martedì 27 gennaio 2009

il giorno della memoria




Scorrendo i commenti di questo blog si troveranno dati e cifre- impressionanti! -di ciò che hanno significato la Shoah e le persecuzioni precedenti e successive. Il collage di foto allegato mi sembra significativo, come unione di persone di tutto il mondo, appartenenti ad un'unica razza, la razza umana.

giovedì 22 gennaio 2009

Obama day


...e giunse il giorno del giuramento di Barack Hussein Obama quale 44° Presidente degli Stati Uniti d'America, ma, più dei miei poveri commenti, vale la pena di leggere il testo del suo discorso :

""Miei concittadini! Sono qui oggi, umilmente, a guardare la missione che ci aspetta, grato per la fiducia che avete dato e consapevole dei sacrifici fatti dai nostri antenati. Ringrazio il presidente Bush per il servizio che ha reso alla nazione, come per la generosità e la collaborazione che ha mostrato nel corso della transizione. Sono stati ormai 44 gli americani che hanno fatto il giuramento presidenziale. Queste parole sono state pronunciate durante le alte maree della prosperità e nelle acque calme della pace. Ma di tanto in tanto, il giuramento viene pronunciato sotto nubi che si addensano e con la tempesta che infuria. In quei momenti l’America è andata avanti non solo grazie alle capacità o alla visione di quelli che ricoprivano incarichi supremi, ma perché Noi, il Popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri predecessori e ai nostri documenti fondatori. Così è stato. Così dovrà essere per questa generazione di americani. Ormai tutti comprendiamo di essere nel mezzo di una crisi. La nostra nazione è in guerra contro un’estesa rete di violenza e odio. La nostra economia è gravemente indebolita, conseguenza dell’avidità e dell’irresponsabilità di alcuni, ma anche un nostro fallimento collettivo di compiere scelte difficili e preparare la nazione a una nuova era. a causa della nostra incapacità collettiva Case sono state perdute, lavori svaniti, imprese crollate. La nostra sanità costa troppo, le nostre scuole sbagliano troppo, e ogni giorno porta nuove prove che il nostro modo di usare l’energia rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta. Questi sono i segnali della crisi, esprimibili in numeri e statistiche. Meno misurabile ma altrettanto profondo è l’indebolimento della fiducia che pervade il nostro Paese, la paura persistente che il declino dell’America sia inevitabile, e che la prossima generazione dovrà ridurre le sue prospettive. Oggi vi dico che le sfide che affrontiamo sono reali. Sono serie e sono numerose. Non si potranno superare facilmente o in poco tempo. Ma, sappilo America, verranno superate. Oggi siamo qui insieme perché abbiamo preferito la speranza alla paura, e unità di propositi al conflitto e alla discordia. Oggi proclamiamo la fine delle lagne insignificanti e di false promesse, delle recriminazioni e di dogmi obsoleti, che per troppo tempo hanno imbrigliato la nostra politica. Restiamo una nazione giovane, ma per dirla con le parole delle Scritture, è arrivato il momento di mettere da parte le faccende dell’infanzia. E’ arrivato il momento di riaffermare il nostro spirito; di scegliere il meglio della nostra storia; di portare avanti questo dono prezioso, questa nobile idea, passata da generazione a generazione, della promessa fatta da Dio: che tutti sono uguali, tutti sono liberi e tutti hanno l’opportunità di perseguire la piena felicità. Riaffermando la grandezza della nostra nazione comprendiamo che la grandezza non è mai regalata. Bisogna meritarsela. Nel nostro cammino non abbiamo mai fatto uso di scorciatoie, né ci siamo accontentati. Non è stata la strada dei deboli di cuore, che preferiscono l’ozio al lavoro, o cercano solo i piaceri della ricchezza e della fama. Sono stati quelli che hanno corso rischi, quelli che preferiscono l’azione, quelli che creano le cose - alcuni