e di processi, tra reticenze e depistaggi, la tesi più accreditata è che l’aereo sia stato abbattuto per errore durante una battaglia aerea tra aerei libici e della NATO. Ma a 40 anni dalla morte degli 81 passeggeri e membri dell’equipaggio del volo ITAVIA, le dinamiche dell’incidente e i suoi responsabili rimangono ancora in gran parte sconosciuti
venerdì 26 giugno 2020
... un po' di respiro ...
... un po' di respiro ... finanziario ... ci è stato concesso il prestito richiesto! Ma attenzione, mi sa che è l'ultimo!!
mercoledì 24 giugno 2020
lunedì 22 giugno 2020
... davvero??! ...
... davvero, Costanza, è questo l'uomo per te??! Mi spiace, peggio per te, carina ... oggi ti ho rimosso dall'elenco dei miei amici su FB ... d'altronde, se non possiedi nemmeno la buona educazione per rispondere al mio augurio di ieri di trovare presto una nuova occupazione ...
domenica 21 giugno 2020
sabato 20 giugno 2020
... FORZA ALEX!!! ...
Alex Zanardi, nuovo bollettino medico: «stabile e intubato», «quadro neurologico grave»
Diletta Colombo
L'Ospedale Le Scotte di Siena ha emesso un nuovo bollettino medico sulle condizioni di Alex Zanardi, rimasto coinvolto nel pomeriggio di ieri in un grave incidente su una handbike. Zanardi è «stabile e intubato», ma «resta grave il quadro neurologico». «Il paziente sottoposto ad un delicato intervento neurochirurgico nella serata (di ieri, ndr), e successivamente trasferito in terapia intensiva, ha parametri emodinamici e metabolici stabili. È intubato e supportato da ventilazione artificiale mentre resta grave il quadro neurologico», si legge nel bollettino diramato stamani. Si attendono altre notizie in mattinata. Intorno alle 17 ieri, sulla strada che collega Pienza a San Quirico, Zanardi è impattato contro un mezzo pesante. Stando ai racconti dei testimoni dell'incidente - delle immagini video amatoriali sono al vaglio dei Carabinieri - l'atleta paralimpico, 53 anni, ha perso il controllo della sua handbike, si è ribaltato due volte ed è finito nella corsia opposta; poi lo scontro con un camion, impattando prima sullo scalino che consente all'autista di salire a bordo e poi sul cassone. Il conducente - risultato poi negativo all'alcoltest e al prelievo per la ricerca di sostanze stupefacenti - ha tentato di schivarlo, senza riuscire nell'intento. Al momento dell'arrivo del personale medico, Zanardi respirava autonomamente: l'ex pilota di F1 era stato poi trasportato a Siena con l'elisoccorso. Nonostante Zanardi respirasse e fosse cosciente dopo l'incidente, il quadro clinico è apparso tutt'altro che roseo all'arrivo al nosocomio. Nel primo bollettino medico diffuso dall'ospedale dopo la valutazione in shock room, si parlava di «condizioni gravissime» per «il forte trauma cranico riportato»: nell'incidente, il casco di Zanardi è andato in frantumi. Zanardi intorno alle 19 di ieri è stato sottoposto ad una delicata operazione neurochirurgica, terminata alle 22 circa. Dopo l'intervento, Zanardi sarebbe rimasto stabile, ma comunque in condizioni gravissime. Nel frattempo, al suo capezzale sono arrivati la moglie Daniela e il figlio Niccolò. La seconda vita di Zanardi, classe 1966, incominciò il 15 settembre del 2001, quando rimase coinvolto in un gravissimo incidente nel corso di una gara di Formula CART al Lausitzring, in Germania: in seguito allo schianto, perse le gambe. Questo non lo fermò certo: solo tre mesi dopo, ai Caschi d'Oro di quell'anno, si alzò in piedi dalla sedia a rotelle, commuovendo tutti i presenti, Michael Schumacher incluso. Fu solo l'inizio di un percorso che lo portò a tornare in pista, prima per finire i 13 giri di quella gara maledetta al Lausitzring, e poi per saggiare con successo diverse categorie, WTCC incluso. Ma Zanardi si è anche dedicato alla handbike, ottenendo diverse medaglie alle Paralimpiadi. Oggi c'è una nuova, difficile lotta da affrontare.
