mercoledì 25 febbraio 2015

...Italia Donati...

il primo di giugno 1886, siamo sulle colline del Montalbano, sopra il Padule di Fucecchio, quando, alle prime luci del giorno, viene notato un cadavere sul fondo di un bottaccio. Si accerterà il suicidio per annegamento di Italia Donati, giovane maestra, insegnante dal settembre 1883 nel vicino paese di Porciano, Comune di Lamporecchio, Circondario di Pistoia, allora Provincia di Firenze. Un bigliettino, rinvenuto nella tasca di un grembiule rosso abbandonato nelle vicinanze, rivela le ultime volontà della defunta, fra queste la richiesta di una visita medico-legale che, post mortem, ne accerti la verginità, come poi verrà fatto ed acclarato, smentendo così clamorosamente la vox populi che, da ormai tre anni, la bollava come amante del suo datore di lavoro, il Sindaco di Lamporecchio Raffaello Torrigiani, a sua volta accusato, da una lettera anonima, di averla anche indotta ad un aborto.Il tragico fatto, emblematico del disagio delle deamicisiane “maestrine dalla penna rossa” che costituirono il nucleo più consistente degli insegnanti italiani e fra le quali si contarono non pochi suicidi, ebbe ampia risonanza a livello nazionale: approfondite inchieste apparvero sul “Corriere della Sera” a firma del “redattore viaggiante” Carlo Paladini, ed anche Matilde Serao scrisse per il “Corriere di Roma” un lungo articolo dal titolo Come muoiono le maestre. (1)Nel 2003 Elena Gianini Belotti ha riproposto questo caso in un bel libro (2) dal quale si progetta, con l’ausilio delle istituzioni locali, una trasposizione cinematografica che dovrebbe realizzarsi per l’anno prossimo. (3) E’ il primo gennaio del 1863 che a Cintolese, Comune di Monsummano, allora Provincia di Lucca, viene alla luce Italia: lo stesso nome di uno Stato giovane, nato appena due anni prima. La famiglia di Italia è numerosa, il padre è un povero “granataio”, mestiere tipico di una zona densa di erbe palustri. Crescendo Italia dimostra volontà ed intelligenza ed il suo insegnante Baronti convince la riluttante famiglia a farla studiare per maestra. Con gran sacrificio, circondata dall’ invidia e dalla diffidenza di fratelli e sorelle e di una comunità astiosa che non vuol gioire della sua opportunità di uscire da una grama condizione subalterna, riuscirà, dopo un fallito tentativo a Lucca, a ottenere l’agognata “patente” a Firenze: con essa ecco arrivare il tanto atteso primo incarico a Porciano. La ragazza dovrà innanzitutto presentarsi al Sindaco, infatti in quel tempo l’insegnamento era affidato ai Comuni, obbligati in seguito alla legge Coppino del 1877, varata dal governo della Sinistra Storica, ad istituire una scuola in ogni consistente frazione del loro territorio: il consiglio comunale deliberava le assunzioni, ma in pratica le maestre venivano scelte dai sindaci, che potevano rinnovare o disdire gli incarichi e che non sempre erano onesti nel loro agire. Sovente si tendeva a risparmiare sulle spese scolastiche ed il lavoro di una maestra, specie nei comuni rurali, non era certo facile: malpagata, doveva, con scarsissimi sussidi didattici, insegnare a pluriclassi miste, sovente sovraffollate, in locali d’affitto spesso angusti, bui, non riscaldati e malsani. Le “maestrine” erano poi generalmente malviste dai parroci ai quali era stato tolto l’insegnamento, (con il relativo sussidio) fino ad allora impartito ai soli maschi, in locali parrocchiali, inoltre, e soprattutto, non erano ben accolte dai paesani, che avevano in odio quell’obbligo scolastico che sottraeva i figli al lavoro dei campi e che poi non tolleravano che una donna, sola e lontana da casa, avesse una benché minima autorità. Il Sindaco di Lamporecchio, Raffaello Torrigiani, ricco possidente con fama di donnaiolo impenitente, rivolge quindi il benvenuto a Italia invitandola a pranzo nella sua Villa di Papiano, dove abita con la moglie Maddalena, sposata solo in chiesa, e l’amante Giulia De Michelis, con le rispettive figlie. Durante il desinare la ragazza chiede al Sindaco se potrà trovare da affittare un appartamento vicino alla scuola, ma il volitivo Torrigiani, “generosamente”, ma risolutamente, le offre ospitalità nell’ampia sua Villa, facendole notare che essa dista solo un paio di chilometri dalla scuola di Porciano: Italia risparmierà sull’affitto, insegnerà alle due figlie di Giulia, già grandicelle, e così potrà mandare più soldi ai genitori. A niente servono i pretesti addotti dalla ragazza per declinare l’insidioso invito. Italia, anche velatamente minacciata di un mancato rinnovo dell’incarico, deve quindi accettare: pensa soprattutto ai bisogni della sua famiglia, alla quale chiederà, inascoltata, l’affidamento di una nipote da tenere con sé, per precauzione, a Papiano. La presenza dell’ emancipata maestrina nella Villa del potente Sindaco susciterà da subito, nella gente del contado, invidia e intolleranza, poi notevole ostilità, in un crescendo di ritorsioni e isolamento. Indicata al pubblico ludibrio come “seconda concubina” del Torrigiani, Italia saprà, ma solo qualche