domenica 30 maggio 2010

...caro Piero...

Caro Piero,
come sai avevo raccolto sul mio blog alcuni post che volevano essere degli appunti per una meditazione sul senso della vita- ora, con questo scritto, voglio rispondere, per quanto mi è possibile, alla tua lettera del marzo scorso, in cui tu elenchi per punti un ventaglio di sensi della vita, cercando di esplorare le varie situazioni in cui l’uomo si pone questa fondamentale domanda.
Nel frattempo si è abbattuta su di me la folgore di un distacco atroce e definitivo che ha dato senso tragico alla formula del sacerdote, nel corso della celebrazione del matrimonio, : ” finché morte non vi separi”, ed alla luce di questi ultimi avvenimenti sono crollate intorno a me le sicurezze costruite nel corso di vent’anni di dolce ed intensa frequentazione con la mia cara Elisa.
Ora sto cercando di ricostruire la mia vita, lasciando da parte e cacciando i pensieri neri, nerissimi, che ogni tanto invadono la mia mente, chiedendo perdono a Dio per qualche mio moto di ribellione, sussurro inarticolato che si perde nell’immensità del mistero che avvolge la nostra vita e quel passaggio ad un'altra esistenza, in cui, fatti di puro spirito, vivremo eternamente nella gioia o nella pena definitive.
E’ chiaro dalle righe precedenti che il senso della vita a cui mi conformo è quello presentato da te al punto 3) della tua lettera: la fede in un Dio unico che sa alleviare il dolore del distacco, facendo intravedere al di là della cortina di lacrime, inevitabili e dolcissime, un opportunità nuova, un nuovo inizio, con Elisa sempre nel cuore, ma con ancora tanti progetti di cui seguire passo passo la realizzazione, magari sbagliando per poi ricominciare, tentando nuove strade, finché anche il mio tempo non sarà scaduto.
Spero di essere stato esauriente nella mia risposta e ti invito caldamente a replicare, arricchendo così questa nostra ricerca, certamente non vana, ma anzi utile a guardarci dentro ed a scoprire qualcosa di più della nostra essenza di uomini.
Chiudo con una frase a me cara del nostro padre Dante:
“fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”

San Giorio 30 Maggio 2010 il tuo amico Renato

...a proposito di amicizia...

...in questi giorni sto amaramente scoprendo un muro intorno a me- persone che ti chiamano presto la mattina- per sapere come stai? forse, ma soprattutto per via di quel tal libro di cui hanno bisogno, oppure che alla tua dichiarata difficoltà di andare per supermercati ti consigliano i normali negozi e lo fanno con il viso sorridente, mentre tu dentro ti senti morire...oppure ancora, dopo che hai risposto alla classica domanda di un amico? "come va?"- beh, non troppo bene-ti senti rispondere: "allora non è cambiato niente!"- piccole cose- un muro che si chiude intorno a te, facendoti capire che in fondo puoi veramente contare soltanto su te stesso!...