In collaborazione con Automoto.it
... la rinuncia ...
... alla fine ho poi rinunciato alla visita dal dentista, prevista per oggi pomeriggio ... troppo stress accumulato, l'ennesima visita della Sanguisuga Roberta stamane, la sua voce in grado di far aumentare la mia rabbia, il disgusto, lo schifo per una presenza non voluta, rifiutata, eppure subita, la prospettiva di partire da solo per San Giorio al fine di sottrarmi a quella merda deambulante!
venerdì 19 giugno 2020
... rabbia incontenibile ...
... non ce la faccio più! Non si riesce a partire! Maria Rosa si incazza per un nonnulla, se la prende con la mia gatta Kitty per un miagolio di troppo, la sanguisuga Roberta quando meno te lo aspetti ci viene a far visita rompendomi le palle, Marco lo stronzetto irrompe ed arraffa tutto ciò che trova, BASTA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
mercoledì 17 giugno 2020
... oculistica ...
... eccomi in corridoio al San Lazzaro- via Cherasco 23, in attesa che venga eseguita l'iniezione intravitreale a Maria Rosa: un'altra mattinata di passione ...
lunedì 15 giugno 2020
giovedì 11 giugno 2020
mercoledì 10 giugno 2020
... 10 giugno 1924 ...
10 giugno 1924, delitto di Giacomo Matteotti. “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.
di Monia Alloggio - 10 Giugno 2020 -
Delitto Matteotti: è il 30 maggio 1924 quando il deputato antifascista contesta la validità delle elezioni nella Camera dei Deputati. Giacomo Matteotti chiede la parola dichiarando apertamente che i risultati delle precedenti elezioni, datate 6 aprile, non potevano considerasi che falsate. Le accuse che il socialista muove agli uomini di Mussolini sono chiare: estorsione di voti. Le proteste dei fascisti non tardarono ad arrivare: la temerarietà di Matteotti passerà alla storia poiché la sua contestazione, purtroppo, gli costò la vita. “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”: questa la sua celebre frase che anticipava ciò che sarebbe accaduto. Era il 10 giugno 1924 quando Giacomo Matteotti esce di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio; percorre il lungotevere Arnaldo da Brescia invece di accingersi verso la via Flaminia. Qui, lo attende un’auto con a bordo alcuni individui. In seguito, furono identificati come membri della polizia politica appartenenti al partito fascista: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Lo caricarono forzatamente in macchina, identificata come Lancia Kappa e si allontanano celermente. Il deputato oppone resistenza: riesce anche a gettare fuori dall’automobile il suo tesserino da parlamentare. Quest’ultimo, sarà in seguito ritrovato vicino Ponte Risorgimento. Matteotti, con ogni probabilità, sarà pugnalato a morte già all’interno della vettura. Il cadavere del deputato sarà rinvenuto accidentalmente da un carabiniere due mesi più tardi: il 6 agosto 1924. Gli uomini si sbarazzarono del cadavere di Matteotti seppellendolo in un bosco vicino Riano. Dopo il ritrovamento del cadavere, Mussolini ordina al ministro degli Interni Luigi Federzoni di preparare imponenti funerali: da tenersi, però, nella città natale di Matteotti. In seguito, la salma fu sepolta nel cimitero del suo comune natale, presso la tomba di famiglia. Solo con il discorso del 3 gennaio 1925, Mussolini, dichiarerà la sua responsabilità storica e politica riguardo l’omicidio.