tempo dopo, del non incoraggiante precedente di Vittoria Lastrucci, anch’essa maestra di Porciano e ospite in casa del Sindaco, sottrattasi con la fuga ad insistenti avances e, dopo varie vicende, licenziata. Inoltre Italia, molto giovane, si dimostrerà anche abbastanza sprovveduta accettando ad esempio, più volte, di far compagnia a Giulia sulla carrozza del Torrigiani che ama ostentare il suo potere sfilando di domenica lungo l’affollato corso principale di Lamporecchio. Quando il Sindaco si vanterà con gli amici di averla baciata, la voce sulla dubbia moralità della maestrina raggiungerà anche Monsummano suscitando perplessità persino nella sua famiglia. Italia risponde gettandosi con passione e competenza nel lavoro, tanto che l’incarico le verrà per ben due volte confermato, si prodiga per la gente durante l’epidemia di tifo del 1884, ma l’isolamento cresce e le restano poche persone su cui può confidare: il sarto Fanti, il brigadiere dei carabinieri Giannini, ambedue segretamente innamorati di lei, l’anziano locatore dell’edificio scolastico, il medico condotto ed il farmacista di Lamporecchio. L’infame lettera anonima sul presunto aborto fa precipitare la situazione: Italia, indagata dalla Procura del Re, proclama ai quattro venti, in vari modi, ma inutilmente, la sua innocenza. Infine richiede alle varie autorità una visita medico-legale che ufficialmente ne accerti la verginità: nessuno su questo piano potrà aiutarla. In tal senso incontra anche l’Ispettore scolastico del Circondario di Pistoia nella persona di Renato Fucini, famoso autore de Le Veglie di Neri, un cui libro di testo per le scuole, Il mondo nuovo, è adottato anche a Porciano. Fucini, pur abitando in quel tempo a Pistoia, ben conosce la zona: la sua avita dimora di campagna è a Dianella, vicino Vinci, a poca distanza da Porciano, ed in Valdinevole è amico di personaggi importanti, innanzitutto Ferdinando Martini, ma anche del Sindaco Raffaello Torrigiani. L’Ispettore, al pari del Consiglio Comunale, le riconferma la fiducia professionale, ma in fondo, come nota la Giannini Belotti, sembra anche lui dubitare della sua condotta morale: infastidito si limita a consigliarle un trasferimento, ma intanto, discretamente, fa svolgere un’inchiesta sulla sua vita privata. (4) In seguito, mentre il Sindaco si dimette, Italia riesce finalmente ad avere accanto a sé una nipote, poi ad uscire dalla Villa di Papiano, spostandosi in una casa vicina alla scuola, ed infine ad ottenere, per l’anno successivo, il trasferimento alla scuola di Cecina, vicino a Larciano. Ma alcune lettere anonime le attribuiscono ora una nuova relazione, questa volta con il figlio del locatore, mentre altre, giunte da Cecina, già la bollano come “avanzo dei porcianesi”: ossessionata e stremata non vedrà altra via d’uscita che il suicidio! Il suo illuminante dramma suscita profonda reazione nella tardivamente pentita opinione pubblica locale: Porciano ora piange per il linciaggio morale a cui l’aveva sottoposta e aiuta i Donati a trasferire la salma nel cimitero di Cintolese. Il funerale predisposto dal Comune è imponente: in prima fila gli alunni cui Italia aveva voluto bene. La lapide è donata dal “Corriere della Sera” ed il Ministro della Pubblica Istruzione approva un sussidio per i genitori della defunta. Ma la memoria di Italia Donati, almeno in ambienti femminista e/o scolastico, non è morta, spesso il suo nome ricorre in convegni di studio e da poco più di una decina d’anni le è stata intitolata la scuola primaria di Cintolese. Una vicenda d’altri tempi, quella d’Italia, in cui la condotta morale di una fanciulla, aveva, in ogni senso rispetto ad oggi, un altro peso…ma non fino in fondo: non sta ad esempio riaffiorando ultimamente, con l’estendersi del precariato, il problema della ricattabilità sul posto di lavoro? Carlo Onofrio Gori 1) Cfr. Elisa Bonadimani, La figura del maestro elementare nel romanzo di scuola in Italia dal 1860 al 1920. Ricostruzione del profilo sociale e culturale del maestro italiano attraverso la letteratura e le riviste pedagogiche nel sessantennio liberale, Università degli Studi di Bergamo, Dottorato di Ricerca in Scienze Pedagogiche, Dipartimento di Scienze della Persona, 2008-2009. 2) Mi informa di ciò Carlo Vannini, Bibliotecario di Monsummano, e me lo conferma la sig.ra Caterina Pani che si occupa del progetto. 3) Elena Giannini Belotti, Prima della quiete. Storia di Italia Donati, Rizzoli, 2003. Il libro, come afferma l’A. è stato scritto anche sulla scorta di un documentato articolo del Prof. Enzo Catarsi, Il suicidio della maestra Italia Donati, in “Studi di Storia dell’ Educazione”, 3, 1981, pp. 28-55. 4) Nel racconto la La maestrina, pubblicato postumo nel 1921, Fucini descrive una vicenda, solo per alcuni aspetti, simile a quella della Donati: cfr. Renato Fucini, Tutti gli scritti, Trevisini, 1961, pp. 166-175. Riproduzione dell’articolo di Carlo Onofrio Gori, Italia Donati, suicidio di una “maestrina”, in “Microstoria”, n. 66 (ott.-dic. 2010)

Nessun commento:

Posta un commento