mercoledì 26 maggio 2010

Una delle più belle pagine scritte sul gioco del calcio. Da: lucagiai@libero.it

Il rigore più lungo del mondo

Il rigore più fantastico di cui io abbia notizia è stato tirato nel
1958 in un posto sperduto di Valle de Rìo Negro, una domenica
pomeriggio in uno stadio vuoto. Estrella Polar era un circolo con i
biliardi e i tavolini per il gioco delle carte, un ritrovo da ubriachi
lungo una strada di terra che finiva sulla sponda del fiume. Aveva una
squadra di calcio che partecipava al campionato di Valle perché di
domenica non c’era altro da fare e il vento portava con sé la sabbia
delle dune e il polline delle fattorie.
I giocatori erano sempre gli stessi, o i fratelli degli stessi. Quando
avevo quindici anni, loro ne avevano trenta e a me sembravano
vecchissimi. Dìaz, il portiere, ne aveva quasi quaranta e i capelli
bianchi che gli ricadevano sulla fronte da indio arcuano. Alla coppa
partecipavano sedici squadre e l’Estrella Polar finiva sempre dopo il
decimo posto. Cedo che nel 1957 si fossero piazzati al tredicesimo e
tornavano a casa cantando, con la maglia rossa ben ripiegata nella
borsa perché era l’unica che avessero. Nel 1958 avevano cominciato a
vincere per uno a zero con l’Escudo Cileno, un’altra squadra
miseranda. Nessuno ci badò. Invece, un mese dopo, quando avevano vinto
quattro partite di seguito ed erano in testa al torneo, nei dodici
paesi di Valle si cominciò a parlare di loro.
Le vittorie erano state tutte per un solo goal, ma bastavano a far
rimanere il Deportivo Belgrano, l’eterno campione, la squadra di
Padìn, di Constante Gauna e di Tata Cardiles, al secondo posto, con un
punto di distacco. Si parlava dell’Estrella Polar a scuola,
sull’autobus, in piazza, ma nessuno immaginava ancora che alla fine
dell’autunno avrebbero avuto ventidue punti contro i ventuno dei
nostri.
I campi si riempivano per vederli finalmente perdere. Erano lenti come
somari e pesanti come armadi ma marcavano a uomo e gridavano come
maiali quando non avevano la palla. L’allenatore, uno vestito di nero,
con baffetti sottili, un neo sulla fronte e mozzicone spento tra le
labbra, correva lungo la linea laterale e li incitava con una verga di
vimini quando gli passavano vicino. Il pubblico ci si divertiva e noi,
che giocavamo di sabato perché eravamo più piccoli, non riuscivamo a
spiegarci come potessero vincere se giocavano così male.
Davano e ricevevano colpi con tale lealtà e con tale entusiasmo che
dovevano appoggiarsi gli uni agli altri per uscire dal campo mentre la
gente li applaudiva per l’uno a zero e porgeva loro bottiglie di vino
rinfrescate sotto la terra umida. La sera facevano festa nel
postribolo di Santa Ana e la Gorda Zulema si lamentava perché
mangiavano le poche cose che conservava nella ghiacciaia.
Erano diventati l’attrazione del paese e a loro tutto era consentito.
I vecchi li raccoglievano nei bar quando bevevano troppo e
cominciavano ad attaccar briga; i commercianti li omaggiavano di
qualche giocattolo e di caramelle per i bambini e al cinema le ragazze
accettavano carezze al di sopra delle ginocchia. Fuori dal paese,
nessuno li prendeva sul serio, neppure quando avevano vinto con
l’Atletico San Martìn per due a uno. Nel pieno dell’euforia furono
sconfitti come tutti quanti a Barda del Medio e sul finire dell’andata
persero il primo posto quando il Deportivo Belgrano li sistemò con
sette goal. Tutti credemmo, allora, che la normalità fosse stata
ristabilita.
Ma la domenica dopo vinsero per uno a zero e continuarono nella loro
litania di laboriose, orrende vittorie e arrivarono alla primavera con
un solo punto in meno rispetto al campione.
L’ultimo scontro divenne storico a causa del rigore. Lo stadio era
tutto esaurito e lo erano anche i tetti delle case vicine e il paese
intero aspettava che il Deportivo Belgrano, giocando in casa,