di Monia Alloggio - 10 Giugno 2020 -
Delitto Matteotti: è il 30 maggio 1924 quando il deputato antifascista contesta la validità delle elezioni nella Camera dei Deputati. Giacomo Matteotti chiede la parola dichiarando apertamente che i risultati delle precedenti elezioni, datate 6 aprile, non potevano considerasi che falsate. Le accuse che il socialista muove agli uomini di Mussolini sono chiare: estorsione di voti. Le proteste dei fascisti non tardarono ad arrivare: la temerarietà di Matteotti passerà alla storia poiché la sua contestazione, purtroppo, gli costò la vita. “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”: questa la sua celebre frase che anticipava ciò che sarebbe accaduto. Era il 10 giugno 1924 quando Giacomo Matteotti esce di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio; percorre il lungotevere Arnaldo da Brescia invece di accingersi verso la via Flaminia. Qui, lo attende un’auto con a bordo alcuni individui. In seguito, furono identificati come membri della polizia politica appartenenti al partito fascista: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Lo caricarono forzatamente in macchina, identificata come Lancia Kappa e si allontanano celermente. Il deputato oppone resistenza: riesce anche a gettare fuori dall’automobile il suo tesserino da parlamentare. Quest’ultimo, sarà in seguito ritrovato vicino Ponte Risorgimento. Matteotti, con ogni probabilità, sarà pugnalato a morte già all’interno della vettura. Il cadavere del deputato sarà rinvenuto accidentalmente da un carabiniere due mesi più tardi: il 6 agosto 1924. Gli uomini si sbarazzarono del cadavere di Matteotti seppellendolo in un bosco vicino Riano. Dopo il ritrovamento del cadavere, Mussolini ordina al ministro degli Interni Luigi Federzoni di preparare imponenti funerali: da tenersi, però, nella città natale di Matteotti. In seguito, la salma fu sepolta nel cimitero del suo comune natale, presso la tomba di famiglia. Solo con il discorso del 3 gennaio 1925, Mussolini, dichiarerà la sua responsabilità storica e politica riguardo l’omicidio.
... un'alternativa? ...
pochi anni luce da qui due Super Terre "abitabili" e l'ipotesi di nuovo pianeta a Proxima Centauri
Potrebbe esserci un secondo pianeta in orbita intorno alla stella più vicina al Sole, Proxima Centauri, a soli 4,2 anni luce dal sistema solare, in direzione della costellazione del Centauro. Lo sostiene lo studio pubblicato sulla rivista Science Advances dal gruppo coordinato dall'italiano Mario Damasso, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Gli esperti suggeriscono la possibile presenza di un secondo pianeta a causa delle variazioni cicliche della luminosità di Proxima Centauri. Il pianeta potrebbe essere, secondo gli autori dello studio, una super-terra, e compiere un'orbita completa intorno a Proxima Centauri ogni 5,2 anni, a una distanza pari a una volta e mezza quella media tra la Terra e il Sole, che è di circa 150 milioni di chilometri. Gli stessi autori della ricerca sottolineano, però, che saranno necessari ulteriori studi per avere una conferma dei risultati. "Se l'esistenza del pianeta dovesse essere confermata - sottolineano - la scoperta potrebbe aiutare a capire come si formano pianeti di taglia piccola intorno a stelle di massa ridotta, come le nane rosse", il tipo di stelle più diffuso nell'universo. Due nuovi esopianeti: GJ229A-c e GJ180-d Proprio attorno a due nane rosse, la GJ229A e la GJ180 rispettivamente a 19 e 39 anni luce da noi, sono stati recentemente scoperti altri due esopianeti potenzialmente abitabili: GJ229A-c e GJ180-d. Questi corpi celesti sono, insieme a un pianeta delle dimensioni di Nettuno che orbita la stella GJ433, parte di un gruppo di cinque esopianeti scoperti dal team di ricerca del Carneige Institution for Science di Washington, guidato dai professori Fabo Feng e Paul Butler. Stelle come le nane rosse, più piccole e meno luminose del Sole, hanno una zona abitabile (dove un pianeta può avere acqua allo stato liquido) più ravvicinata rispetto al sistema solare. A distanze così brevi i pianeti tendono ad essere in "rotazione sincrona" con