Dietro il salvataggio. "Andate avanti", l'ultimo ordine prima di morire
PIERANGELO SAPEGNO L'AQUILA
Il vecchio e il giovane hanno le facce sporche dei vigili del fuoco. Hanno barbe di polvere grigia. E gli occhi rossi. Una bacinella d’acqua per lavarsi: Claudio si toglie il grigio della terra, ma vorrebbe levarsi il nero della morte. Il vecchio è morto. L’ha steso un infarto mentre cominciava a scavare questa casa di 4 piani che ormai è soltanto una montagna di pietra rotta, in via Gennaro Finamore. Si chiamava Marco Cavagna, 50 anni, Bergamo. Lui diceva sempre che «chi salva una vita salva il mondo intero. Cerca di ricordartelo, ragazzo». Era il suo maestro, gli aveva insegnato tutto. Il giovane ha continuato a scavare senza voce fra quelle macerie, e c’erano solo morti. Ha tirato fuori marito e moglie abbracciati insieme sotto al letto, duri come le pietre che li avevano uccisi. Ha trovato Enza che non aveva più un respiro. E quando si erano fermati tutti, allora ha visto in fondo al cunicolo dei capelli che sembravano muoversi. S’è aperto un varco fra i calcinacci e ha scorto due occhi che si schiudevano. Eleonora era la prima ragazza che Claudio Ippolito poteva salvare. E’ per questo che gli è venuto il cuore in gola. Ha fatto il segno del silenzio, ha sussurrato appena: «C’è una ragazza. E’ viva!». Poi ha pianto: «Ce l’ha regalata Marco».Gli altri da sopra hanno gridato e si sono abbracciati. Il fatto è che anche nella morte c’è sempre un po’ di vita. Claudio è di Mestre, ha 20 anni e fa parte di un gruppo speciale dei vigili del fuoco: 9 uomini a Venezia e Treviso, 12 a Bergamo, il resto a Pisa e Roma. In tutto 60. Sono quelli addestrati per tirare fuori le persone dalle macerie. Marco Cavagna s’era sporcato la faccia altre volte nei terremoti. Insegnava ai ragazzi questa missione e diceva che uno non deve mai arrendersi «perchè c’è sempre qualcuno che ti aspettando». L’altra sera è cominciato tutto alle 7. Cavagna era morto al mattino. E gli altri hanno continuato a scavare dove lui s’era fermato, perchè il loro lavoro è fatto così e ci sono modi diversi per dire una preghiera. Non è semplice: bisogna camminare nelle nuvole, anche quando vai sotto terra. Loro erano 30 ore che non si fermavano, e i cani avevano smesso di abbaiare: voleva dire che non c’erano più vivi lì sotto. Claudio racconta che da un cunicolo scavato con le mani aveva visto Enza. Si può morire senza un senso quando ti prende il terremoto. «Lei era in piedi. Era morta in piedi». Non c’era più niente da fare. Alle sue spalle però c’era un buco, una specie di triangolo dove poter infilare la testa. Claudio ha fatto così, ci ha messo dentro il naso e ha visto i capelli, poi s’è fatto passare una pila e quando ha puntato la luce ha sentito un lamento: è lì che Eleonora si è girata e ha aperto gli occhi. Solo che quando stava per toccarla, è arrivata la botta terribile, dell’altra sera. Ha dovuto rinculare e ricominciare da capo. E’ risceso, «ci siamo fatti spazio tagliando e puntellando. Lei era a testa in giù con le gambe a cavallo di un muro e un braccio era sotto un’altra parete».Un medico ha provato a infilarle la flebo su uno dei piedi appesi, ma dopo 40 ore a testa in giù non aveva più sangue nelle gambe. «Io le parlavo, ma non mi rispondeva. Dopo ho saputo che è sorda. Le spiegavo che cosa doveva fare. Me lei mi chiedeva solo di mamma e papà. Papà è qui fuori, le dicevo, ti aspetta. E lei me lo richiedeva di nuovo». Sono andati avanti per delle ore, a ripulire il cunicolo, con la polvere dei calcinacci che scendeva incessante, come lo sgocciolìo di un rubinetto. Le hanno passato ossigeno e una garza imbevuta d’acqua, fino a quando lo spazio è stato sufficiente per liberarla. «Aveva un pilastro sopra la testa e la rete di un letto alle spalle. Noi una cosa così la chiamiamo "il triangolo della sopravvivenza". E’ stata miracolata». Il resto l’hanno fatto loro, le facce sporche dei vigili del fuoco. L’ha fatto anche Marco, che s’è accasciato su quelle pietre con il cuore stremato. Quando l’hanno portato via, i vigili del fuoco hanno pregato insieme come si faceva nei vecchi film americani, con gli occhi bassi e le mani giunte: «Speriamo di trovarne vivo uno per lui», hanno detto. Poi hanno ripreso a fare quello che facevano prima. «Porté su i seci», gridavano da basso. Ma quando Eleonora è stata portata fuori da quella morte, Claudio è scoppiato in lacrime e ha abbracciato stretto un altro come lui, con la faccia sporca. «Abbiamo pianto tutti, ma non solo noi. Anche i colleghi che stavano riposando». Perché questo non è mica un lavoro come gli altri. Quando lo incrocia Ario Gervasutti che è veneziano come lui, gli dice così in dialetto, nella piega di un’emozione: «E’ la prima persona che riesco a portare su viva in vita mia». Adesso è appena venuto su da un cunicolo dietro due corpi nascosti dalle lenzuola. Non li vedi. Ma capisci che sono morti dal silenzio che c’è. Lui si lava la faccia con l’acqua della bacinella. «Se vede Eleonora, me la saluti», dice. Ha ancora tanto da fare. Solo Marco sta camminando sulle nuvole.