replicasse almeno i sette goal dell’andata. Il giorno era fresco e
assolato e le mele cominciavano a colorirsi sugli alberi. L’Estrella
Polar aveva portato oltre cinquecento tifosi che presero d’assalto la
tribuna e i pompieri dovettero tirar fuori gli idranti per farli stare
calmi.
L’arbitro che fischiò il rigore era Herminio Silva, un epilettico che
vendeva biglietti della lotteria nel circolo locale e tutti quanti
capirono che si stava giocando il lavoro quando al quarantesimo del
secondo tempo si era ancora sull’uno a uno e non aveva fischiato la
massima punizione, anche se quelli del Deportivo Belgrano entravano a
tuffo nell’area dell’Estrella Polar e facevano capriole e salti
mortali per impressionarli. Sul pareggio la squadra locale era
campione e Herminio Silva voleva conservare il rispetto di sé e non
concedeva il rigore perché non c’era fallo.
Ma al quarantaduesimo rimanemmo tutti a bocca aperta quando la
mezz’ala sinistra dell’Estrella Polar infilò una punizione da molto
lontano e portò la squadra ospite sul due a uno. Allora sì che
Herminio Silva pensò al suo lavoro e allungò la partita fino a quando
Padìn entrò in area e appena gli si avvicinò un difensore fischiò.
Fece uscire dal fischietto un suono stridulo, imponente e indicò il
punto del rigore. All’epoca, il luogo dell’esecuzione non era indicato
con il dischetto bianco e bisognava contare dodici passi da uomo.
Herminio Silva non riuscì nemmeno a raccogliere il pallone perché
l’ala destra dell’Estrella Polar, Rivero, detto el Colo, lo stese con
un pugno sul naso. La rissa fu così lunga che scese la sera e non ci
fu modo di sgomberare il campo né di risvegliare Herminio Silva. Il
Commissario, con una lanterna accesa, sospese la partita e diede
ordine di sparare in aria. Quella sera il comando militare decretò lo
stato di emergenza, o qualcosa del genere, e fece preparare un treno
per allontanare dal paese tutti quelli che non sembravano del posto.
Secondo il tribunale della Lega, che venne riunito il martedì
seguente, si dovevano giocare ancora venti secondi a partire
dall’esecuzione del calcio di rigore, e quel match privato tra
Constante Gauna, il cannoniere, e el Gato Dìaz in porta, avrebbe avuto
luogo la domenica dopo, ullo stesso campo, a cancelli chiusi. Così
quel rigore durò una settimana ed è, se nessuno mi dimostra il
contrario, il più lungo della storia.
Mercoledì marinammo la scuola e andammo nel paese vicino a curiosare.
Il circolo era chiuso e tutti gli uomini si erano riuniti sul campo,
tra le dune. Avevano formato una lunga fila per battere i rigori
contro el Gato Dìaz e l’allenatore con il vestito nero e il neo sulla
fronte cercava di spiegare loro che quello non era il modo migliore di
mettere alla prova il portiere. Alla fine, tutti tirarono il loro
rigore e el Gato ne parò parecchi perché li battevano con ciabatte e
scarpe da passeggio. Un soldato bassino, taciturno, che stava in fila,
sparò un tiro con la punta dell’anfibio militare che quasi sradica la
rete. Sul far della sera tornarono in paese, aprirono il circolo e si
misero a giocare a carte. Dìaz rimase tuta la sera senza parlare,
gettando all’indietro i capelli bianchi e duri finché dopo mangiato
s’infilò lo stuzzicadenti in bocca e disse: – Constante li tira a
destra.
- Sempre, -disse il presidente della squadra.
- Ma lui sa che io so.
- Allora siamo fottuti.
- Sì, ma io so che lui sa, – disse el Gato.
- Allora buttati subito a sinistra, – disse uno di quelli che erano
seduti a tavola.
- No. Lui sa che io so che lui sa, – disse el Gato Dìaz e si alzò per
andare a dormire.
- El Gato è sempre più strano, – disse il presidente della squadra nel
vederlo uscire pensieroso, camminando piano.
Martedì non andò all’allenamento e nemmeno mercoledì. Giovedì, quando
lo trovarono che camminava sui binari del treno, parlava da solo e lo
seguiva un cane dalla coda mozzata.