la stella: mostrano cioè sempre la stessa faccia, come avviene tra la Luna e la Terra. Questo fenomeno diminuisce le possibilità che siano abitabili, poiché la loro superficie potrebbe essere per metà estremamente calda e per metà estremamente fredda (a meno che non vi sia una spessa atmosfera in grado di distribuire omogeneamente le temperature). Secondo i ricercatori, i pianeti scoperti orbitano la loro stella a una distanza tale da evitare questo comportamento, rendendoli particolarmente interessanti. Non si sa ancora molto di loro, se non che abbiano una massa pari rispettivamente a 7,5 e 7,9 volte quella della Terra. Ma gli astronomi ritengono che presto potranno ottenere nuove informazioni. La relativa vicinanza con il nostro sistema solare, infatti, li rende ottimi soggetti di studio per futuri strumenti come il James Webb Space Telescope della Nasa, che sarà lanciato il prossimo anno. "La nostra scoperta si aggiunge all'elenco di pianeti che potrebbero essere direttamente osservati dai telescopi di nuova generazione", ha detto Feng. "Stiamo lavorando verso l'obiettivo di poter determinare se i pianeti in orbita attorno alle stelle vicine ospitano la vita". E se volessimo raggiungerli? Questi esopianeti sono considerati relativamente vicini alla Terra, se rapportati alle enormi distanze del cosmo (basti pensare che solo la nostra galassia, la Via Lattea, è larga 100mila anni luce). Volendo, però, raggiungere Proxima Centauri (4,2 anni luce), anche con il veicolo spaziale più veloce mai usato dall'uomo (il modulo di comando dell'Apollo10 che sfiorò i 40mila km/h), ci vorrebbero comunque 113mila anni.
Potrebbe esserci un secondo pianeta in orbita intorno alla stella più vicina al Sole, Proxima Centauri, a soli 4,2 anni luce dal sistema solare, in direzione della costellazione del Centauro. Lo sostiene lo studio pubblicato sulla rivista Science Advances dal gruppo coordinato dall'italiano Mario Damasso, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Gli esperti suggeriscono la possibile presenza di un secondo pianeta a causa delle variazioni cicliche della luminosità di Proxima Centauri. Il pianeta potrebbe essere, secondo gli autori dello studio, una super-terra, e compiere un'orbita completa intorno a Proxima Centauri ogni 5,2 anni, a una distanza pari a una volta e mezza quella media tra la Terra e il Sole, che è di circa 150 milioni di chilometri. Gli stessi autori della ricerca sottolineano, però, che saranno necessari ulteriori studi per avere una conferma dei risultati. "Se l'esistenza del pianeta dovesse essere confermata - sottolineano - la scoperta potrebbe aiutare a capire come si formano pianeti di taglia piccola intorno a stelle di massa ridotta, come le nane rosse", il tipo di stelle più diffuso nell'universo. Due nuovi esopianeti: GJ229A-c e GJ180-d Proprio attorno a due nane rosse, la GJ229A e la GJ180 rispettivamente a 19 e 39 anni luce da noi, sono stati recentemente scoperti altri due esopianeti potenzialmente abitabili: GJ229A-c e GJ180-d. Questi corpi celesti sono, insieme a un pianeta delle dimensioni di Nettuno che orbita la stella GJ433, parte di un gruppo di cinque esopianeti scoperti dal team di ricerca del Carneige Institution for Science di Washington, guidato dai professori Fabo Feng e Paul Butler. Stelle come le nane rosse, più piccole e meno luminose del Sole, hanno una zona abitabile (dove un pianeta può avere acqua allo stato liquido) più ravvicinata rispetto al sistema solare. A distanze così brevi i pianeti tendono ad essere in "rotazione sincrona" con la stella: mostrano cioè sempre la stessa faccia, come avviene tra la Luna e la Terra. Questo fenomeno diminuisce le possibilità che siano abitabili, poiché la loro superficie potrebbe essere per metà estremamente calda e per metà estremamente fredda (a meno che non vi sia una spessa atmosfera in grado di distribuire omogeneamente le temperature). Secondo i ricercatori, i pianeti scoperti orbitano la loro stella a una distanza tale da evitare questo comportamento, rendendoli particolarmente interessanti. Non si sa ancora molto di loro, se non che