mercoledì 21 aprile 2021

... la sentenza FLOYD ...

Caso Floyd: la giuria condanna per omicidio l’ex poliziotto Derek Chauvin. Biden: «Prove schiaccianti» L’agente colpevole di tre reati. Biden: “Prove schiaccianti”. E invita il Paese a cambiare: il razzismo sistemico è una “macchia sull’America” di Marco Valsania 20 aprile 2021 Colpevole. La giuria del tribunale di Minneapolis ha emesso un verdetto di colpevolezza per l’ex agente di polizia Derek Chauvin, per tutti e tre i reati di omicidio dei quali era stato accusato nel caso di George Floyd. La giuria del tribunale di Minneapolis ha trovato all’unanimità Chauvin responsabile di aver ucciso il 46enne afroamericano Floyd lo scorso maggio, soffocandolo dopo averlo ammanettato. Una decisione attesa da un Paese in grande ansia, in una vicenda-simbolo delle tensioni razziali e delle polemiche sul comportamento della polizia nei confronti della comunità di colore. Giurati, avvocati e accusato sono rientrati nel pomeriggio in aula in vista della lettura del verdetto. Una decisione rapida, meno di due giorni di deliberazioni, che aveva fatto presagire una decisione di colpevolezza. Subito dopo la rapida lettura del verdetto, reato per reato, il giudice ha ringraziato i giurati e li ha congedati. La pena decisa fra settimane Il giudice, Peter Cahill, dovrebbe emettere la sentenza con la pena comminata a Chauvin entro otto settimane. Ha ordinato un rapporto sull’ex agente e il suo passato prima di decidere. La pubblica accusa, sotto l’egida del procuratore generale del Minnesota, ha chiesto una sentenza particolarmente severa e senza attenuanti. Le statistiche mostrano quanto sia già di per sè straordinaria la condanna di un poliziotto, che potrebbe diventare ancora più significativa con la pena: dal 2005 solo sette agenti sono stati trovati colpevoli in casi violenza letale; 1.100 persone vengono uccise ogni anno dalla polizia. Biden, un omicidio che ha tolto il paraocchi Il Presidente Joe Biden ha sottolineato l'importanza del verdetto: “E' stato un omicidio in piena luce, che ha strappato i paraocchi e tutto il mondo ha potuto vedere”. Perché il “razzismo sistemico è una macchia sull'anima dell'America”. Il Presidente ha però aggiunto che il verdetto è ancora un momento “troppo raro” per rendere giustizia alla comunità nera. “Per molti, sembra ci sia voluto troppo per arrivare” a una simile misura di giustizia. Una “straordinaria convergenza” di fattori. Una ragazzina che ha filmato quanto accaduto. Testimoni traumatizzati. Poliziotti che hanno parlato contro l'agente responsabile. Biden ha così chiarito che questo deve essere solo un inizio. “Non è abbastanza. Servono vere riforme. Bisogna riconoscere e confrontare il razzismo sistemico, nelle attività di polizia e nel sistema della giustizia” e oltre. Serve, ha aggiunto, anzitutto il passaggio di una legge di riforma della polizia, proposta ormai da un anno e dedicata a George Floyd. E serve il lavoro di tutti i giorni per cambiare i cuori e le menti: “Dobbiamo farlo in sua memoria”, nel ricordo di Floyd. “Dobbiamo ricordare le sue parole, Non posso respirare. Per cambiare. Questo può essere un momento di significativo cambiamento”. Nelle ore precedenti il verdetto, con la giuria ormai isolata per le deliberazioni, Biden aveva anche chiamato la famiglia di Floyd per esprimere la sua vicinanza e detto di “pregare che il verdetto sia un verdetto giusto”. In una insolita e esplicita presa di posizione aveva indicato di considerare le prove di colpevolezza nel caso come “schiaccianti”. Harris e le riforme della polizia Il vicepresidente Kamala Harris ha a sua volta affermato che “il problema dell'ingiustizia sociale non è un problema solo degli americani neri e di colore. E' un problema di ogni americano. Ci impedisce di rispettare la promessa di libertà e giustizia per tutti e di realizzare il nostro potenziale”. E con Biden ha chiesto un cammino di riforme. La riforma citata della polizia, approvata dalla Camera, vieta tecniche di strangolamenti, crea standard nazionali per le pratiche di ordine pubblico, una banca dati sugli agenti accusati di abusi, revisioni nell'ampia dottrina della “immunità qualificata” che mette i poliziotti automaticamente al riparo da accuse se le loro azioni sono dichiarate in buona e non violano chiaramente diritti costituzionali o stabiliti da statuti. Si chiama George Floyd Justice in Policing Act. Ma è passata senza alcun voto repubblicano e due defezioni democratiche e rimane ferma al Senato. I tre reati Più in dettaglio, nel processo Floyd, la giuria (sette donne e cinque uomini; sei bianchi, quattro neri, due che si identificano come multirazziali) ha dovuto esprimersi su tre reati di omicidio, di diversa gravità, nei confronti di Chauvin. I giurati potevano decidere colpevolezza o innocenza su ciascuno dei reati, che non sono mutualmente esclusivi. I reati considerati erano omicidio di secondo grado non intenzionale, che prescriveva Chauvin avesse ucciso Floyd nel commettere un altro reato grave, in questo caso di aggressione. L’omicidio di terzo grado prevedeva che Chauvin avesse agito con azioni “molto pericolose” e nel disprezzo dei rischi per la vita altrui. La terza accusa, omicidio colposo di secondo grado, era di fatto per irresponsabile negligenza. Comportano rispettivamente e teoricamente un massimo di 40, 25 e 10 anni di carcere, ma le linee guida per la sentenza potrebbero ridurrebbe una eventuale somma ad una pena di forse 27 anni. I giurati avevano cominciato a riunirsi per quattro ore lunedì sera, al termine delle arringhe finali di accusa e difesa, e avevano ripreso alle 8 di mattina di martedì ora locale per annunciare che avevano raggiunto una decisione verso le 3 di pomeriggio. Il verdetto deve essere unanime. 