- Lo pari? – gli domandò, ansioso, il garzone del ciclista.
- Non lo so. Che cosa cambia, per me? – domandò.
- Che ci consacriamo tutti, Gato. Glielo diamo nel culo a quelle
checche del Belgrano.
- Io mi consacro quando la rubia Ferriera mi dirà che mi vuole bene, -
disse e fischiò al cane per tornarsene a casa.
Venerdì la rubia Ferreira badava come sempre alla merceria quando il
sindaco entrò con un mazzo di fiori e con un sorriso largo quanto
un’anguria aperta.
- Questi te li manda el Gato Dìaz e fino a giovedì tu devi dire che è
il tuo fidanzato.
- Poveretto, – disse la donna con una smorfia e nemmeno li guardò,
quei fiori che erano arrivati da Neuquén con l’autobus delle dieci e
mezza.
La sera andarono al cinema insieme. Nell’intervallo, el Gato uscì
nell’atrio per fumare e la rubia Ferreira rimase sola nella penombra,
con la borsa sulla gonna, a leggere cento volte il programma senza
alzare lo sguardo.
Sabato pomeriggio el Gato Dìaz chiese in prestito due biciclette e
andarono a fare una passeggiata sulla riva del fiume. Mentre iniziava
il pomeriggio cercò di baciarla ma lei girò la faccia e disse che
forse gliel’avrebbe permesso domenica sera, se parava il rigore, al
ballo.
- E io come faccio a saperlo? – disse lui.
- A sapere cosa?
- Se mi devo buttare da quella parte.
La rubia Ferreira lo prese per mano e lo portò fino al posto in cui
avevano lasciato le biciclette.
- In questa vita non si sa mai chi inganna e chi è ingannato, -disse
lei.
- E se non lo paro? – domando el Gato.
- Allora vuol dire che non mi vuoi bene, -rispose la rubia, e
tornarono in paese.
La domenica del rigore partirono dal circolo venti camion carichi di
gente, ma la polizia li bloccò all’ingresso del paese e dovettero
fermarsi accanto alla strada, ad aspettare sotto il sole. A quei tempi
e in quel posto non c’erano né televisori né stazioni radio né qualche
altro mezzo per seguire cosa succedeva su un campo chiuso, così quelli
dell’Estrella Polar predisposero una specie di staffetta tra lo stadio
e la strada.
Il garzone del ciclista salì su un tetto da dove si vedeva la porta di
Gato Dìaz e da lì avrebbe raccontato quello che vedeva a un altro
ragazzo che stava sul marciapiede e che a sua volta lo avrebbe
riferito a un altro che stava a venti metri e così via finché ogni
particolare sarebbe arrivato al punto in cui aspettavano i tifosi
dell’Estrella Polar.
Alle tre del pomeriggio le due squadre scesero in campo vestite come
se dovessero giocare una vera partita. Herminio Silva aveva la divisa
nera, scolorita ma in ordine quando tutti furono schierati a
centrocampo andò dritto verso el Colo Rivero che gli aveva dato il
pugno la domenica prima e lo espulse. Non era ancora stato inventato
il cartellino rosso e Herminio indicava la bocca del tunnel con mano
ferma da cui pendeva il fischietto. Alla fine, la polizia portò via a
spintoni el Colo che sarebbe voluto rimanere a vedere il rigore.
Allora l’arbitro andò fino alla porta con la palla stretta contro un
fianco, contò dodici passi e la sistemò a terra. El Gato Dìaz si era
pettinato con la brillantina e la testa gli risplendeva come una
pentola di alluminio.
Noi lo osservavamo appoggiati contro il muretto che circondava il
campo, proprio dietro la porta, e quando si dispose sulla riga di
calce e prese a strofinarsi le mani nude cominciammo a scommettere su
quale lato avrebbe scelto Constante Gauna.
Lungo la strada avevano interrotto la circolazione e tutti aspettavano
quell’istante perché erano dieci anni che il Deportivo Belgrano non
perdeva una coppa né un campionato. Anche i poliziotti volevano
sapere, e così lasciarono che la catena di staffette si dislocasse
lungo tre chilometri e le notizie correvano di bocca ritmate dalle
contrazioni del fiatone.
Alle tre e mezza, quando Herminio Silva ebbe ottenuto che i dirigenti
delle due squadre, gli allenatori e le forze vive del popolo