abbiano una massa pari rispettivamente a 7,5 e 7,9 volte quella della Terra. Ma gli astronomi ritengono che presto potranno ottenere nuove informazioni. La relativa vicinanza con il nostro sistema solare, infatti, li rende ottimi soggetti di studio per futuri strumenti come il James Webb Space Telescope della Nasa, che sarà lanciato il prossimo anno. "La nostra scoperta si aggiunge all'elenco di pianeti che potrebbero essere direttamente osservati dai telescopi di nuova generazione", ha detto Feng. "Stiamo lavorando verso l'obiettivo di poter determinare se i pianeti in orbita attorno alle stelle vicine ospitano la vita". E se volessimo raggiungerli? Questi esopianeti sono considerati relativamente vicini alla Terra, se rapportati alle enormi distanze del cosmo (basti pensare che solo la nostra galassia, la Via Lattea, è larga 100mila anni luce). Volendo, però, raggiungere Proxima Centauri (4,2 anni luce), anche con il veicolo spaziale più veloce mai usato dall'uomo (il modulo di comando dell'Apollo10 che sfiorò i 40mila km/h), ci vorrebbero comunque 113mila anni.
... 10 giugno 1940 ...
10 giugno 1940: il giorno della vergogna.
Erano le 18 di un afoso lunedì di inizio giugno, il giorno 10 per l’esattezza, quando Benito Mussolini si affacciò dal balcone di Palazzo Venezia per pronunciare uno dei discorsi più pericolosi e imbarazzanti di sempre. In quell’urlo guerresco, “Vincere e vinceremo!”, in quel piglio da condottiero ancora per poco saldo al potere, in quella retorica militaresca, vero emblema del regime, erano racchiuse le ragioni della nostra prevedibile disfatta. Del resto, ci eravamo seduti al tavolo della guerra con l’auspicio cavouriano di poterci sedere, in pochi mesi, al ben più redditizio banchetto della pace. Credevamo di poter ottenere lo stesso risultato ottenuto dal conte di Cavour quando si ingraziò inglesi e francesi impegnati nella Guerra di Crimea, inviando a loro sostegno le truppe del Regno di Sardegna e ottenendo in cambio un appoggio nella Seconda guerra d’indipendenza. Tralasciando la follia di questa decisione, la sua mancanza di logica e la sua barbarie, considerando che costituì una pugnalata alla schiena ai danni della Francia già messa in ginocchio dall’avanzata nazista, fu per fortuna anche la tomba di quel demone chiamato fascismo. Certo, il costo da pagare fu altissimo: una tragedia che costò al mondo intero circa sessanta milioni di morti e al nostro Paese una devastazione senza precedenti, oltre alle disastrose campagne sul fronte greco-albanese e russo, alla mattanza di Cefalonia, alla dichiarazione di Roma città aperta, all’occupazione nazista, a episodi di una ferocia inumana come la strage delle Fosse Ardeatine e a eccidi come quelli di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema. 10 giugno 1940, ottant’anni fa. Fu il giorno della vergogna, dell’abisso, della sconfitta della dignità. Fu il giorno in cui vennero giu vent’anni di bugie, di promesse tradite, di sogni infranti. Fu il giorno in cui il fascismo mostrò il suo vero volto: guerrafondaio, ferino, intollerabile. E fu il giorno in cui anche la monarchia di casa Savoia, che non si era opposta né alla Marcia su Roma né alle Leggi razziali né a nessun aspetto del fascismo, specie negli anni ruggenti della sua ascesa e del suo consolidamento, si giocò, leggendo le vicende col senno del poi, la propria permanenza alla guida della Nazione. L’Italia è repubblica grazia alla Resistenza e alla Liberazione ma anche grazie a quel maledetto giorno, perché è allora che il Duce commise l’errore fatale di sentirsi onnipotente e pose le basi del suo annientamento. 10 giugno 1940, ottant’anni fa. Ricordare quel discorso, e soprattutto ciò che ne è derivato, è indispensabile per non ripetere quei crimini, per contrastare il falso mito del fascismo, per ribattere con elementi concreti al discorso di chi sostiene che abbia fatto anche cose buone e per ribadire che non può esservi nulla di buono in una dittatura fondata sulla soppressione di ogni libertà di pensiero, di parola e d’azione. 10 giugno, l’inizio della fine. E una vergogna che non ci abbandonerà mai.