24+ George Floyd, cosa c’è dietro al braccio violento della polizia Usa Lo stato d’emergenza Il verdetto è stato accolto con un collettivo sospiro di sollievo nel Paese. Che alla vigilia era invece dominato dalla tensione. A Minneapolis era stata mobilitata da giorni la guardia nazionale, almeno tremila soldati in tutto. E il governatore democratico del Minnesota Tim Walz aveva dichiarato un preventivo stato d’emergenza autorizzando, se necessario, l’aiuto di forze dell’ordine da stati limitrofi. A Minneapolis numerosi business avvano chiuso e barricato gli ingressi. Le scuole avevano attivato lezioni remote. Altre città americane, da Philadelphia a Washington e New York, avevano preso misure d’emergenza. Un processo durato 14 giorni Il processo presso il tribunale di Minneapolis è durato 14 giorni effettivi, in gran parte utilizzati dalla pubblica accusa per presentare testimoni oculari, drammatici video ripresi da passanti e la testimonianza di numerosi esperti sull’uso e l’abuso della forza e i manuali della polizia. Lo stesso capo della polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo, ha testimoniato che le azioni di Chauvin hanno violato le regole del Dipartimento. La difesa ha parlato per due giorni, cercando di sollevare dubbi sulle cause della morte di Floyd (ha citato il presunto concorso di cattive condizioni di salute e uso di stupefacenti) e asserendo che il ricorso alla forza da parte di Chauvin era ragionevole. George Floyd, morte per asfissia secondo l’autopsia. Trump chiede ai governatori il pugno duro La morte di Floyd Floyd, un cittadino afroamericano di 46 anni, era stato ucciso il 25 maggio del 2020 in seguito a un arresto da parte della polizia, chiamata a verificare il sospetto che avesse usato una banconota falsa in un negozio. Uno degli agenti, il 44enne Derek Chauvin, dopo averlo ammanettato e spinto a terra, aveva premuto il ginocchio sul collo per nove minuti e 29 secondi. Chauvin ha tenuto il ginocchio sul collo di Floyd nonostante le sue grida che non riusciva a respirare e per diversi minuti dopo che l’uomo aveva perso coscienza. Floyd è deceduto per asfissia, ha concluso l’autopsia ufficiale. Chauvin, oggi un ex agente, è stato poi incriminato e sono emerse numerose denunce di abusi che aveva commesso durante la sua carriera iniziata nel 2001. Proteste contro il razzismo Il caso di George Floyd ha rilanciato fin dall’inizio con forza nel Paese, come non accadeva da anni, il dibattito su razzismo e discriminazione, e in particolare sul comportamento della polizia nei confronti delle minoranze etniche a cominciare dalla comunità nera e afroamericana. Ha innescato su scala nazionale il movimento di protesta Black Lives Matter, per chiedere giustizia e riforme delle forze di sicurezza. A volte, nel clima di crisi, ha generato anche disordini e vandalismi. Le proteste hanno anche avuto eco internazionale. L’attesa stessa del verdetto politico ha portato alla luce le divisioni del Paese: denunce di irrisolto razzismo e violenza della polizia da un lato; accuse di eccessive critiche e volontà di tagliare i necessari fondi alle forze dell’ordine dall’altro. I repubblicani hanno attaccato le parole nei giorni scorsi del deputato democratico Maxine Waters che è parsa invitare a ulteriori proteste in caso di una assoluzione di Chauvin. Polizia nella bufera La polizia americana è finita particolarmente sotto i riflettori. Per carenze di addestramento, che spesso varia nelle realtà locali e non oltre sei mesi (a Minneapolis dura 16 settimane), periodi molto più ridotti rispetto agli standard europei. Come per una storica cultura di abusi e discriminazione contro le minoranze. I critici sottolineano poi la perdurante tendenza alla militarizzazione delle forze dell’ordine, nelle tattiche e negli arsenali. E una lunga tradizione di impunità per gli agenti accusati di violenza a volte letale. La cronaca ha continuato a riportare episodi di controverso uso di forza letale da parte di agenti, anche nell’area metropolitana di Minneapolis: nei giorni scorsi il 20enne afroamericano Daunte Wright è stato ucciso da un agente per una infrazione al codice stradale nel sobborgo di Brooklyn Central. L’agente ha sostenuto di aver usato per errore la pistola invece del taser.

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