abbandonassero il campo, Constante Gauna si avvicinò per sistemare la
palla. Era magro e muscoloso e aveva le sopracciglia tanto folte che
la faccia ne sembrava tagliata in due. Aveva tirato tante volte quel
rigore – raccontò poi – che lo avrebbe rifatto in ogni momento della
sua vita, sveglio o addormentato.
Alle quattro meno un quarto, Herminio Silva si dispose a metà strada
tra la porta e il pallone, portò il fischietto alla bocca e soffiò con
tutte le sue forze. Era così nervoso e il sole gli aveva tanto
martellato sulla nuca che quando il pallone partì in direzione della
porta sentì gli occhi rovesciarglisi all’indietro e cadde di spalle
schiumando dalla bocca. Dìaz fece un passo in avanti e si buttò sulla
destra. Il pallone partì roteando su se stesso verso il centro della
porta e Constante Gauna indovinò subito che le gambe del Gato Dìaz
sarebbero riuscite a deviarlo di lato. El Gato pensò al ballo della
sera, alla gloria tardiva, al fatto che qualcuno sarebbe dovuto
accorrere per mettere in corner il pallone che era rimasto a rotolare
in area.
El petiso Mirabelli arrivò per primo e la mise fuori, contro la rete
metallica, ma Herminio Silva non poteva vederlo perché stava a terra,
si rotolava in preda a un attacco di epilessia. Quando tutta
l’Estrella Polar si rovesciò sopra al Gato Dìaz per festeggiare, il
guardalinee corse verso Herminio Silva con la bandierina alzata e dal
muretto su cui eravamo seduti lo sentimmo gridare : “Non vale! Non
vale!”
La notizia corse di bocca in bocca, gioiosa. La respinta del Gato e lo
svenimento dell’arbitro. A quel punto sulla strada tutti aprirono
damigiane di vino e cominciarono a festeggiare, sebbene il “non vale”
continuasse ad arrivare balbettato dai messaggeri con una smorfia
attonita.
Fino a quando Herminio Silva non si fu rimesso in piedi, sconvolto
dall’attacco, non arrivò la risposta definitiva. Come prima cosa volle
sapere “che è successo” e quando glielo raccontarono scosse la testa e
disse che bisognava tirare di nuovo perché lui non era stato presente
e il regolamento prescrive che la partita non si possa giocare con un
arbitro svenuto. Allora el Gato Dìaz allontanò quelli che volevano
pestare il venditore di biglietti della lotteria al Deportivo Belgrano
e disse che bisognava sbrigarsi perché la sera aveva un appuntamento e
una promessa e andò di nuovo a mettersi in porta.
Constante Gauna non doveva avere molta fiducia in se stesso perché
propose a Padìn di tirare e solo dopo andò vero la palla mentre il
guardalinee aiutava Herminio a stare in piedi. Fuori si sentivano
strombazzamenti festosi dei tifosi del Deportivo Belgrano e i
giocatori dell’Estrella Polar cominciarono a ritirarsi dal campo
circondati dalla polizia.
Il tiro arrivò a sinistra e el Gato Dìaz si buttò nella stessa
direzione con un’eleganza e una sicurezza che non mostrò mai più.
Constante Gauna alzò gli occhi al cielo e cominciò a piangere. Noi
saltammo giù dal muretto e andammo a guardare da vicino Dìaz, il
vecchio, che rimirava il pallone che aveva tra le mani come se avesse
estratto la pallina vincente alla lotteria.
Due anni dopo, quando el Gato era ormai un rudere e io ero un
giovanotto insolente, me lo trovai ancora di fronte, a dodici passi di
distanza, e lo vidi immenso, rannicchiato sulla punta dei piedi, con
le dita aperte e lunghe. Aveva al dito una fede che non era della
rubia ma della sorella del Colo Rivero, india e vecchia come lui.
Evitai di guardarlo negli occhi e cambiai piede; poi tirai di
sinistro, basso, sapendo che non l’avrebbe parato perché era molto
rigido e portava il peso della gloria.
Quando andai a prendere il pallone nella porta, si stava rialzando
come un cane bastonato.
Bene, ragazzo – mi disse. – Un giorno andrai in giro da queste parti a
raccontare che hai segnato un goal a Gato Dìaz, ma nessuno ti crederà.
(Osvaldo Soriano)