Erano le 18 di un afoso lunedì di inizio giugno, il giorno 10 per l’esattezza, quando Benito Mussolini si affacciò dal balcone di Palazzo Venezia per pronunciare uno dei discorsi più pericolosi e imbarazzanti di sempre. In quell’urlo guerresco, “Vincere e vinceremo!”, in quel piglio da condottiero ancora per poco saldo al potere, in quella retorica militaresca, vero emblema del regime, erano racchiuse le ragioni della nostra prevedibile disfatta. Del resto, ci eravamo seduti al tavolo della guerra con l’auspicio cavouriano di poterci sedere, in pochi mesi, al ben più redditizio banchetto della pace. Credevamo di poter ottenere lo stesso risultato ottenuto dal conte di Cavour quando si ingraziò inglesi e francesi impegnati nella Guerra di Crimea, inviando a loro sostegno le truppe del Regno di Sardegna e ottenendo in cambio un appoggio nella Seconda guerra d’indipendenza. Tralasciando la follia di questa decisione, la sua mancanza di logica e la sua barbarie, considerando che costituì una pugnalata alla schiena ai danni della Francia già messa in ginocchio dall’avanzata nazista, fu per fortuna anche la tomba di quel demone chiamato fascismo. Certo, il costo da pagare fu altissimo: una tragedia che costò al mondo intero circa sessanta milioni di morti e al nostro Paese una devastazione senza precedenti, oltre alle disastrose campagne sul fronte greco-albanese e russo, alla mattanza di Cefalonia, alla dichiarazione di Roma città aperta, all’occupazione nazista, a episodi di una ferocia inumana come la strage delle Fosse Ardeatine e a eccidi come quelli di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema. 10 giugno 1940, ottant’anni fa. Fu il giorno della vergogna, dell’abisso, della sconfitta della dignità. Fu il giorno in cui vennero giu vent’anni di bugie, di promesse tradite, di sogni infranti. Fu il giorno in cui il fascismo mostrò il suo vero volto: guerrafondaio, ferino, intollerabile. E fu il giorno in cui anche la monarchia di casa Savoia, che non si era opposta né alla Marcia su Roma né alle Leggi razziali né a nessun aspetto del fascismo, specie negli anni ruggenti della sua ascesa e del suo consolidamento, si giocò, leggendo le vicende col senno del poi, la propria permanenza alla guida della Nazione. L’Italia è repubblica grazia alla Resistenza e alla Liberazione ma anche grazie a quel maledetto giorno, perché è allora che il Duce commise l’errore fatale di sentirsi onnipotente e pose le basi del suo annientamento. 10 giugno 1940, ottant’anni fa. Ricordare quel discorso, e soprattutto ciò che ne è derivato, è indispensabile per non ripetere quei crimini, per contrastare il falso mito del fascismo, per ribattere con elementi concreti al discorso di chi sostiene che abbia fatto anche cose buone e per ribadire che non può esservi nulla di buono in una dittatura fondata sulla soppressione di ogni libertà di pensiero, di parola e d’azione. 10 giugno, l’inizio della fine. E una vergogna che non ci abbandonerà mai.
martedì 9 giugno 2020
... via Cherasco 23 ...
... stamane visita oculistica per Maria Rosa, finalmente!! Una serie di appuntamenti da segnare e da organizzare, in vista della nostra partenza per le vacanze ... alla faccia della sanguisuga schifosa!!
lunedì 8 giugno 2020
domenica 7 giugno 2020
... 7 giugno 1984 ...