famosi, ma più spesso uomini e donne sconosciuti - che con la loro fatica ci hanno portato attraverso il lungo e tortuoso cammino verso la prosperità e la libertà. Hanno impacchettato i loro pochi beni terreni e attraversato l’oceano in cerca di una nuova vita, per noi. Hanno faticato in fabbriche spremisudore e colonizzato il West, sopportato le corde della frusta e zappato la dura terra, per noi. Hanno combattuto e sono morti, a Concord e Gettysburg, in Normandia e a Khe Sahn, per noi. Questi uomini e donne hanno lottato, si sono sacrificati e hanno lavorato fino a consumarsi le mani perché noi potessimo vivere una vita migliore. Hanno visto l’America come qualcosa di più grande di una semplice somma delle nostre ambizioni personali, e di tutte le differenze di nascita, ricchezza o appartenenza. E’ il viaggio che oggi continuiamo. Rimaniamo la più ricca e potente nazione sulla Terra. I nostri lavoratori non sono meno produttivi dell’inizio della crisi. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri prodotti e servizi non meno richiesti di una settimana fa, un mese fa o un anno fa. Le nostra capacità restano intatte. Ma il tempo di resistere ai cambiamenti, di difendere interessi ristretti e di rinviare decisioni spiacevoli è certamente passato. Da oggi dobbiamo darci una mossa, darci una spolverata, e ricominciare il lavoro di rifacimento dell’America. Dovunque guardiamo, c’è del lavoro da fare. Lo stato dell’economia esige un’azione ferma e rapida, e noi agiremo, non solo per creare nuovi posti di lavoro, ma per porre nuovi basi per la crescita. Costruiremo strade e ponti, reti elettriche e linee digitali che alimenteranno il nostro commercio e ci legheranno ancora di più. Restituiremo alla scienza il posto che si merita, e useremo le meraviglie della tecnologia per aumentare la qualità della sanità e abbassarne i costi. Imbriglieremo il sole, i venti e la terra per alimentare le nostre automobili e le nostre fabbriche. Trasformeremo le nostre scuole e università per renderle all’altezza delle necessità di una nuova epoca. Tutto questo è possibile. Tutto questo lo faremo. Qualcuno si chiede se sia il caso di ridimensionare le nostre ambizioni, sostenendo che il nostro sistema non potrà reggere troppi grandi progetti. Ma chi lo dice ha la memoria corta. Si dimentica quello che questo Paese ha già fatto; quello che possono ottenere uomini e donne liberi quando l’immaginazione si sposa a obiettivi condivisi, e la necessità si unisce al coraggio. Quello che i cinici non riescono a capire è che il terreno sotto i loro piedi sta sparendo, che dibattiti politici ormai datati in cui ci siamo consumati così a lungo non funzionano più. Oggi non ci chiediamo se il nostro governo è troppo grande o troppo piccolo, ma se funziona: se aiuta le famiglie a trovare lavoro con una paga decente, ad avere cure accessibili e una pensione dignitosa. Laddove la risposta è sì andremo avanti. Se la risposta è no i programmi verranno chiusi. E quelli che gestiscono dollari pubblici verranno chiamati a darne conto - spendere con saggezza, cambiare le cattive abitudini e lavorare alla luce del giorno - perché solo così potremo ricostruire la fiducia tra la gente e il suo governo, di un’importanza vitale. Né ci poniamo la domanda se il mercato sia una forza del bene o del male. La sua capacità di generare ricchezza ed espandere la libertà non ha eguali, ma questa crisi ci ha ricordato che senza un occhio attento il mercato può uscire dal controllo, e anche che una nazione non può prosperare a lungo se favorisce solo i cittadini che prosperano. Il successo della nostra economia è dipeso sempre non solo dalle dimensioni del nostro Prodotto interno lordo, ma anche dalla diffusione del nostro benessere, dalla nostra capacità di estendere le opportunità a ogni cuore di buona volontà, e non per carità, ma perché questa è la strada più sicura