domenica 23 maggio 2010

...Pentecoste...

Stamane messa alle 9,30 e poi visita al cimitero- i tuoi fiori erano appassiti- ne ho messo dei nuovi in un bel mazzolino comprato da Nadia, con l'aiuto di Giovanna- poi pranzo da Daniela, ma tu non c'eri, e poi ancora da Giovanna e poi al cimitero di Bussoleno ed a quello di San Giorio, ed ancora lacrime e lacrime- così finisce il "tuo" periodo pasquale...ed ora ...tiremm innanz, ancora tra lacrime e ricordi...e che Dio mi aiuti...

sabato 22 maggio 2010

...il primo caldo...

dopo giornate piene di nuvole e pioggia, oggi il sole ha fatto sentire di nuovo il suo calore- nel pomeriggio solito giro da mamma per la spesa e le bollette ed in macchina segnava 27- 28 gradi- Elisa tu non hai potuto sentirlo questo calore ne lo sentirai mai più- il posto in macchina vicino al mio è destinato a restare per sempre vuoto?...

giovedì 20 maggio 2010

...da Monica Bregola...

Certo,

può cercare un libro di cesare boni – dove va l’anima dopo la morte? – edizioni amrita



egli è stato un caro amico oltre che un esperto e una guida…



un saluto caro



Monica

mercoledì 19 maggio 2010

...a Monica Bregola...

La ringrazio per le Sue parole e per la vicinanza al mio dolore- sarei lieto di poterLa incontrare e parlare con Lei di questo mio momento difficile...
Barbara mi aveva accennato ad un suo metodo di approccio a questi eventi...sarei lieto di saperne qualcosa di più, tramite un Suo contributo scritto.
Grazie per la Sua risposta e per quanto vorrà inviarmi.

Renato.

...da Monica Bregola...

Caro Renato,



comprendo la queste parole e dalla telefonata di ieri sera il suo stato d’animo e la sua vita in questo momento,

Barbara le ha parlato di me forse perché conosce la mia visione spirituale della vita, l’interesse per l’accompagnamento alla morte anche successivo ad essa…

Se ha piacere di incontrarci sarò felice di conoscerla e di parlare con lei,

le sono vicina, le invio un saluto caro



Monica

domenica 16 maggio 2010

venerdì 14 maggio 2010

--a Monica Bregola--...mi presento...

Buongiorno- Il Suo indirizzo e la Sua e-mail mi sono stati comunicati da mia nipote Barbara Lauritti- Sono il marito di Elisa Finocchiaro, prematuramente scomparsa, lasciando un vuoto terribile nella mia anima ed un silenzio nella mia casa, in cui tutto mi ricorda lei, le sue passioni, i suoi hobby...mi restano i miei gatti, un maschio, Tommy ed una femmina, Kitty, che aveva un rapporto speciale con Elisa. Tutte le sere, al momento di andare a letto, Kitty mi viene a trovare, si sdraia al posto di mia moglie, si fa coccolare ed ogni tanto si rizza sulle zampe, in ascolto...forse in attesa...
Ora sto cercando di ricostruire la mia vita, vivendo giorno per giorno, ironia della sorte, io che ero abituato a programmare a lungo termine...
Spero che riscontrerà questa mia indicandomi un percorso da seguire per accettare questo distacco, pesante come un macigno...