Quell'ultimo comizio di Enrico
Il 7 giugno del 1984, nel corso della campagna politica per le Europee, Enrico Berlinguer tiene a Padova il suo ultimo comizio, durante il quale è colpito da un ictus. Il momento tragico in cui egli avverte che le forze stanno per venirgli meno è notato da tanti, sia dalle persone del suo entourage che dal pubblico che lo ascolta. Un momento che si protrae, che sembra non avere fine. Oscar NicodemoGiornalista e copywriter Quell'ultimo comizio di AGF Il 7 giugno del 1984, nel corso della campagna politica per le Europee, Enrico Berlinguer tiene a Padova il suo ultimo comizio, durante il quale è colpito da un ictus. Il momento tragico in cui egli avverte che le forze stanno per venirgli meno è notato da tanti, sia dalle persone del suo entourage che dal pubblico che lo ascolta. Un momento che si protrae, che sembra non avere fine. Nella memoria di ognuno che ha assistito a quella scena, di persona o vista in tv, resta ferma l'immagine eterna e pregna di tensione emotiva di uomo per bene prestato alla politica. Il segretario del Pci non si ferma, continua nel suo discorso alla folla, non pensa minimamente di abbandonare quel luogo per affidarsi alle cure del caso, che, a quel punto, sarebbero di massima urgenza. Non ha assolutamente intenzione di lasciare quella affezionata massa di gente e quello sventolio di bandiere rosse. Resiste, come solo chi ha una grande forza interiore può fare. Come solo chi ha cuore il suo dovere di rappresentante del popolo. Come solo chi ricambia con il giusto entusiasmo la speranza della gente comune. Con ogni probabilità, egli vede davanti a sé solo una grande macchia variopinta in movimento, che si restringe e si allarga come un cuore pulsante negli applausi d'amore nei confronti di un uomo che ha scelto di rimanere al suo posto, come se cedere al malore fosse stato un segno di debolezza, prima ancora che una mancanza di considerazione verso quella piazza appassionata. E continua a parlare, a portarsi avanti con le parole, anche quando la sua voce ha perso ormai smalto e vigore, rivelando il suo terrificante stato di salute. Nessuno ha il coraggio di soccorrerlo, di fermarlo, di portarlo via, non per difetto di negligenza o scarsa prontezza, ma per il rispetto che si deve agli eroi nel pieno esercizio della loro funzione archetipica, nell'osservanza del loro sacrificio al di sopra di ogni umana sofferenza, nel rito dell'ammirazione incondizionata che si nutre per chi ha la stoffa del difensore degli umili. Ancora applausi, mugugni di tensione, paura e grande preoccupazione per l'integrità del gigante segretario, che non si stacca dal microfono. Poi, un coro straziante, di una commozione che tocca l'anima: "Enrico! Enrico! Enrico!" Ed in ultimo la voce di chi non ce la fa più a reggere il pathos tellurico di quell'emozione: "Basta, Enrico! Enrico, per favore, fermati!". La storia la conoscete. Enrico, seppure a fatica, riesce a portare a conclusione il comizio. Morì, quattro giorni dopo, l'11 giugno del 1984. Le ultime parole di quel discorso, pronunciate dal palco della Piazza della Frutta di Padova furono queste: "E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti, in questi pochi giorni che ci separano dal voto, con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali. Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo... è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà". Tre anni prima, sollevando la "Questione morale", in un intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari su "La repubblica" affermò: "I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un 'boss' e dei 'sotto-boss'. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...".