verso il nostro bene comune. Per quanto riguarda la nostra comune difesa, respingiamo come falsa la scelta tra la sicurezza e gli ideali. I nostri Padri fondatori, che affrontavano pericoli che noi riusciamo appena ad immaginare, hanno scritto una Carta per garantire il governo della legge e i diritti dell’uomo, una Carta che poi è stata estesa grazie al sangue versato da diverse generazioni. Questi ideali illuminano ancora il mondo, e non vi rinunceremo per amore di convenienza. E a tutti gli altri popoli e governi che ci guardano oggi, dalle capitali maggiori fino al piccolo villaggio dove è nato mio padre, dico: sappiate che l’America è amica di ogni nazione, e di ogni uomo, donna e bambino che cercano un futuro di pace e dignità, e sappiate che siamo pronti a tornare a essere una guida. Ricordiamoci che le generazioni precedenti hanno sconfitto il fascismo e il comunismo non solo grazie ai missili e ai carri armati, ma anche costruendo solide alleanze e perseverando nelle proprie convinzioni. Avevano compreso che il nostro potere da solo non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare quello che vogliamo. Sapevano invece che il nostro potere cresce grazie a un suo uso prudente, che la nostra sicurezza deriva dall’avere una causa giusta, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità di umiltà e autolimitazione. Noi siamo i guardiani di questa eredità. Guidati tuttora da questi principi, possiamo andare incontro alle nuove minacce che richiedono sforzi ancora maggiori, e una maggiore cooperazione e comprensione tra le nazioni. Cominceremo ad abbandonare responsabilmente l’Iraq, lasciandolo al suo popolo, e a costruire con fatica una pace in Afghanistan. Con i vecchi amici e gli ex nemici lavoreremo instancabilmente per alleviare la minaccia nucleare, e respingere lo spettro di un pianeta che si surriscalda. Non chiederemo scusa per il nostro modello di vita, né esiteremo nel difenderlo. A quelli che cercano di raggiungere i propri obiettivi seminando terrore e uccidendo innocenti, noi diciamo che il nostro spirito è più forte e non può essere spezzato; non potrete sopravviverci, vi sconfiggeremo. Sappiamo che la nostra eredità così variegata è una forza, non è una debolezza. Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e hindu, e di non credenti. Siamo stati plasmati da tutte le lingue e tutte le culture, portate da ogni angolo di questa Terra. E siccome abbiamo assaggiato l’amaro calice della guerra civile e della segregazione, emergendo da quel capitolo oscuro ancora più forti e uniti, non possiamo che credere che i vecchi odi un giorno passeranno, che le linee di divisione tribale spariranno presto, che mentre il mondo diventa sempre più piccolo la nostra comune umanità deve prendere il sopravvento, e che l’America deve svolgere il suo ruolo, e aprire le porte a una nuova era di pace. Al mondo musulmano: cerchiamo una nuova strada che ci faccia fare progressi, basata su interesse e rispetto reciproco. Ai leader che cercano conflitti, o accusano dei mali delle loro società l’Occidente: sappiate che i vostri popoli vi giudicheranno su quello che potrete costruire, non su quello che potete distruggere. A quelli che si aggrappano al potere con la corruzione, l’inganno e il bavaglio ai dissidenti: sappiate che siete dalla parte sbagliata della storia. Ma se vorrete aprire le vostre mani strette a pugno, vi tenderemo la mano. Ai popoli delle nazioni povere: vogliamo lavorare insieme a voi per rendere floride le vostre fattorie e far scorrere acque pulite, per nutrire corpi affamati e alimentare menti avide. Alle nazioni come la nostra che godono di una relativa abbondanza diciamo che non possiamo più permetterci di restare indifferenti alle sofferenze fuori dai nostri confini, né possiamo consumare spensieratamente le risorse mondiali. Perché il mondo è cambiato, e noi dobbiamo cambiare insieme