PIERANGELO SAPEGNO L'AQUILA
Il vecchio e il giovane hanno le facce sporche dei vigili del fuoco. Hanno barbe di polvere grigia. E gli occhi rossi. Una bacinella d’acqua per lavarsi: Claudio si toglie il grigio della terra, ma vorrebbe levarsi il nero della morte. Il vecchio è morto. L’ha steso un infarto mentre cominciava a scavare questa casa di 4 piani che ormai è soltanto una montagna di pietra rotta, in via Gennaro Finamore. Si chiamava Marco Cavagna, 50 anni, Bergamo. Lui diceva sempre che «chi salva una vita salva il mondo intero. Cerca di ricordartelo, ragazzo». Era il suo maestro, gli aveva insegnato tutto. Il giovane ha continuato a scavare senza voce fra quelle macerie, e c’erano solo morti. Ha tirato fuori marito e moglie abbracciati insieme sotto al letto, duri come le pietre che li avevano uccisi. Ha trovato Enza che non aveva più un respiro. E quando si erano fermati tutti, allora ha visto in fondo al cunicolo dei capelli che sembravano muoversi. S’è aperto un varco fra i calcinacci e ha scorto due occhi che si schiudevano. Eleonora era la prima ragazza che Claudio Ippolito poteva salvare. E’ per questo che gli è venuto il cuore in gola. Ha fatto il segno del silenzio, ha sussurrato appena: «C’è una ragazza. E’ viva!». Poi ha pianto: «Ce l’ha regalata Marco».Gli altri da sopra hanno gridato e si sono abbracciati. Il fatto è che anche nella morte c’è sempre un po’ di vita. Claudio è di Mestre, ha 20 anni e fa parte di un gruppo speciale dei vigili del fuoco: 9 uomini a Venezia e Treviso, 12 a Bergamo, il resto a Pisa e Roma. In tutto 60. Sono quelli addestrati per tirare fuori le persone dalle macerie. Marco Cavagna s’era sporcato la faccia altre volte nei terremoti. Insegnava ai ragazzi questa missione e diceva che uno non deve mai arrendersi «perchè c’è sempre qualcuno che ti aspettando». L’altra sera è cominciato tutto alle 7. Cavagna era morto al mattino. E gli altri hanno continuato a scavare dove lui s’era fermato, perchè il loro lavoro è fatto così e ci sono modi diversi per dire una preghiera. Non è semplice: bisogna camminare nelle nuvole, anche quando vai sotto terra. Loro erano 30 ore che non si fermavano, e i cani avevano smesso di abbaiare: voleva dire che non c’erano più vivi lì sotto. Claudio racconta che da un cunicolo scavato con le mani aveva visto Enza. Si può morire senza un senso quando ti prende il terremoto. «Lei era in piedi. Era morta in piedi». Non c’era più niente da fare. Alle sue spalle però c’era un buco, una specie di triangolo dove poter infilare la testa. Claudio ha fatto così, ci ha messo dentro il naso e ha visto i capelli, poi s’è fatto passare una pila e quando ha puntato la luce ha sentito un lamento: è lì che Eleonora si è girata e ha aperto gli occhi. Solo che quando stava per toccarla, è arrivata la botta terribile, dell’altra sera. Ha dovuto rinculare e ricominciare da capo. E’ risceso, «ci siamo fatti spazio tagliando e puntellando. Lei era a testa in giù con le gambe a cavallo di un muro e un braccio era sotto un’altra parete».Un medico ha provato a infilarle la flebo su uno dei piedi appesi, ma dopo 40 ore a testa in giù non aveva più sangue nelle gambe. «Io le parlavo, ma non mi rispondeva. Dopo ho saputo che è sorda. Le spiegavo che cosa doveva fare. Me lei mi chiedeva solo di mamma e papà. Papà è qui fuori, le dicevo, ti aspetta. E lei me lo richiedeva di nuovo». Sono andati avanti per delle ore, a ripulire il cunicolo, con la polvere dei calcinacci che scendeva incessante, come lo sgocciolìo di un rubinetto. Le hanno passato ossigeno e una garza imbevuta d’acqua, fino a quando lo spazio è stato sufficiente per liberarla. «Aveva un pilastro sopra la testa e la rete di un letto alle spalle. Noi una cosa così la chiamiamo "il triangolo della sopravvivenza". E’ stata miracolata». Il resto l’hanno fatto loro, le facce sporche dei vigili del fuoco. L’ha fatto anche Marco, che s’è accasciato su quelle pietre con il cuore stremato. Quando l’hanno portato via, i vigili del fuoco hanno pregato insieme come si faceva nei vecchi film americani, con gli occhi bassi e le mani giunte: «Speriamo di trovarne vivo uno per lui», hanno detto. Poi hanno ripreso a fare quello che facevano prima. «Porté su i seci», gridavano da basso. Ma quando Eleonora è stata portata fuori da quella morte, Claudio è scoppiato in lacrime e ha abbracciato stretto un altro come lui, con la faccia sporca. «Abbiamo pianto tutti, ma non solo noi. Anche i colleghi che stavano riposando». Perché questo non è mica un lavoro come gli altri. Quando lo incrocia Ario Gervasutti che è veneziano come lui, gli dice così in dialetto, nella piega di un’emozione: «E’ la prima persona che riesco a portare su viva in vita mia». Adesso è appena venuto su da un cunicolo dietro due corpi nascosti dalle lenzuola. Non li vedi. Ma capisci che sono morti dal silenzio che c’è. Lui si lava la faccia con l’acqua della bacinella. «Se vede Eleonora, me la saluti», dice. Ha ancora tanto da fare. Solo Marco sta camminando sulle nuvole.
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