Riccardo Maccioni lunedì 7 dicembre 2020
96 anni, credeva nella partecipazione e nella politica vissuta dal basso. Da staffetta partigiana alla prima Democrazia cristiana, fino a Rifondazione comunista, una lunga militanza politica
Staffetta partigiana, pacifista, cattolica, femminista, donna dal radicato impegno politico, vissuto a “sinistra”. Lidia Menapace, morta stamani nell’ospedale di Bolzano, all’età di 96 anni, ha attraversato senza mai tirarsi indietro gli incroci, gli ostacoli incontrati nella sua lunga esistenza.
A portarsela via sono stata le complicanze legate al Covid contro cui ancora di recente si era espressa con determinazione: «La Resistenza mi ha insegnato a convivere con la paura e a superarla. Ora liberiamoci di questo virus».
Piccola di statura, ma mai arrendevole, credeva nella partecipazione e nella politica, specie quella vissuta dal basso. Con lei – scrive in un messaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – scompare una figura particolarmente intensa di intellettuale e dirigente politica, espressione del dibattito autentico che ha attraversato il Novecento». I valori «che ha coltivato e ricercato nella sua vita - antifascismo, libertà, democrazia, pace, uguaglianza - sono quelli fatti propri dalla Costituzione italiana – prosegue il Capo dello Stato – e costituiscono un insegnamento per le giovani generazioni».
Lidia Brisca, sposata Menapace, era nata a Novara il 3 aprile 1924, figlia di un geometra e di una «ragazza emancipata di inizio Novecento» come definiva la madre. Giovanissima, aderisce alla Resistenza, e diventa staffetta partigiana assumendo “Bruna” come nome di battaglia, ma senza mai toccare le armi, raccontava. A 21 anni, la laurea a pieni voti in letteratura italiana e l’impegno nella Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana).
Trasferitasi a Bolzano, nel 1964 è insieme a Waltraud Deeg, la prima donna eletta in Consiglio provinciale e, nelle fila della Democrazia cristiana, la prima esponente femminile in giunta: assessora per gli affari sociali e la sanità. Quattro anni più tardi l’addio alla Dc, seguita alla professione di fede nel marxismo, prima tappa di una lunghissima stagione di attività a sinistra.
Tra le tappe del suo impegno, all’inizio degli anni 70, l’avvio del Movimento cristiani per il socialismo e in seguito la militanza in Rifondazione comunista, di cui è stata senatrice dal 2006 al 2009.
In particolare la si ricorda perché candidata alla presidenza della Commissione difesa si era vista soffiare l’incarico da Sergio De Gregorio di Italia dei Valori a seguito delle critiche alle Frecce tricolori definite costose e inquinanti. E poi «solo in Italia - disse - vengono pagate con i fondi pubblici».
Terminato l’impegno parlamentare Menapace entra nel Comitato nazionale nell’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia), poi la candidatura, e siamo nel 2018, in Potere al popolo. Battagliera esponente della militanza femminista, testimoniata anche come firma de “Il Manifesto” che contribuì a fondare, l’Enciclopedia delle donne la definisce “anticipatrice” per lo sguardo rivolto costantemente in avanti, per le sfide sempre vissute con coraggiosa e onesta fierezza.
Di lei però si ricordano soprattutto le toccanti testimonianze sulla Resistenza e sulla militanza antifascista raccolte nel libro “Io, partigiana”. «Ho il brevetto di partigiana combattente con il grado di sottotenente – diceva –. Sono ex tante cose ma non ex partigiana, perché essere partigiani è una scelta di vita».
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