a esso. Mentre scrutiamo la strada che abbiamo davanti, ricordiamo con umile gratitudine quei coraggiosi americani che, in questo preciso momento, pattugliano lontani deserti e montagne. Hanno qualcosa da dirci oggi, così come gli eroi caduti sepolti ad Arlington che ci parlano attraverso i secoli. Li onoriamo non soltanto come guardiani della nostra libertà, ma perché incarnano lo spirito di servizio, il desiderio di trovare un senso in qualcosa di più grande di loro. E in questo momento - un momento che influenzerà una generazione - è proprio questo spirito che deve albergare in tutti noi. Per quanto un governo possa e debba fare, alla fine questa nazione poggia sulla fede e la determinazione del popolo americano. Nelle nostre ore più buie a farci andare avanti è la gentilezza di ospitare uno straniero quando si rompono gli argini; l’abnegazione degli operai che preferiscono ridurre le proprie ore di lavoro piuttosto che vedere un amico perdere il posto; sono il coraggio del vigile del fuoco di gettarsi in una scala piena di fumo, ma anche le cure di un genitore verso il figlio, a decidere alla fine dei conti il nostro destino. Le sfide che abbiamo di fronte possono essere inedite. Gli strumenti di cui abbiamo bisogno per affrontarle possono essere nuovi. Ma i valori dai quali dipende il nostro successo - duro lavoro e onestà, coraggio e fair play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo - sono cose vecchie. Sono cose vere. Sono la forza tranquilla che passa nella nostra storia. Quello che ci vuole è un ritorno di queste verità. Quello che ci viene chiesto oggi è una nuova era di responsabilità, il riconoscimento da parte di ogni americano del fatto che abbiamo dei doveri verso noi stessi, la nostra nazione e il mondo, doveri che non accettiamo con fastidio, ma semmai cogliamo con gioia, fermi nella consapevolezza che non esiste nulla di soddisfacente per lo spirito e plasmante per il nostro carattere, che dare tutti noi stessi a un compito difficile. Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza. Questa è la fonte della nostra fiducia: la consapevolezza che Dio ci ha chiamati a tracciare un destino ancora incerto. Questo è il significato della nostra libertà e del nostro credo, ed è per questo che uomini, donne e bambini di ogni razza e fede possono unirsi alle celebrazioni lungo questa magnifica Mall, ed è per questo che un uomo il cui padre meno di sessant’anni fa rischiava di non venire servito al ristorante locale sta oggi qui di fronte a voi pronunciando il voto più sacro. Celebriamo questo giorno con il ricordo, di ciò che siamo e di quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno della nascita dell’America, nel mese più freddo, un piccolo gruppo di patrioti si stringeva intorno a fuochi prossimi a spegnersi sulle rive di un fiume ghiacciato. La capitale era stata abbandonata. Il nemico stava avanzando. La neve era macchiata con il sangue. Nel momento in cui l’esito della nostra rivoluzione sembrava incerto come mai prima, il padre della nostra nazione ordinò che al popolo venissero lette le seguenti parole: «Nel mondo del futuro si dirà... che nelle profondità dell’inverno quando nulla se non speranza e virtù possono sopravvivere... la città e la campagna, allarmate da un comune pericolo, si incontrarono». America. Di fronte alle minacce comuni, in questo inverno delle nostre fatiche, ricordiamoci queste parole senza tempo. Con speranza e virtù, affronteremo ancora una volta le correnti ghiacciate, e resisteremo alle tempeste che verranno. I figli dei nostri figli diranno che quando venimmo messi alla prova ci rifiutammo di interrompere il nostro cammino, non tornammo indietro né vacillammo; e con gli occhi fissi all’orizzonte, e con la grazia di Dio su di noi, portiamo avanti il grande dono della libertà per consegnarlo intatto alle generazioni future. Dio salvi l’America.""