Curta Renato

mercoledì 12 maggio 2010

...un mese dopo...

...è già passato un mese dalla morte di Elisa, ma le ultime immagini di lei sofferente in quel triste giorno sono fissate nella mia mente, indelebili, come un marchio a fuoco che da strazio alla mia anima e mi fa disperare, a volte, di poter sopravvivere a questa perdita.
Ora dovrò ripensare la mia vita ed organizzarla su basi nuove, ora si che è il tempo di interrogarmi sul suo vero senso, cercando di darmi nuove motivazioni e nuovi stimoli per proseguire nel mio cammino...ma senza di lei...

domenica 9 maggio 2010

...fine pena mai...

...in questi giorni pensavo: "ma cosa c.... ci sto a fare a questo mondo senza di lei?"
alterno periodi relativamente tranquilli, distratto da incombenze immediate a cui far fronte a periodi di bruciante disperazione, in cui mi auguro di raggiungerla presto, ed il tormento continua, come uno stillicidio senza tregua sulla mia anima, che logora e lascia esausti ed incapaci di agire...fine pena mai...

lunedì 3 maggio 2010

...da Libero news...attacco a Times Square...

Attacco Times Square Indagini a buon punto


NEW YORK - Progressi 'significativi' sono stati fatti nell'indagine sull'autobomba di Times Square. Lo ha detto il ministro della Giustizia Usa Eric Holder, secondo il quale che si stanno seguendo "buone piste".

In precedenza il ministro della sicurezza interna, Janet Napolitano, parlando alla Nbc, aveva assicurato che le autorità federali e la polizia di New York stanno "seguendo ogni pista", invitando a non giungere a "conclusioni premature in un senso o nell'altro".

SICUREZZA RAFFORZATA NEGLI AEROPORTI - La sicurezza negli aeroporti della East Coast americana è stata rafforzata dopo l'autobomba a Times Square. Lo ha annunciato il ministero della Sicurezza Interna. Sono state rafforzate le misure per prevenire episodi di autobombe e altre forme di attentati terroristici in luoghi affollati di pubblico. Sono stati aumentati anche i controlli agli imbarchi sia dei voli interni che internazionali. Una delle malcelate paure evocate dagli investigatori è di un bis di quanto nel 2007 accadde in Gran Bretagna quando dopo la scoperta di due autobombe a Londra, quattro asiatici si lanciarono contro il terminal degli arrivi dell'aeroporto di Glasgow a bordo di una jeep Cherokee di colore verde che, secondo un testimone, aveva a bordo alcune bombole di gas. L'auto esplose al momento dell'impatto contro l'edificio: in pratica era un'autobomba fabbricata artigianalmente.

BLOOMBERG, ESCLUSI LEGAMI CON AL QAIDA - Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha escluso che il tentato attentato di Times Square possa avere legami con Al Qaida. "Non ci sono prove che l'episodio sia legato ad Al Qaida o ad altre organizzazioni terroristiche importanti - ha dichiarato Bloomberg -. Sono fiducioso sul fatto che cattureremo chi ha fatto tutto questo". "Sappiamo tutti che nel mondo c'é chi considera New York un bersaglio da colpire, il più bel bersaglio del mondo. Ma non permetteremo che costoro vincano. La gente si sente sicura a New York e vuole continuare a venirci".

CACCIA ALL'UOMO - "Siamo stati fortunati. Forse è stata evitata una strage": rientrato di corsa nel cuore della notte da Washington, ancora in abito da sera, il sindaco Michael Bloomberg ha tirato un sospiro di sollievo. Ma ieri, a New York, nove anni dopo le stragi dell'11 settembre, è tornato l'incubo terrorismo: Times Square, la piazza crocevia del mondo frequentata ogni anno da 40 milioni di persone, è stata evacuata per una autobomba.

