Giovanni Falcone ventotto anni dopo, cercando l’innocenza perduta
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23 Maggio 2020 - LA STAMPA -
Se la povera Italia non avesse avuto alle spalle una già lunghissima scia di colpa e sangue, verrebbe da dire che in quel 23 maggio 1992 si conclude la nostra età dell’innocenza. A Capaci termina una Storia e ne comincia un’altra. «Come tutte le cose umane, anche la Mafia ha un inizio e avrà una fine…», disse Giovanni Falcone in una famosa intervista, poco prima di saltare in aria su quel maledetto rettilineo dell’autostrada A29, insieme alla moglie Francesca Morvillo e tre uomini della sua scorta. Purtroppo è cambiata ma non è ancora finita, la Mafia che quel giorno, con una mattanza innescata da 400 chili di tritolo, inaugurò la tragica stagione delle stragi, portando l’attacco al cuore dello Stato dopo averne contaminato e infine incarnato interi pezzi. Oggi sono ventotto anni da quella primavera-estate che si portò via i due magistrati-simbolo di una lotta ad armi impari contro Cosa Nostra (dopo Falcone, Paolo Borsellino). «È stato il nostro 11 settembre», scrive Francesco La Licata nel racconto che leggerete all’interno di questo speciale de “La Stampa”. E il nostro 11 settembre lo abbiamo voluto celebrare così, con un ricordo eccezionale di quelle persone e di quel tempo, perché la pandemia ci ha precluso anche questo momento di memoria collettiva da vivere e rivivere ogni volta tutti insieme, come se fossimo davvero la nazione unita e coesa che purtroppo non riusciamo ad essere.
«L’Italia si ricorda di Falcone solo per pulirsi la coscienza», vi racconta in un’intervista che troverete su queste nostre pagine Angelo Corbo, uno degli agenti di scorta che sopravvissero all’attentato. E ha ragione anche lui, che ci ricorda come la lezione di Falcone non l’abbiamo assorbita, perché la mafia non è solo organizzazione criminale, ma è mentalità, è cultura, è privilegio. Virus che ci portiamo dietro e che, oggi come allora, intossicano la vita pubblica e persino le istituzioni (come lo stesso Falcone sperimentò sulla propria pelle e come continuiamo a toccare con mano leggendo le intercettazioni dell’inchiesta Palamara). «Questo 23 maggio non ci abbracceremo e non saremo in strada per ricordare il sacrificio di Giovanni», scrive la sorella Maria nel nostro speciale, perché il lockdown ce lo impedisce. Ma a maggior ragione stavolta serve uno sforzo in più. Per esserci lo stesso, per non dimenticare. Noi lo facciamo come possiamo, con il nostro giornalismo. Voi fatelo come vi chiede Maria: esponendo dai vostri balconi, questo pomeriggio alle 18, un lenzuolo bianco. Allegoria di quell’innocenza che perdemmo, ma che non dobbiamo stancarci mai di ritrovare.
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sabato 23 maggio 2020
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