domenica 18 gennaio 2009

http://www.nativiamericani.it

Rispondo al commento di qualche giorno fa:
Certamente personaggi come Condoleeza Rice e Colin Powell appartengono ad uno schieramento conservatore: è tuttavia un fatto da rimarcare che, anche se lentamente, alcune leve di comando siano state affidate a persone di colore- ora poi con l'elezione di Barack Obama questo percorso tocca il suo culmine. Per quanto concerne il problema dei nativi americani, sarà sicuramente affrontato dal nuovo Presidente, sollecitato dai legittimi rappresentanti di questa etnia. Il link allegato potrà fornire maggiori informazioni.

sabato 10 gennaio 2009

http://www.asianews.it/index.php?!=it&art=13971

Scorrendo il web, mi salta agli occhi un titolo: "carta 08"; si tratta di un documento firmato da intellettuali , ma anche da gente comune, che rivendica per la propria patria: la Cina - una maggiore democrazia ed il rispetto dei diritti umani; anche in quelle terre regnano corruzione e sopraffazione dei potenti sui deboli- niente di nuovo sotto il sole- allego il link del sito per maggiori informazioni- speriamo che questo documento sia il primo atto di una svolta autenticamente democratica- un "virus" benefico che si diffonda intorno...

martedì 6 gennaio 2009

Le elezioni americane- il fattore Obama


Nella notte del 4 novembre scorso è stato eletto il 44° Presidente degli Stati Uniti, un uomo di colore dal nome un po’ strano: Barack Hussein Obama. Dopo aver sbaragliato il candidato democratico, la sig.ra Hillary Clinton, ha surclassato lo sfidante repubblicano John McCain. Obama si richiama a Lincoln: la sua candidatura alla Casa Bianca la annuncia a Springfield, Illinois, nello stesso luogo da cui il grande Abe iniziò la sua battaglia per abolire la schiavitù con il discorso sulla “casa divisa”. Obama è giovane (47 anni) gioca a basket, ama la musica ed è un esperto conoscitore di internet: è insomma l’uomo nuovo che tanti da tempo attendevano dopo gli otto anni tragici di George W. Bush. Obama si richiama, oltre che al citato Abe Lincoln, a Kennedy, a Martin Luther King, e molta gente si aspetta da lui un nuovo “new deal”, ma è ancora presto per vedere nel Presidente neoeletto un nuovo Roosevelt. Da non sottovalutare il fattore R, come razzismo. Dio non voglia che da qualche angolo oscuro della provincia americana sbuchi fuori un nuovo Lee Osvald, con il suo “background” di ignoranza e di razzismo, e con la pretesa di salvare la “razza” bianca “dall’umiliazione di essere governati da un mezzosangue”. Gli Stati Uniti sono un’incredibile commistione di progresso ed arretratezza, di slanci verso il futuro per noi incredibili e di violenza belluina.
La vittoria di Obama è comunque il frutto di una quarantennale marcia di avvicinamento dei vari movimenti afro-americani, ispanici e pacifisti, nelle loro articolazioni, prima per ottenere il riconoscimento di entità facenti parte della società americana e poi, con personaggi come Colin Powell e Condoleeza Rice, l'accesso alle stanze del potere.
Auguriamoci che al neoeletto Presidente degli Stati Uniti sia consentito di affrontare i tremendi compiti che lo attendono, aggravati dalla attuale crisi finanziaria mondiale, crisi che contiene inquietanti risvolti sociali da tenere in debito conto.

domenica 4 gennaio 2009

nuovo anno

Innanzitutto vorrei inviare i miei migliori auguri per un felice 2009 a tutti coloro che, scorrendo le infinite pagine del web, dovessero incappare in queste poche righe, ed in particolare a coloro che ho annotato come destinatari di questo post... e dei prossimi... spero che nonostante il tormento che infliggo loro- seguiteranno a leggermi- se poi invieranno un loro commento, suggerimento, link, notizia, argomento o quant'altro mi renderanno una persona felice!!
Un blog è come un fiume: prosegue nella sua corsa perchè è alimentato, oltre che dalla sua sorgente, dagli affluenti che in esso convergono, ed, a volte, gli affluenti si dimostrano più importanti dello stesso corso principale!.
Ringrazio Piero Lanaro per la bozza inviatami in questi giorni; l'argomento da lui sollevato di una partecipazione più consapevole dei cittadini alla vita politica, ed a una gestione del territorio più oculata mi trova perfettamente d'accordo: i guasti provocati da una cattiva gestione della cosa pubblica sono sotto gli occhi di tutti: la crisi finanziaria mondiale ha evidenziato i difetti di un sistema che va sicuramente riformato: in questo senso ben vengano le iniziative anche locali che tendono a contrastare tale situazione. Non mi nascondo che il percorso sarà lungo ed irto di difficoltà: ci vorrà più consapevolezza del proprio ruolo da parte di ognuno e voglia di confrontarsi con gli altri- ma ragazzi... c'è internet- siamo ormai tutti parte dello stesso villaggio, ed i problemi che abbiamo noi, nella nostra piccola Valle di Susa, esistono, con qualche differenza, in altre parti di questo pianeta, nonostante noi, ancora così bello.