Il 7 giugno del 1984, nel corso della campagna politica per le Europee, Enrico Berlinguer tiene a Padova il suo ultimo comizio, durante il quale è colpito da un ictus. Il momento tragico in cui egli avverte che le forze stanno per venirgli meno è notato da tanti, sia dalle persone del suo entourage che dal pubblico che lo ascolta. Un momento che si protrae, che sembra non avere fine. Oscar NicodemoGiornalista e copywriter Quell'ultimo comizio di AGF Il 7 giugno del 1984, nel corso della campagna politica per le Europee, Enrico Berlinguer tiene a Padova il suo ultimo comizio, durante il quale è colpito da un ictus. Il momento tragico in cui egli avverte che le forze stanno per venirgli meno è notato da tanti, sia dalle persone del suo entourage che dal pubblico che lo ascolta. Un momento che si protrae, che sembra non avere fine. Nella memoria di ognuno che ha assistito a quella scena, di persona o vista in tv, resta ferma l'immagine eterna e pregna di tensione emotiva di uomo per bene prestato alla politica. Il segretario del Pci non si ferma, continua nel suo discorso alla folla, non pensa minimamente di abbandonare quel luogo per affidarsi alle cure del caso, che, a quel punto, sarebbero di massima urgenza. Non ha assolutamente intenzione di lasciare quella affezionata massa di gente e quello sventolio di bandiere rosse. Resiste, come solo chi ha una grande forza interiore può fare. Come solo chi ha cuore il suo dovere di rappresentante del popolo. Come solo chi ricambia con il giusto entusiasmo la speranza della gente comune. Con ogni probabilità, egli vede davanti a sé solo una grande macchia variopinta in movimento, che si restringe e si allarga come un cuore pulsante negli applausi d'amore nei confronti di un uomo che ha scelto di rimanere al suo posto, come se cedere al malore fosse stato un segno di debolezza, prima ancora che una mancanza di considerazione verso quella piazza appassionata. E continua a parlare, a portarsi avanti con le parole, anche quando la sua voce ha perso ormai smalto e vigore, rivelando il suo terrificante stato di salute. Nessuno ha il coraggio di soccorrerlo, di fermarlo, di portarlo via, non per difetto di negligenza o scarsa prontezza, ma per il rispetto che si deve agli eroi nel pieno esercizio della loro funzione archetipica, nell'osservanza del loro sacrificio al di sopra di ogni umana sofferenza, nel rito dell'ammirazione incondizionata che si nutre per chi ha la stoffa del difensore degli umili. Ancora applausi, mugugni di tensione, paura e grande preoccupazione per l'integrità del gigante segretario, che non si stacca dal microfono. Poi, un coro straziante, di una commozione che tocca l'anima: "Enrico! Enrico! Enrico!" Ed in ultimo la voce di chi non ce la fa più a reggere il pathos tellurico di quell'emozione: "Basta, Enrico! Enrico, per favore, fermati!". La storia la conoscete. Enrico, seppure a fatica, riesce a portare a conclusione il comizio. Morì, quattro giorni dopo, l'11 giugno del 1984. Le ultime parole di quel discorso, pronunciate dal palco della Piazza della Frutta di Padova furono queste: "E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti, in questi pochi giorni che ci separano dal voto, con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali. Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo... è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà". Tre anni prima, sollevando la "Questione morale", in un intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari su "La repubblica" affermò: "I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un 'boss' e dei 'sotto-boss'. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...".
venerdì 5 giugno 2020
... un consiglio ...
... neh, Roberta ...!! Si parla di te, e Marco se leggi queste righe, rifletti! -Ad posteris memoriae-
giovedì 4 giugno 2020
... ieri ed oggi ...
... ieri ed oggi: dagli studenti cinesi di Piazza Tienanmen agli afroamericani di Minneapolis: la stessa giusta, rabbiosa, sacrosanta voglia di giustizia!!
mercoledì 3 giugno 2020
... DEATH ...
... probabilmente sto toccando il fondo e sono assalito dalla disperazione: non vedo soluzione ai miei problemi, la sfiga è ormai una mia, una nostra compagna abituale- speravo che l'anno dei miei 70 avesse in sé un po' di pace e di serenità ed invece ... i miei 60 hanno visto la morte di mia moglie Elisa e questi ... sono ancora peggio! Desidero ardentemente fermarmi prima, molto prima dei miei 80!!!
martedì 2 giugno 2020
lunedì 1 giugno 2020
... giornata NO!! ...
... oggi è una giornata decisamente NO: una serie di sconfitte in vari campi: un giro inutile in ospedale, in farmacia, un numero verde irraggiungibile, un app. sul telefono che non funziona, strani messaggi di virus sul PC ... chiamo l'esorcista?!
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