venerdì 13 agosto 2021

... CIAO GINO!!! ...

Rai3 sta trasmettendo, in queste settimane, in un orario improbabile, alle 11.15, il telefilm inglese Doc Martin. Un grande chirurgo che va in un paesino della Cornovaglia a fare il medico di famiglia. Ho consigliato tempo fa chi si occupa di Sanità, in tempi di pandemia, di osservare con attenzione e dedizione quel medico perché è quello che dovrebbe essere, oggi, il medico di famiglia. Uno che visita, che ha un rapporto stretto con il paziente, dentro una capacità straordinaria di fare diagnosi e prescrivere cure. Tutto ciò che oggi non è. L’ultima volta che abbiamo visto e sentito Gino Strada è stato molti mesi fa quando ha detto che la Sanità dovrebbe essere solo pubblica. Poche parole, un programma. Che avremmo voluto realizzasse lui alla guida di quel dicastero e che per incomprensibili traffici trafficoni non gli è stato mai dato e forse nemmeno proposto (giusto durante la formazione del Governo Renzi si fece il suo nome poi scomparso, come quello di Gratteri alla Giustizia). Un uomo così l’avremmo voluto alla guida della Sanità durante la pandemia. E quello che ci intristisce oggi nel giorno della sua scomparsa sta nella domanda senza risposta: perché lui no? Perché i migliori e i meritevoli come Gino Strada (e questo ragionamento vale per tanti altri nei loro settori competenza) non sono neppure presi in considerazione? Ci ricorda, Strada, il professor Veronesi, un privato, anche lui, per certi versi, filantropo come Strada, quando salì al soglio ministeriale per poco tempo e annunciò una Sanità che ci piaceva, quella dei piccoli ospedali, quella di una stanza per ogni paziente in strutture che tutto dovevano essere meno assomigliare alle tristi camerate di alcuni nosocomi delle grandi città. Strada aveva individuato il default eterno della nostra Sanità, quello di un sistema pubblico assurdo, con medici che operano in strutture private e con annesso a loro studi di visita e consulenza disseminati ovunque. La morale è che un sistema sanitario pubblico come il nostro è controproducente soprattutto per il cittadino-malato. Code interminabili anche per la diagnostica di routine, assurda commistione pubblico-privato dei medici, utile per saltare le file, forse, anzi, sicuramente, per avere una prestazione rapida, per non attendere, anni di attesa, la chiamata in ospedale per togliere la cataratta. Ma la Sanità solo pubblica, quella di Strada, vuol dire organizzare gli ospedali, prevenire in strutture e attrezzature di fronte a un’improvvisa pandemia (e non farsi trovare senza mascherine), rafforzare i sistemi territoriali per far sì che i servizi siano servizi e se c’è da intervenire a casa di un malato non si avvisa il paziente che oltre le 16 del pomeriggio non si ricevono più chiamate d’intervento, causa mancanza di personale: l’alternativa è arrangiarsi e recarsi al pronto soccorso, un tunnel interminabile di attese e disguidi legati uno all’altro. Strada ci avrebbe fatto capire che la sanità concerne le libertà individuali del cittadino, altroché green pass e vaccino sì-vaccino no. Oggi Gino Strada ci lascia due eredità che sono due insoluti. Il primo è chi potrà mai realizzare l’idea di Gino Strada, quella Sanità lì per l’Italia e non lasciare il progetto in una teca custode di un’utopia sognatrice di un signore che l’assistenza agli altri era nel cognome, Emergency è Gino e Gino è Emergency. Seconda eredità che un compito sempiterno delle classi dirigenti che ci guidano è capire dove stanno merito e qualità delle proposte politiche e perché ci si lascia sfuggire i migliori. Lo ricordiamo a questo Governo che ha nel premier un magister, meno nella squadra di Governo e ancor meno nei vari nomi che svolazzano qua e là nelle varie cariche distribuite, da distribuire o ricercate.

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