E' scattata la caccia all'uomo. "Giustizia sarà fattà, ha detto il presidente Barack Obama dalla Louisiana dopo aver parlato con Bloomberg e mentre a Pittsburgh veniva interrotta la maratona per un allarme bomba rivelatosi poi infondato. A New York il capo della polizia Ray Kelly ha dato poca credibilità alla rivendicazione di un'organizzazione di Talebani pachistani, Tehrik-e-Taliban, per vendicare la morte di Abu Ayuub al Masri, il capo di al Qaida in Iraq, e confermato invece che si sta indagando sulla 'pista South Park': l'autobomba era stata parcheggiata davanti alla sede di Viacom che produce il dissacrante cartone minacciato dai fondamentalisti islamici per aver fatto ironia su Maometto.

La polizia sta ricercando un bianco sulla quarantina visto cambiarsi in strada e allontanarsi in modo "furtivo" in un video ripreso dalle 80 telecamere di sorveglianza. Dentro il suv Nissan Pathfinder parcheggiato malamente sulla 45esima Strada c'erano tutti gli ingredienti per un ordigno "amatorialé e che tuttavia esplodendo avrebbe provocato "una palla di fuoco" in una zona affollatissima a quell'ora: propano, benzina, fili elettrici, una sostanza simile al fertilizzante, fuochi artificiali legati attorno alle taniche, due orologi a batteria, uno puntato sulla mezzanotte. Obama, informato di notte, ha elogiato in Louisiana la reazione rapida della polizia mettendo a disposizione delle autorità di New York le risorse dell'amministrazione. Di attentato ha parlato anche il ministro per la Sicurezza Interna Janet Napolitano, osservando d'altra parte che è prematuro stabilire collegamenti con le reti del terrore internazionale o interno.

Proprio venerdì a Brooklyn erano stati arrestati Wesam el Hanafi e Sbirhan Hasanoff, due 'colletti bianchi' dall'apparenza insospettabile e in realtà legati ad Al Qaida in Yemen. Intervistato dalla Cnn il senatore di New York Charles Schumer ha ipotizzato invece un caso di "cani sciolti". Il caos a Times Square è scoppiato alle 18:30. Un venditore ambulante di magliette, Lance Orten, aveva dato l'allarme vedendo del fumo che usciva dalla Nissan con una targa del Connecticut rubata. Memore della campagna della polizia 'Se vedi qualcosa di sospetto, dillo subito', Lance aveva chiamato un agente a cavallo e questi, annusando l'auto, aveva sentito odore di esplosivo. La polizia, che ha trasferito l'auto in un centro di medicina legale a Queens, ha recuperato impronte digitali dal veicolo e sta studiando collegamenti con altri attentati, ad esempio con la catena di autobombe coordinate che nell'estate 2007 hanno preso di mira l'aeroporto di Glasgow e il quartiere dei night e dei teatri di Londra.

Times Square è rimasta chiusa per tutta la notte: solo all'alba, quanto la Nissan è stata rimossa, la polizia ha tolto le transenne. Gli show di Broadway sono andati avanti regolarmente, sia pure in ritardo, ma molti spettatori non sono riusciti a raggiungere i teatri. In molti casi i turisti non hanno capito cosa stava succedendo: "Pensavamo che avessero bloccato la strada per un politico o un vip", ha detto Valeria Nobilini, in vacanza a New York da Fano. Disagi per i clienti di alcuni grandi alberghi come il Marriott o il Paramount che si affacciano su Times Square: sono rimasti bloccati per ore, o dentro o fuori, quando la polizia ha 'congelato' la zona.

...maggio...

...è iniziato maggio, il mese di Elisa, del suo compleanno...i giorni scorrono quieti, indifferenti, immemori di tanto dolore, di tanto strazio...io alterno momenti di calma apparente a sfoghi di lacrime, a mala pena trattenute...mi dicono che sarà sempre così, ed intanto bisogna continuare a vivere, occuparsi delle faccende quotidiane...